Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18235 del 29/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 18235 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MANNA ANTONIO

ORDINANZA
sul ricorso 22304-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE 80078750587
in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI,
VINCENZO TRIOLO, EMANUELE DE ROSE, VINCENZO STUMPO, giusta
procura in calce al ricorso;

– ricorrente –


contro
DAMIANO VIRGINIA;

– intimata –

etg) 2

Data pubblicazione: 29/07/2013

R.G. n. 22304/11
Ud. 13.5.13
INPS c. Damiano

avverso la sentenza n. 4602/2010 della CORTE D’APPELLO di BARI del 21.9.2010,
depositata il 28/09/2010;

Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MANNA;
udito per il ricorrente l’Avvocato Emanuele De Rose che si riporta agli scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI che si
riporta alla relazione scritta.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
I – Il consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. ha depositato la seguente relazione
ai sensi degli artt. 380-bis e 375 c.p.c.:
“1. – Con ricorso al Tribunale di Lucera Virginia Damiano, operaia agricola a tempo
determinato, conveniva in giudizio l ‘INPS chiedendo che venisse accertato il proprio diritto alla
liquidazione d’un maggior importo di trattamento di disoccupazione agricola che includesse, nella
relativa base di calcolo, anche la voce denominata “quota di TFR”.
Il Tribunale accoglieva la domanda dichiarando il diritto della lavoratrice alla riliquidazione
dell’indennità di disoccupazione per l’anno 1998 sulla base della retribuzioni previste dalla
contrattazione integrativa della provincia di Foggia, con inclusione nella base di computo della la
voce denominata “quota di TFR”.
La statuizione di prime cure era confermata dalla Corte d’appello di Bari con pronuncia n.
4602/10.
2. — Per la cassazione della pronuncia della Corte territoriale ricorre I ‘INPS, affidandosi a due
motivi.
2.1. — Parte intimata è rimasta tale.
3. — Con il primo motivo di ricorso l’INPS si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 47
d.P.R. n. 639/70, nel testo risultante dalle successive modifiche, per avere la Corte territoriale
negato l ‘applicabilità del regime di decadenza in esso previsto alle domande di riliquidazione di
prestazioni previdenziali già riconosciute.

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udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2013 dal

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INPS c. Damiano

3.1. – Con il secondo motivo di ricorso l’INPS lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
46, 51 e 55 del CCNL operai agricoli e florovivaisti del 10.7.2002 in relazione all’art. 6, co. 4, lett.

relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., 2120 c.c. e all’art. 4, commi 10 e 11, legge n. 297/82,
censurando la sentenza per avere incluso, nella retribuzione da prendere a base per la liquidazione
dell’indennità di disoccupazione agricola, anche la voce denominata “quota di TFR”.
4. — Il primo motivo di ricorso è infondato.
Si premetta che l’originario testo dell’art. 47 d.P.R. 30.4.70 n. 639 stabiliva quanto segue:
“Esauriti i ricorsi in via amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi all’autorità
giudiziaria, ai sensi degli artt 459 e ss. cod. proc. civ.. L’azione giudiziaria può essere proposta
entro il termine di dieci anni dalla data di comunicazione della decisione definitiva del ricorso
pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del termine stabilito per la
pronunzia della decisione medesima, se trattasi di controversie in materia di trattamenti
pensionistici.
L’azione giudiziaria può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date di cui al
precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a carico dell’assicurazione
contro la tubercolosi e dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria”.
Tali termini erano stati ritenuti dalle S. U. di questa S.C. (Cass. S. U. 21.6.90 n. 6245) di
decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale a dire finalizzata unicamente a delimitare
l’efficacia temporale della condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, rappresentata
dall’attivazione e dall ‘esaurimento de/procedimento amministrativo.
Col successivo art. 6 d.l. 29.3.91 n. 103, convertito con modificazioni in legge 1°.6.91 n. 166,
ritenuto da Corte Cost. n. 246/92 di interpretazione autentica del cit. art. 47, venne poi stabilito:
“1 – I termini previsti dal D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, commi 2 e 3 sono posti a pena
di decadenza per l’esercizio del diritto alla prestazione previdenziale. ladecadenza determina
l’estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della
relativa domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini
decorrono dall’insorgenza del diritto ai singoli ratei.
2 – Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva, ma non si applicano
ai processi che sono in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto”.

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a), d.lgs. n. 314/97, e all’art. 3 d.l. 14.6.96 n. 318, convertito in legge 29.7.96 n. 402, nonché in

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Successivamente, con l’art. 4 di 19.9.92 n. 384, i commi 2 e 3 del cit. art. 47 sono stati sostituiti
dai seguenti:

proposta, a pena di decadenza, entro il termine di tre anni dalla data di comunicazione della
decisione del ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di scadenza del
termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione ovvero dalla data di scadenza dei
termini prescritti per l’esaurimento del procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla
data di presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in materia di prestazioni
della gestione di cui alla L. 9 marzo 1989, n. 88, art. 24 l’azione giudiziaria può essere proposta, a
pena di decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente comma”.
L’art. 4, u.c. ha poi stabilito che le disposizioni indicate “non si applicano ai procedimenti
istaurati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto ancora in corso alla
medesima data”.
Infine, l’ari. 38 co. 1, lett. d), del di 6.7.2011 n. 98, convertito in legge n. 111/2011, ha
aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le decadenze previste dai commi
che precedono si applicano anche alle azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di
prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal caso il termine
di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della prestazione ovvero dal pagamento della
sorte”, precisando al quarto comma che “le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si
applicano anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore del presente
decreto”.
Tale essendo il quadro di riferimento normativo, da ultimo la giurisprudenza (cfr., ad es., Cass.
20.1.2010 n. 948 e 26.1.2010 n. 1580), sulla base di Cass. S.U. 29.5.09 n. 12720, che ribadisce le
tesi della precedente Cass. S. U. 18.7.96 n. 6491) era, per quanto qui interessa e fino alla citata
recente novella del 2011, nel senso dell’inapplicabilità della decadenza alle domande di
adeguamento di prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente dall’ente
previdenziale.
La cit. sentenza del 29.5.2009 n. 12720 aveva affermato che “La decadenza di cui al D.P.R. 30
aprile 1970, n. 639, art. 47 – come interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito,
con modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare applicazione in tutti quei casi in
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“Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici, l’azione giudiziaria può essere

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cui la domanda giudiziale sia rivolta ad ottenere non già il riconoscimento del diritto alla
prestazione previdenziale in sè considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione già

previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in errate interpretazioni della normativa legale o ne
abbia disconosciuto una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite che non
sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
La questione era stata nuovamente rimessa dalla Sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria
18.1.2011 n. 1071, alle 5. U, sulla base del rilievo che l’interpretazione prevalente non appariva
giustificata dal tenore letterale e dalla considerazione delle finalità della norma, riguardante ogni
tipo di azione in materia di prestazioni previdenziali.
Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle S. U. della Corte e la data
dell’udienza avanti a queste ultime, la citata novella di cui all’art. 38 comma 1, lett. d), d. i.
6.7.2011 n. 98, è stata quindi disposta la restituzione degli atti alla Sezione lavoro, in
considerazione della necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della questione
le 5. U., alla luce della valutazione dell’eventuale incidenza delle norme di legge citate
sull’interpretazione dell’art. 47 vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova disciplina, esprimendo il proposito del
legislatore di modificare in materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente,
quale consolidatasi per effetto delle pronuncia delle 5. U. del 2009, conferma indirettamente la
corrispondenza di quest’ultima all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla
novella del 2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle S. U. della Corte e l’indiretta conferma
della sua correttezza proveniente dallo stesso legislatore militano, in definitiva, per
l’inapplicabilità del cit. art. 47, prima delle integrazioni apportate dall’art. 38 d.l. n. 98/2011,
all ‘ipotesi di richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente riconosciute
e liquidate dall ‘ente previdenziale.
In tal senso si è da ultimo pronunciata questa 5. C. (v. sentenze 8.5.12 n. 6959, 9.5.12 nn. 7083,
7084, 7085, 7086, 7087, 7088, 7089, 7090, 7095, 10.5.12 nn. 7123, 7124 ed altre ancora).
4.1 — Il secondo motivo di ricorso è manifestamente fondato alla stregua della ormai consolidata
giurisprudenza di questa S.C. (v., da ultimo, Cass. n. 202/2011 e numerose altre conformi alla

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riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene nei casi in cui l’Istituto

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precedente sentenza n. 10546/07), secondo cui, ai fini della liquidazione delle prestazioni
temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione definita dalla contrattazione collettiva da

trattamento di fine rapporto.
4.1. — Tale principio merita di essere ribadito anche in questa sede. La voce denominata “quota
di TFR” dai contratti collettivi vigenti a partire da quello del 27.11.1991 va esclusa dal computo
dell’indennità di disoccupazione, in ragione della volontà espressa dalle parti stipulanti, volontà
che è vietato disattendere ai sensi dell’art. 3 d. i. 14.6.96 n. 318, convertito con modifìcazioni in
legge 29.7.96 n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, la retribuzione dovuta in base
agli accordi collettivi non può essere individuata in difformità rispetto a quanto definito negli
accordi stessi.
4.2. — La summenzionata giurisprudenza di questa S.C. ha, poi, trovato esplicito avallo nel d.L
6.7.2011 n. 98, convertito, con modificazioni, in legge 15.7.2011 n. 111, contenente all’art. 18,
comma 18, una norma di interpretazione autentica dell’art. 4 d.lgs. 16.4.97 n. 146, in forza del
quale detta previsione normativa si interpreta nel senso che la retribuzione utile per il calcolo delle
prestazioni temporanee in favore degli operai agricoli a tempo determinato non è comprensiva
della voce relativa al trattamento di fine rapporto, comunque denominato dalla contrattazione
collettiva.
5. – Per tutto quanto sopra considerato, si
PROPONE
il rigetto, con ordinanza ai sensi dell ‘art. 375 n. 5 c.p.c., del primo motivo di ricorso e
l ‘accoglimento del secondo.”.
H – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore siano del tutto condivisibili,
siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia. Ricorre con ogni evidenza
il presupposto dell’art. 375 n. 5 c.p.c. per la definizione camerale del processo.
III – Conseguentemente, va accolto il secondo motivo di ricorso e rigettato il primo, con
cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. Ex art. 384 co. 2° c.p.c., non
essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, si decide la causa nel merito con il rigetto della
domanda di inclusione della quota di TFR nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione
agricola.
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porre a confronto con il salario medio convenzionale, ex art. 4 d.lgs. n. 146/97, non comprende il

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Ud. 13.5.13
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IV – Le spese dell’intero processo si compensano fra le parti, attesa la problematicità della
materia del contendere.

La Corte
accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al
motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di inclusione della quota di TFR nella
base di calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola. Compensa le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.5.13.

P. Q. M.

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