Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18230 del 29/07/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 18230 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: MANNA ANTONIO

-v 9

ORDINANZA
sul ricorso 18808-2011 proposto da:
SPINA LUIGI SPNLGU51H08F839J, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
°DERISI° DA GUBBIO 18, presso l’UFFICIO LEGALE CODICI, rappresentato e
difeso dagli avvocati AMBROSIO GIUSEPPE, DI PALMA GIUSEPPE giusta procura
a margine del ricorso;
– ricorrente contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI
12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
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5G3

Data pubblicazione: 29/07/2013

R.G. n. 18808/11
Ud. 13.5.13
Spina c. Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca scientifica + I

– controdcorrente –

ITCG DE FILIPPO;
– intimato avverso la sentenza n. 4124/2010 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del
19/05/2010, depositata il 05/07/2010;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2013 dal
Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MANNA;
è presente il P.G. in persona del Dott. COSTANTINO FUCCI.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO e MOTIVI DELLA DECISIONE
I – Il consigliere relatore nominato ai sensi dell’art. 377 c.p.c. ha depositato la seguente relazione
ai sensi degli artt. 380-bis e 375 c.p.c.:
“Luigi Spina ricorre per la cassazione della sentenza n. 4124/2010 della Corte d’appello di
Napoli che, rigettando il gravame proposto contro la pronuncia del Tribunale della stessa sede, ha
negato il diritto dell’attore al riconoscimento integrale dell’anzianità maturata presso l’ente locale
di provenienza da parte del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (d’ora innanzi
anche MIUR).
Resiste il MIUR con controricorso.
Deve osservarsi che la medesima questione è stata già decisa da Cass. 12 ottobre [2011] n.
20980 e Cass. 14 ottobre 120111 n. 21282, cui si rinvia per una motivazione più analitica. In
estrema sintesi, deve rilevarsi quanto segue.
La controversia concerne il trattamento giuridico ed economico del personale amministrativo,
tecnico ed ausiliario (A TA) della scuola trasferito dagli enti locali al Ministero in base alla L. 3
maggio 1999, n. 124, art. 8.
Tale norma fu oggetto di un vasto contenzioso concernente, specificamente, l’applicazione che
della stessa venne data dal D.M. Pubblica Istruzione 5 aprile 2001, che recepì l’accordo stipulato
tra l’ARAN e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali in data 20 luglio 2000. Le controversie

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contro

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giudiziarie riguardarono in particolare la possibilità di incidere, su di una norma di rango
legislativo, da parte di un accordo sindacale poi recepito in decreto ministeriale. La giurisprudenza

febbraio 2005, n. 3224; 4 marzo 2005, n. 4722, nonché 27 settembre 2005, n. 18829; da ultimo, sul
punto, cfr. Cass., 14 marzo 2012, n. 4045).
Intervenne il legislatore, dettando la L. n. 266 del 2005, art. 1, comma 218 (finanziaria del
2006), che recepì, a sua volta, i contenuti dell’accordo sindacale e del decreto ministeriale. Il
legislatore elevò, quindi, a rango di legge la previsione dell’autonomia collettiva. Si sostenne, da un
lato, che tale norma non avesse efficacia retroattiva e, dall’altro, che se dotata di efficacia
retroattiva, fosse incostituzionale sotto molteplici profili. Entrambe le posizioni sono stata giudicate
non fondate. L’efficacia retroattiva è stata affermata da questa Corte (per tutte, 5. U., 8 agosto
2011, n. 17076) e dalla Corte costituzionale (sentenza n. 234 del 2007). L’incostituzionalità è stata
esclusa in quattro interventi del giudice delle leggi (Corte cost. n. 234 e n. 400 del 2007; n. 212 del
2008; n. 311 del 2009). Per tali motivi, ricorsi di contenuto analogo a quello qui considerato, sono
stati respinti (cfr. per tutte, Cass., 9 novembre 2010, n. 22751).
Tale approdo deve ora essere integrato con quanto statuito dalla Corte di giustizia dell’Unione
europea (Grande sezione) nella sentenza 6 settembre 2011 (procedimento C-108/10, Scattolon),
emessa su domanda di pronuncia pregiudiziale in merito all’interpretazione della direttiva del
Consiglio 14 febbraio 1977, 77/187/CEE.
La CGUE ha risposto a quattro questioni poste dal Tribunale di Venezia. La prima consisteva
nello stabilire se il fenomeno successorio disciplinato dalla L. n. 124 del 1999, art. 8 costituisca un
trasferimento d’impresa ai sensi della normativa dell’Unione relativa al mantenimento dei diritti dei
lavoratori. La soluzione è affermativa (“La riassunzione, da parte di una pubblica autorità di uno
Stato membro, del personale dipendente di un’altra pubblica autorità, addetto alla fornitura, presso
le scuole, di servizi ausiliari comprendenti, in particolare, compiti di custodia e assistenza
amministrativa, costituisce un trasferimento di impresa ai sensi della direttiva del Consiglio 14
febbraio 1977, 77/187/CEE, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri
relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti
o di parti di stabilimenti, quando detto personale è costituito da un complesso strutturato di

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si orientò in senso negativo, sebbene con percorsi argomentativi diversi (cfr., e plurimis, Cass., 17

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impiegati tutelati in qualità di lavoratori in forza dell’ordinamento giuridico nazionale di detto
Stato membro ‘).

rapporto di cui all’art. 3, n. 1 della 77/187 deve essere interpretata nel senso di una quantificazione
dei trattamenti economici collegati presso il cessionario all’anzianità di servizio che tenga conto di
tutti gli anni effettuati dal personale trasferito anche di quelli svolti alle dipendenze del cedente
(seconda questione); – se tra i diritti del lavoratore che si trasferiscono al cessionario rientrano
anche posizioni di vantaggio conseguite dal lavoratore presso il cedente quale l’anzianità di
servizio se a questa risultano collegati nella contrattazione collettiva vigente presso il cessionario,
diritti di carattere economico (terza questione). Il dispositivo della decisione è: “quando un
trasferimento ai sensi della direttiva 77/187 porta all’applicazione immediata, ai lavoratori
trasferiti, del contratto collettivo vigente presso il cessionario e inoltre le condizioni retributive
previste da questo contratto sono collegate segnatamente all’anzianità lavorativa, l’art. 3 di detta
direttiva osta a che i lavoratori trasferiti subiscano, rispetto alla loro posizione immediatamente
precedente al trasferimento, un peggioramento retributivo sostanziale per il mancato
riconoscimento dell’anzianità da loro maturata presso il cedente, equivalente a quella maturata da
altri lavoratori alle dipendenze del cessionario, all’atto della determinazione della loro posizione
retributiva di partenza presso quest’ultimo. È compito del giudice del rinvio esaminare se, all’atto
del trasferimento in questione nella causa principale, si sia verificato un siffatto peggioramento
retributivo”.
Il giudice nazionale è, quindi, chiamato dalla Corte di giustizia ad accertare se, a causa del
mancato riconoscimento integrale della anzianità maturata presso l’ente cedente, il lavoratore
trasferito abbia subito un peggioramento retributivo.
Una volta inquadrato nel concetto di trasferimento d’azienda e, quindi, assoggettato alla
direttiva 77/187, al trasferimento degli ATA si applica non solo il n. 1 dell’art. 3 della direttiva, ma
anche il n. 2, disposizione che riguarda segnatamente l’ipotesi in cui l’applicazione del contratto in
vigore presso il cedente venga abbandonata a favore di quello in vigore presso il cessionario (come
nel caso in esame). Il cessionario ha diritto di applicare sin dalla data del trasferimento le
condizioni di lavoro previste dal contratto collettivo per lui vigente, ivi comprese quelle concernenti
la retribuzione (punto n. 74 della sentenza). Ciò premesso, la Corte sottolinea che gli stati
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Con la seconda e la terza questione si chiedeva alla Corte di stabilire: – se la continuità del

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dell’Unione, pur con un margine di elasticità, devono attenersi allo scopo della direttiva,
consistente “nell’impedire che i lavoratori coinvolti in un trasferimento siano collocati in una

in cui si precisa che la direttiva “ha il solo scopo di evitare che determinati lavoratori siano
collocati, per il solo fatto del trasferimento verso un altro datore di lavoro, in una posizione
sfavorevole rispetto a quella di cui godevano precedentemente’).
Quindi, nella definizione delle singole controversie, è necessario stabilire se si è in presenza di
condizioni meno favorevoli. A tal fine, il giudice del merito deve osservare i seguenti criteri: a)
Quanto ai soggetti la cui posizione va comparata, il confronto è con le condizioni immediatamente
antecedenti al trasferimento dello stesso lavoratore trasferito (così il n. 75 e, al n. 77, si precisa
“posizione sfavorevole rispetto a quella di cui godevano prima del trasferimento”. Idem nn. 82 e
83). Al contrario, non ostano eventuali disparità con i lavoratori che all’atto del trasferimento
erano già in servizio presso il cessionario (n. 77); b) Quanto alle modalità, si deve trattare di
peggioramento retribuivo sostanziale (così il dispositivo) ed il confronto tra le condizioni deve
essere globale (n. 76: “condizioni globalmente meno favorevoli”; n. 82: “posizione globalmente
sfavorevole”), quindi non limitato allo specifico istituto; c) Quanto al momento da prendere in
considerazione, il confronto deve essere operato all’atto del trasferimento (nn. 82 e 84, oltre che nel
dispositivo: “all’atto della determinazione della loro posizione retributiva di partenza’).
La quarta ed ultima questione posta dal Tribunale di Venezia atteneva alla conformità della
disciplina italiana e specificamente della Legge Finanziaria 2006, art. 1, comma 218 all’art. 6, n. 2
TUE in combinato disposto con l’art. 6 della CEDU e artt. 46 e 47 e art. 52, n. 3 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000, come recepiti nel
Trattato di Lisbona. La Corte, dando atto della pronunzia emessa il 7 giugno 2011 dalla Corte
europea dei diritti dell’uomo (sentenza Agrati), ha statuito che “vista la risposta data alla seconda
ed alla terza questione, non c’è più bisogno di esaminare se la normativa nazionale in oggetto,
quale applicata alla ricorrente nella causa principale, violi i principi” di cui alle norme su
indicate.
La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea incide sul presente giudizio. In base
all’art. 11 Cost. e all’art. 117 Cost., comma 1, il giudice nazionale e, prima ancora,
l’amministrazione, hanno il potere-dovere di dare immediata applicazione alle norme della Unione
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posizione meno favorevole per il solo fatto del trasferimento” (n. 75, il concetto è ribadito al n. 77

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europea provviste di effetto diretto, con i soli limiti derivanti dai principi fondamentali dell’assetto
costituzionale dello Stato ovvero dei diritti inalienabili della persona, nel cui ambito resta ferma la

170 del 1984; ordinanza n. 536 del 1995 nonché, da ultimo, sentenze n. 284 del 2007, n. 227 del
2010, n. 288 del 2010, n. 80 del 2011). L’obbligo di applicazione è stato riconosciuto anche nei
confronti delle sentenze interpretative della Corte di giustizia (emanate in via pregiudiziale o a
seguito di procedura di infrazione) ove riguardino norme europee direttamente applicabili (cfr.
Corte Cost. sentenze n. 113 del 1985, n. 389 del 1989 e n. 168 del 1991, nonché, sull’onere di
interpretazione conforme al diritto dell’Unione, sentenze n. 28 del 2010 e n. 190 del 2000).
Non rileva, ai fini di causa, il fatto che, all’epoca in cui la Corte di giustizia si è espressa, la
decisione Agrati della CEDU non fosse ancora definitiva, perché la decisione della Corte di
giustizia nella parte in cui delinea il suo rapporto con la sentenza Agrati non si basa su questo
dato, ma sul contenuto della decisione della CEDU.
La sentenza Agrati parte dalla premessa che “i ricorrenti sostengono di aver percepito, in
seguito al trasferimento, un trattamento economico nel complesso inferiore a quello percepito
prima del trasferimento” e “hanno perso tutti gli elementi accessori della retribuzione” e perviene
alla conclusione che “l’adozione della finanziaria 2006 definiva il merito della controversia e
rendeva vana la prosecuzione dei procedimenti”, conclusione in forza della quale ha espresso il
suo giudizio sull’intervento del legislatore italiano.
La sentenza Scattolon, interpretando la normativa italiana alla luce del diritto europeo, perviene
alle conclusioni di cui si è dato conto, in forza delle quali il singolo giudizio non può dirsi chiuso e
il diritto dei lavoratori (a non percepire, a seguito del trasferimento, un trattamento nel complesso
inferiore a quello percepito prima del trasferimento) trova garanzia. Ciò spiega perché, la Corte di
giustizia abbia giudicato assorbita la quarta questione, implicante la chiusura del giudizio e la
negazione della garanzia su indicata.
Deve aggiungersi, per completezza, che anche l’altra affermazione formulata dai ricorrenti nella
causa Agrati di aver perso “tutti gli elementi accessori della retribuzione” non è fondata, in quanto
nella controversie in cui la questione è stata posta, la decisione è stata nel segno della
conservazione del diritto (cfr., Cass. 19 marzo 2012, n. 4316, confermando l’orientamento della

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possibilità del controllo di costituzionalità (cfr, per tutte, Corte cost. sentenze n. 183 del 1973 e n.

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sentenza di merito emessa dalla Corte d’appello di Brescia, a sua volta di conferma della sentenza
del Tribunale che aveva accolto la domanda del lavoratore).

caso in esame deve essere deciso con l’accoglimento del ricorso del lavoratore. La violazione del
complesso normativo, costituito dalla L. n. 124 del 1999, art. 4 e L. n. 266 del 2005, art. 1, comma
218 denunziata, deve essere verificata in concreto sulla base dei principi enunciati dalla Corte di
giustizia europea. A tal fine il giudice del rinvio, applicando i criteri di comparazione su
specificati, dovrà decidere la controversia nel merito, verificando la sussistenza, o meno, di un
peggioramento retributivo sostanziale all’atto del trasferimento e dovrà accogliere o respingere la
domanda del lavoratore in relazione al risultato di tale accertamento.
Per tutto quanto sopra considerato, si
PROPONE
l ‘accoglimento del ricorso con ordinanza, ai sensi dell’art. 375 n. 5 c.p.c.”.
Il – Ritiene questa Corte che le considerazioni svolte dal relatore siano del tutto condivisibili,
siccome coerenti alla consolidata giurisprudenza di legittimità in materia. Ricorre con ogni evidenza
il presupposto dell’art. 375 n. 5 c.p.c. per la definizione camerale del processo.
III – Conseguentemente, il ricorso va accolto e la sentenza cassata, con rinvio alla Corte
d’appello di Napoli in diversa composizione.
P. Q. M.
La Corte
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Napoli in diversa
composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13.5.13.

In conclusione, in consonanza con la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea, il

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