Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18233 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 24/02/2021, dep. 24/06/2021), n.18233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 845/2015 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

Megastore s.r.l., in persona del liquidatore G.A.,

rappresentata e difesa dall’avv. Luigi Carbone;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, n. 1193/14/2014, depositata il 23 maggio 2014, non

notificata.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 24/02/2021

dal Consigliere Adet Toni Novik.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

– l’agenzia delle entrate (di seguito: l’agenzia) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 1193/14/2014, depositata il 23 maggio 2014, che ne aveva rigettato l’appello proposto avverso quella di primo grado ad essa sfavorevole: con il ricorso originario la società Megastore S.r.l. (di seguito: la contribuente o la società), esercente attività di commercio all’ingrosso di prodotti di telefonia ed elettrodomestici, aveva impugnato l’avviso di accertamento per l’anno di imposta 2006, con cui era stata accertata evasione di tributi (Ires, Irap ed Iva) per costi indeducibili, conseguenti all’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti; erano state applicate sanzioni ed interessi;

– in fatto, la società avrebbe acquistato prodotti di telefonia e televisori direttamente da operatori commerciali dell’Unione Europea e di San Marino, utilizzando fatture emesse dalla società Netcom S.r.l., ritenuta una cartiera;

– si legge in sentenza che la CTP aveva accolto il ricorso ritenendo che anche in presenza di fatture soggettivamente inesistenti fossero deducibili i costi che la contribuente nella fase contenziosa aveva dimostrato di aver sostenuto, per la loro inerenza all’attività dell’impresa;

– il giudice di appello confermava la sentenza di primo grado rilevando che “non risulta essere stato in alcun modo dimostrato che il destinatario delle fatture di acquisto, sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione di acquisto si inseriva nel quadro di una evasione”; rilevava come non fosse stato dimostrato dall’ufficio che il concessionario era consapevole della frode commessa dal venditore;

– il ricorso è affidato ad un solo motivo, cui la contribuente resiste con controricorso e ricorso incidentale, supportati da memoria depositata il 12/2/2021.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

– con l’unico motivo, l’agenzia eccepisce: “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21 comma 7, ai fini Iva e del D.L. 2 marzo 212, n. 16, art. 8, comma 2, convertito, con modificazioni, nella L. 26 aprile 2012, n. 44, ai fini delle imposte dirette, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, osservando che: – la CTR aveva condiviso l’assunto del primo giudice che aveva ritenuto che la pretesa fiscale, basata sul presupposto che la contribuente avrebbe acquistato direttamente dai fornitori esteri tramite la società cartiera Netcom, fosse infondata dal momento che nessuna verifica era stata compita nei confronti della società; – l’agenzia, al contrario, nell’avviso di accertamento aveva indicato l’esistenza di una frode fiscale realizzata con l’utilizzo da parte della società di fatture emesse fittiziamente dalla Netcom S.r.l., conseguendo un risparmio dell’Iva che non veniva versata all’erario; – indici della frode e del coinvolgimento della contribuente si ricavavano, ad avviso della parte, dai seguenti elementi: a) la Netcom aveva iniziato ad operare quattro anni dopo la sua costituzione effettuando ingenti acquisti di merce senza addebito Iva; b) la vendita sotto costo dei beni; c) la scadenza dei pagamenti, risultata fissata per il giorno immediatamente successivo all’emissione della fattura; d) l’assenza delle usuali dilazioni e/o rateazioni; – ritiene quindi che in applicazione dei principi sull’onere della prova spettasse alla parte dimostrare la effettività dell’operazione, la inerenza dei costi e la mancanza di consapevolezza che la Netcom fosse una cartiera;

– la censura è fondata;

– quanto all’imposizione diretta, questa Corte ha affermato il seguente principio di diritto “In tema di imposte sui redditi, a norma della L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 1, (conv. in L. n. 44 del 2012), poichè nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, bensì per essere commercializzati, non è sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da un soggetto diverso dall’effettivo venditore per escludere la deducibilità, ai fini delle imposte dirette, dei costi relativi a siffatte operazioni anche ove ricorrano i presupposti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109. (Sez. 5 -, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018, Rv. 651269 – 02);

– si è osservato che in conseguenza di quanto dispone la indicata normativa, che quale ius supervienens trova applicazione d’ufficio, ai soggetti coinvolti nelle “frodi carosello” non è più contestabile la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma, salvo prova contraria, per essere commercializzati e venduti;

– pertanto, poichè nel caso in esame non è in contestazione la oggettività delle operazioni commerciali poste in essere dalla società” rimangono fermi i criteri ordinari, previsti dal Testo Unico delle imposte dirette, art. 109, che impongono la rigorosa verifica della sussistenza – ad opera del giudice di merito – dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza e determinabilità dei componenti negativi che possono essere portati in deduzione dal reddito imponibile;

– sul punto, la CTR, ha confermato l’accertamento del primo giudice – la cui statuizione è riportata alla pagina 3 della sentenza – che, si è limitato ad affermare che la società “avrebbe potuto dimostrare in caso di verifica la effettiva sussistenza dei costi e l’inerenza all’attività di impresa, ma non risulta aver compiuto nessuna verifica in ordine all’integrale deducibilità per intero dei costi asseritamente sostenuti;

– quanto le valutazioni espresse dalla CTR non sono conformi all’orientamento di legittimità secondo cui “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01);

– è superfluo precisare, trattandosi di principi generali, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.);

– pertanto, nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno o siano intercorse tra soggetti che non siano le genuine controparti, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata (ad esempio, provando che la società emittente la fattura è una “cartiera”, quali ad es. la mancanza di sede, la mancanza di iscrizione, l’omesso versamento delle imposte) o è stata emessa da chi non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate;

– in relazione al tema delle fatture per operazioni (solo) soggettivamente inesistenti, sorge, tuttavia, l’esigenza della tutela della buona fede del contribuente, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (cfr. sentenze 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C- 439/04 e C- 440/04; 21 giugno 2012, Mahagè ben e David, C- 80/11 e C- 142/11; 6 settembre 2012, Toth, C- 324/11; 6 dicembre 2012, Bonik, C- 285/11; 31 gennaio 2013, Stroy Trans, C- 642/11);

– si rende necessario, quindi, tenere conto della concreta vicenda e delle circostanze di volta in volta presenti, spettando all’Amministrazione dimostrare, ed al giudice verificare, “alla luce di elementi oggettivi e senza esigere dal destinatario della fattura verifiche che non gli incombono, che tale destinatario sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata per fondare il suo diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione dell’Iva”;

– sulla scorta di tale pronuncia, questa Corte ha ritenuto che in alcuni casi “l’onere probatorio dell’amministrazione finisce con l’appesantirsi, in quanto, di norma, non è possibile esigere che il cessionario/committente, al fine di assicurarsi che non sussistano irregolarità o evasioni nella catena delle cessioni, verifichi che l’emittente della fattura correlata ai beni e ai servizi ne disponesse e fosse in grado di fornirli e che abbia soddisfatto i propri obblighi di dichiarazione e di pagamento dell’Iva, o che disponga dei relativi documenti” (Cass. n. 24490 del 02/12/2015; v. successivamente anche Cass. n. 17290 del 13 luglio 2017), rimarcando, tuttavia, che continua a prospettarsi un obbligo di verifica in capo al cessionario a fronte di indizi che gli consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasione, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza ed alla luce della qualificata posizione professionale ricoperta, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare ed afferenti alla sua sfera di azione;

– in particolare, (come già sottolineato da Cass. n. 24490 del 2015 cit.), se al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali od operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità e ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore di mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo;

– rileva in proposito Cass. n. 9851/2018 che “In via meramente esemplificativa, poichè la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera. Refluisce in questa stessa considerazione anche l’ipotesi di operazione triangolare “semplice”, rispetto alla quale la sentenza n. 24426 del 2013 (cui hanno dato seguito Cass. n. 10120 del 21/04/2017, Cass. n. 3474 del 13/02/2018) aveva ritenuto che “l’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sè, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poichè l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente”;

– nel caso in esame, la CTR, non ha fatto corretta applicazione di questi principi, non considerando che, nel caso in esame, con il proprio appello (trascritto alle pagg. 56) l’agenzia aveva dato dimostrazione dei molteplici elementi di fatto (mancanza di strutture operative idonee da parte della Netcom; vendita dei beni a un prezzo inferiore a quello di acquisto; evasione dell’Iva da parte della cartiera, anomale modalità di pagamento) dai quali inferire l’inesistenza delle operazioni; era quindi onere della CTR verificare se gli indizi forniti erano di consistenza tali da rendere legittimo l’accertamento;

– la sentenza va quindi cassata;

– il ricorso incidentale con cui la società deduce la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 15, per aver la CTR compensato le spese del giudizio di appello è assorbito.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla CTR della Puglia in diversa composizione per nuovo esame.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 24 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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