Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18228 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. I, 05/07/2019, (ud. 21/06/2019, dep. 05/07/2019), n.18228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 29232/2018 r.g. proposto da:

I.T., (cod. fisc. (OMISSIS)), rappresentato e difeso, giusta

procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Federico

Lera, presso il cui studio elettivamente domicilia in (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della CORTE DI APPELLO di GENOVA, depositata in

data 03/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2019 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. I.T. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi, avverso la sentenza della Corte di appello di Genova n. 565/2018, reiettiva del gravame da lui proposto contro la decisione del Tribunale della stessa città che – al pari di quanto già fatto dalla Commissione territoriale – aveva respinto la sua domanda di protezione internazionale o di riconoscimento di quella umanitaria. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.

1.1. Per quanto qui ancora di interesse, quella corte, tenuto conto della narrazione del richiedente, giudicata inattendibile, e della concreta situazione socio-politica del suo Paese di provenienza ((OMISSIS)), ha ritenuto insussistenti i presupposti necessari per il riconoscimento di ciascuna delle forme di protezione invocata.

2. I formulati motivi di ricorso prospettano, rispettivamente:

I) “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), in combinato disposto con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 (protezione sussidiaria)”, criticandosi la decisione impugnata nella parte in cui aveva negato la sussistenza dei requisiti per la invocata protezione sussidiaria;

II) “Violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, in combinato disposto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, (protezione umanitaria)”, censurandosi la sentenza impugnata per aver escluso anche la sussistenza dei requisiti per la invocata protezione umanitaria;

III) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (in fatto)”, ascrivendosi alla corte distrettuale di non aver considerato alcuni elementi essenziali – indicati nella doglianza – ai fini della decisione.

3. Il primo motivo è inammissibile perchè concerne, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio, senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), ma deve essere dedotta, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati attraverso una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non tramite la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (cfr. Cass. n. 24298 del 2016; Cass. n. 5353 del 2007).

3.1. Nella specie, la corte genovese non solo ha considerato inattendibile la narrazione dell’odierno ricorrente (nella parte in cui è stata giustificata la scelta di lasciare il proprio Paese per effetto di una contesa tra vicini su di un terreno, benchè tale motivazione fosse ormai venuta meno in conseguenza della già avvenuta rinuncia al terreno medesimo; ingiustificato era anche il timore di rientrare in (OMISSIS), ivi continuando a vivere il resto della propria famiglia senza subire altre molestie), ma ha anche motivatamente escluso – facendo riferimento alle fonti internazionali – che la zona di provenienza di quest’ultimo sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

3.1.1. Questa Corte, peraltro, ha recentemente chiarito che: i) la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019); in tema di riconoscimento della protezione sussidiaria, il principio secondo il quale, una volta che le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad approfondimenti istruttori officiosi, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori, non riguarda soltanto le domande formulate ai sensi dell’art. 14, lett. a) e b), del predetto decreto, ma anche quelle formulate ai sensi dell’art. 14, lett. c), poichè la valutazione di coerenza, plausibilità e generale attendibilità della narrazione riguarda “tutti gli aspetti significativi della domanda” (art. 3, comma 1) e si riferisce a tutti i profili di gravità del danno dai quali dipende il riconoscimento della protezione sussidiaria (cfr. Cass. n. 4892 del 2019).

4. Analoga sorte merita il secondo motivo di ricorso, concernente il diniego di protezione umanitaria, atteso che, indipendentemente dagli effetti del D.L. 4 ottobre 2018, n. 113 convertito, con modificazioni, dalla L. 10 dicembre 2018, n. 132, la corte distrettuale, malgrado la ritenuta inattendibilità del ricorrente, ha considerato dirimente, sostanzialmente, il difetto di qualsivoglia specifica allegazione in punto di sua vulnerabilità (insufficienti rivelandosi le sole ragioni economiche o di criminalità comune), senza che il rilievo in tal modo operato abbia trovato adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo suddetto.

4.1. A tanto deve soltanto aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo, per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

5. Inammissibile è, infine, anche il terzo motivo di ricorso, che ascrive alla corte distrettuale di non aver considerato, ai fini della decisione, alcuni, a dire del ricorrente, “elementi essenziali”.

5.1. In particolare, la critica è rivolta contro la parte della decisione impugnata in cui si afferma che “…l’appellante sostiene che, nel suo racconto, il signor I.T. avrebbe riferito che i vicini contavano su amicizie potenti e sull’appoggio della Polizia, ma nessun riferimento di questo genere è contenuto nel verbale di audizione davanti alla Commissione…”, e che “…l’appellante riporta anche delle frasi virgolettate contenenti tali riferimenti ma di tali frasi non vi è traccia nel verbale…”.

5.1.1. Si sostiene, al contrario, che “i riferimenti richiamati dalla scrivente difesa sarebbero i seguenti: “Volevamo fare la pace ma le persone che mi hanno picchiato non volevano. Hanno portato anche i poliziotti per farci paura” (pagina 3 del verbale di audizione in Commissione) – “Poi le persone del villaggio non sono riuscite ad arrivare ad una soluzione. In più loro avevano fatto arrivare i poliziotti per farci paura” (pagina 4 del verbale) – “Quel terreno è mio, sono potenti ed lo non ho i soldi e la forza” (pagina 4 del verbale) – “Qualunque persona vada su quel terreno loro la picchiano. Per questo noi non riusciamo più ad andarci. Non abbiamo neanche i soldi per andare dalla Polizia a denunciarli” (pagina 5 del verbale) – “Per quale ragione non vi siete rivolti alla Polizia? Prima che andassimo loro avevano già portato i poliziotti. Hanno fatto vedere ai poliziotti il nostro terreno e noi non ci siamo avvicinati per paura di essere arrestati” (pagina 5 del verbale) “Se devi rivolgerti ai poliziotti potevamo essere picchiati da queste persone. Non capisci che hanno fatto portare i poliziotti prima di noi” (pagina 5 del verbale) – “Ha detto che queste persone sono potenti. Mi parli di loro, perchè dice che sono potenti? Perchè hanno tanti soldi. Uno dei loro figli è un professore. Uno dei loro amici è un Governatore” (pagina 6 del verbale)”.

5.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che, per effetto della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 3 aprile 2018), oggetto del vizio di cui alla citata norma è oggi esclusivamente l’omesso esame circa un “fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

5.2.1. Costituisce, poi, un “fatto”, agli effetti della menzionata norma, non una “questione” o un “punto”, ma: i) un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, ossia un fatto principale, ex art. 2697 c.c., cioè un “fatto” costitutivo, modificativo impeditivo o estintivo, o anche un fatto secondario, vale a dire un fatto dedotto ed affermato dalle parti in funzione di prova di un fatto principale (cfr. Cass. n. 16655 del 2011; Cass. n. 7983 del 2014; Cass. n. 17761 del 2016; Cass. n. 29883 del 2017); ii) un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico-naturalistico (cfr. Cass. n. 21152 del 2014; Cass., SU, n. 5745 del 2015); iii) un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante, e le relative ricadute di esso in termini di diritto (cfr. Cass. n. 5133 del 2014); /v) una vicenda la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014).

5.2.2. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: i) le argomentazioni o deduzioni difensive (cfr. Cass., SU, n. 16303 del 2018, in motivazione; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015);

gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); iii) una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (cfr. Cass. n. 21439 del 2015).

5.2.3. Il “fatto” il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere “decisivo”, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poichè l’attributo si riferisce al “fatto” in sè, la “decisività” asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di “certezza” della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015).

5.2.4. Lo stesso deve, altresì, essere stato “oggetto di discussione tra le parti”: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto “controverso”, contestato, non dato per pacifico tra le parti, in continuità con la modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 già voluta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 così da tenersi ben distinto un tale vizio dall’errore di fatto revocatorio ex art. 395 c.p.c., n. 4, il quale, al contrario, non deve aver costituito un “punto controverso su cui la sentenza ebbe a pronunciare”.

5.2.5. E’ utile rammentare, poi, che Cass., SU, n. 8053 del 2014, ha chiarito che “la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4), – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti”.

5.3. Alla stregua dei principi tutti fin qui esposti, il motivo in esame è inammissibile perchè la corte distrettuale ha ritenuto inattendibile il racconto dell’odierno ricorrente laddove ha motivato la scelta di lasciare il proprio Paese a causa di una contesa tra vicini su di un terreno, benchè tale motivazione fosse ormai venuta meno in conseguenza della già avvenuta rinuncia al terreno medesimo. Essa, inoltre, ha considerato ingiustificato anche il timore di I.T. di rientrare in (OMISSIS), evidenziando che ivi continuava a vivere il resto della propria famiglia senza subire altre molestie.

5.3.1. E’ evidente, dunque, che il preteso omesso esame oggi ascritto al giudice di merito, quand’anche, per mera ipotesi (e sottacendosi la verifica del rispetto degli oneri di allegazione sanciti da Cass., SU, n. 8053 del 2014), lo si volesse far rientrare nel descritto perimetro applicativo del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, investirebbe fatti/vicende del tutto privi del necessario carattere di decisività nei sensi in precedenza descritti.

6. In definitiva, I.T., con tutti i motivi in esame, tenta sostanzialmente di opporre alla valutazione fattuale contenuta nella sentenza impugnata una propria alternativa interpretazione, sebbene sotto la formale rubrica del vizio di violazione di legge o motivazionale, mirando ad ottenerne una rivisitazione (e differente ricostruzione), in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex multis, Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).

7. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia in ordine alla spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì (risultando provata l’avvenuta ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato) della insussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di Cassazione, il 21 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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