Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18229 del 29/07/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. 3 Num. 18229 Anno 2013
Presidente: TRIFONE FRANCESCO
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

SENTENZA
sul ricorso 24681-2007 proposto da:
NERI GIANLUCA & C. S.N.C. 01335750392 in persona del legale
rappresentante NERI GIANLUCA, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA ANTONIO BERTOLONI 44, presso lo studio
dell’avvocato SANTIAPICHI SEVERINO, rappresentata e difesa
dall’avvocato RUBBOLI RICCARDO giusta procura in atti;

– ricorrente contro
MORIGI VALERIA MRGVLR51E66C553H, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio
dell’avvocato CARLETTI FIORAVANTE, che la rappresenta e

Data pubblicazione: 29/07/2013

difende unitamente all’avvocato COATTI PIER GIORGIO giusta
procura in atti;
– controricorrente avverso la sentenza n. 429/2006 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
08/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito l’Avvocato CRISTINA CARLETTI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
ANTONIETTA CARESTIA che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione per la
convalida, notificata il 9 giugno 2004, Morigi Valeria, locatrice di un
immobile ad uso commerciale sito in Milano Marittima e condotto in
locazione dalla Neri Gianluca & C. S.n.c., conveniva in giudizio,
dinanzi al Tribunale di Ravenna, la conduttrice, deducendo che la
medesima non aveva pagato la rata semestrale del canone, scaduta il 31
marzo 2004 e pari ad € 1.965, 63.
L’intimata si costituiva opponendosi allo sfratto e assumendo che,
successivamente alla stipula del contratto che prevedeva il pagamento
del canone in due rate semestrali, le parti avevano concordato
verbalmente il pagamento del canone in un’unica soluzione annuale,
alla fine della stagione estiva.
Il giudice adito denegava l’emissione dell’ordinanza di rilascio e
disponeva la prosecuzione del giudizio nelle forme ordinarie, previa
trasformazione del rito.

2

BOLOGNA, depositata il 05/07/2006, R.G.N. 503/2005;

Con sentenza del 21-24 marzo 2005 il Tribunale di Ravenna risolveva
il contratto per inadempimento della conduttrice, che condannava al
rilascio dell’immobile e alle spese di lite.
Avverso tale decisione la parte soccombente proponeva appello cui
resisteva la locatrice.

luglio 2006, rigettava il gravame e condannava l’appellante alle spese
del grado.
Avverso la sentenza della Corte di merito la Neri Gianluca & C S.n.c.
ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Ha resistito con controricorso Morigi Valeria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Al ricorso in esame si applica il disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. inserito nel codice di rito dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed
abrogato dall’art. 47, comma 1, lett. d) della legge 18 giugno 2009, n.
69 – in considerazione della data di pubblicazione della sentenza
impugnata (5 luglio 2006).
1.1. Questa Corte ha in più occasioni chiarito che nei casi previsti
dall’art. 360, primo comma, nn. 1, 2, 3 e 4, c.p.c. “i quesiti di diritto
imposti dall’art. 366 bis c.p.c. – introdotto dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n.
40, art. 6, comma 1, secondo una prospettiva volta a riaffermare la
cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di
soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite
diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo
stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto
applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica
della Corte di Cassazione, il cui rafforzamento è alla base della nuova
normativa secondo N’esplicito intento evidenziato dal legislatore
all’art. 1 della Legge Delega 14.5.2005, n. 80; i quesiti costituiscono,
3

La Corte di appello di Bologna, con sentenza depositata in data 5

pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico
e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti,
inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di
legittimità” (v. Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass. 9 maggio
2008, n. 11535; Cass., sez. un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez.

14385).
Pertanto, affermano le Sezioni Unite di questa Corte che,
“travalicando” “la funzione nomofilattica demandata al giudice di
legittimità” “la risoluzione della singola controversia, il legislatore ha
inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di
collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di
congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale,
diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costatitivi la
stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità:
donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si
concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai
criteri informatori della norma. Incontroverso che il quesito di diritto
non possa essere desunto per implicito dalle argomentazioni a
sostegno della censura, ma debba essere esplicitamente formulato,
nell’elaborazione dei canoni di redazione di esso la giurisprudenza di
questa Suprema Corte è, pertanto, ormai chiaramente orientata nel
ritenere che ognuno dei quesiti formulati per ciascun motivo di ricorso
debba consentire l’individuazione tanto del principio di diritto che è
alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, del
principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata
applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una
decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata; id est che il
4

un., 29 ottobre 2007, n. 22640; Cass., sez. un., 21 giugno 2007, n.

giudice di legittimità debba poter comprendere, dalla lettura del solo
quesito inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di
diritto asseritamente compiuto dal giudice e quale sia, secondo la
prospettazione del ricorrente, la diversa regola da applicare. Ove tale
articolazione logico-giuridica manchi, il quesito si risolverebbe in

risulterebbe, ciò nonostante, inidonea sia ad evidenziare il nesso tra la
fattispecie concreta, l’errore di diritto imputato al giudice a quo ed il
difforme criterio giuridico di soluzione del punto controverso che si
chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione del
principio cui la Corte deve pervenire nell’esercizio della funzione
nomofilattica. Il quesito non può, pertanto, consistere in una mera
richiesta d’accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte in
ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello
svolgimento dello stesso, ma deve costituire la chiave di lettura delle
ragioni esposte e porre la Corte medesima in condizione di rispondere
ad esso con l’enunciazione d’una regula

1.1117.S

che sia, in quanto tale,

suscettibile, al contempo, di risolvere il caso in esame e di ricevere
applicazione generale, in casi analoghi a quello deciso” (v., in
motivazione, Cass., sez. un., 6 febbraio 2009, n. 2863; v. Cass., ord., 24
luglio 2008, n. 20409).
1.2. Nella giurisprudenza di questa Corte é stato, inoltre, precisato che,
secondo l’art. 366 bis c.p.c., anche nel caso previsto dall’art. 360, primo
comma, n. 5, c.p.c., l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a
pena di inammissibilità, la chiara indicazione, sintetica ed autonoma,
del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assuma
omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la
decisione, e la relativa censura deve contenere un momento di sintesi
5

un’astratta petizione di principio che, se pure corretta in diritto,

(omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i
limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione
del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 18
luglio 2007, n. 16002; Cass., sez. un., 1° ottobre 2007, n. 20603; Cass.
27 ottobre 2011, n. 22453). Con l’ulteriore precisazione che tale

complessiva illustrazione del motivo – all’esito di un’attività di
interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del
ricorrente – consenta di comprendere il contenuto e il significato delle
censure, in quanto la ratio che sottende la disposizione indicata è
associata alle esigenze deflattive del filtro di accesso alla suprema
Corte, la quale deve essere posta in condizione di comprendere, dalla
lettura del solo quesito, quale sia l’errore commesso dal giudice di
merito (v. Cass. 18 novembre 2011, n. 24255).
2. Con il primo motivo, denunciando l’errata applicazione dell’art.
1455 c.c., la ricorrente censura la sentenza impugnata perché in
contrasto con la norma citata, non essendo emerso, a suo dire, alcun
elemento che induca a ritenere grave il suo inadempimento, in
relazione sia all’interesse del creditore e al comportamento delle parti,
sia all’equilibrio e all’economia generale del contratto.
Assume la ricorrente che il pagamento del canone di locazione in
un’unica soluzione anziché in due rate semestrali era stato sempre
effettuato per prassi dalla conduttrice senza che la locatrice avesse mai
eccepito alcunché e solo dopo sette anni dalla conclusione del
contratto la Morigi aveva agito per la risoluzione del contratto,
lamentando il mancato pagamento della rata semestrale, il che sarebbe
indicativo del difetto di un reale interesse della locatrice
all’adempimento puntuale delle prestazioni secondo le scadenze
previste in contratto. Inoltre, assume la conduttrice che il Giudice del
6

requisito non può dirsi rispettato qualora solo la completa lettura della

merito non avrebbe considerato la sua offerta

banco iudicis del

pagamento di quanto richiesto, al cui versamento poi, stante il rifiuto
della locatrice, aveva provveduto a mezzo bonifico bancario, sicché,
avendo la debitrice, dopo l’instaurazione del giudizio, offerto il
pagamento della somma richiesta, il suo inadempimento sarebbe di

art. 1455 c.c..
2.1. In relazione al motivo all’esame la ricorrente pone il seguente
quesito di diritto: “Accerti la Suprema Corte se nel caso di specie, alla luce del
rapporto contrattuale in essere tra le parti sin dal 1997 e di una prassi consolidata
relativa a modalità di pagamento del canone differenti rispetto a quelle contrattuali
(pagamento in un’unica soluzione al termine della stagione estiva, anziché in due
rate semestrali), la parte creditrice — pur tollerando per diversi anni tali diverse
modalità di adempimento — possa legittimamente invocare l’inadempimento ex art.
1455 c. c. qualora la parte debitrice continui ad effettuare il pagamento del canone
in un’unica soluzione annuale anziché in due rate semestrali”.
2.3. Il motivo è inammissibile, in quanto il quesito formulato in
relazione allo stesso è inconferente, non cogliendo la ratio decidendi su
cui si fonda la sentenza impugnata. La Corte di appello ha, infatti,
evidenziato l’assoluta mancanza di acquiescenza della locatrice al
pagamento del canone in un’unica rata annuale dimostrata dalla
deposizione del teste Ruffilli, e di tanto la censura e il relativo quesito
non tengono conto.
Peraltro il motivo, oltre ad essere inammissibile sotto altro profilo, in
quanto tendente ad una rivalutazione del merito preclusa in questa
sede, é, comunque, infondato, non rilevando la mera tolleranza della
Morigi nel ricevere il canone oltre il termine stabilito o comunque con
modalità diverse da quelle pattuite, considerato che è stata esclusa, nella

7

scarso rilievo e non idoneo a giustificare la risoluzione del contratto ex

specie, l’acquiescenza al riguardo della locatrice senza che — come già
evidenziato — sul punto la sentenza impugnata sia stata censurata.
Va altresì rilevato che la circostanza che il conduttore in mora di un
immobile ad uso non abitativo abbia adempiuto dopo l’intimazione di
sfratto, introduttiva della causa di risoluzione del contratto, non può

integri il requisito della gravità di cui all’art. 1455 c.c. (v. Cass. 26
ottobre 2012 n. 18500).
3. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta insufficiente
motivazione della sentenza impugnata in quanto la stessa non terrebbe
conto di tutte le deduzioni difensive dell’appellante ed in particolare
dell’assunto secondo cui il mancato pagamento di un solo canone di
locazione costituirebbe un inadempimento parziale che, in
considerazione “dell’economia contrattuale”, non comporterebbe
automaticamente la pronuncia di risoluzione.
3.1. Il motivo è inammissibile, non essendo stato formulato in
relazione allo stesso il cd. quesito di fatto; a tale riguardo si rinvia a
quanto già evidenziato nel § 1.2..
Peraltro il motivo all’esame é, in ogni caso, infondato, in quanto dal
complesso della motivazione emerge chiaramente che il Giudice del
merito ha ritenuto l’inadempimento della società conduttrice tale da
incidere in modo rilevante sull’equilibrio negoziale (Cass. 28 ottobre
2011, n. 22521).
Alle argomentazioni che precedono va aggiunto che, secondo
l’orientamento costante di questa Corte, da cui non vi é motivo di
discostarsi, il disposto dell’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c. non
conferisce alla Corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il
merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logicoformale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione data dal
8

essere tenuta in considerazione al fine di stabilire se l’inadempimento

giudice del merito, al quale soltanto spetta individuare le fonti del
proprio convincimento, e, in proposito, valutare le prove, controllarne
l’attendibilità e la concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie,
quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, senza che il
predetto giudice incontri alcun limite al riguardo, salvo quello di

tenuto a vagliare ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni
difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le
circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, risultino
logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass. 20 aprile
2006, n. 9234).
4. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
5. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,
seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società
ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese
del presente giudizio di legittimità, che liquida in complessivi curo
2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte S rema di Cassazione, in data 8 maggio 2013.

indicare le ragioni del proprio convincimento, non essendo peraltro

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA