Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18227 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/09/2011, (ud. 22/06/2011, dep. 05/09/2011), n.18227

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. LA TERZA Maura – rel. Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

C.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA GIORGIO SCALIA 12, presso lo studio dell’avvocato GATTI

MARCO, rappresentata e difesa dall’avvocato FAUGNO MASSIMO giusta

procura speciale ad litem a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso lo

studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale ad litem a margine del controricorso;

– controracorrente –

avverso la sentenza n. 3 00/2 008 della CORTE D’APPELLO di ROMA

dell’11/01/2008, depositata il 30/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

22/06/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato Faugno Massimo, difensore della controricorrente che

si riporta agli scritti e chiede la manifesta fondatezza del ricorso;

è presente il P.G. in persona del Dott. CARLO DESTRO che nulla

osserva.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 bis c.p.c.:

“Con ricorso notificato il 26 giugno 2009, C.G. chiede con un unico motivo la cassazione della sentenza depositata il 30 giugno 2008, con la quale la Corte d’appello di Roma aveva confermato la decisione di primo grado di rigetto della sua domanda di conversione del contratto a tempo determinato stipulato con Poste Italiane s.p.a. relativamente al periodo dal 17 novembre 1998 al 31 marzo 1999 – ai sensi dell’art. 8 del C.C.N.L. 26 novembre 1994 e successive integrazioni, per esigenze eccezionali conseguenti la fase di ristrutturazione in corso – per avere ritenuto il rapporto estinto per tacito mutuo consenso.

In proposito, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1372 c.c. per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto sufficiente a realizzare l’assenso della lavoratrice alla risoluzione del rapporto il semplice trascorrere del tempo e il fatto che ella avesse svolto altro lavoro.

L’intimata resiste alla domanda con rituale controricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006 n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c. con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto.

Va infatti ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, cui il collegio aderisce, è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372 cod. civ., comma 1, il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano oggettivo del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà psicologica dei contraenti, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico; e ciò con particolare riferimento alla materia lavoristica ove operano, nell’anzidetta prospettiva, principi di settore che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione (cfr., ad es., Cass. 6 luglio 2007 n. 15264, 7 maggio 2009 n. 10526).

In proposito, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi1 la volontà chiara e certa delle parti di voler porre fine al rapporto grava sul datore di lavoro che deduce la risoluzione dello stesso per mutuo consenso (cfr. ad es. Cass. 2 dicembre 2002 n. 17070 e 2 dicembre 2000 n. 15403).

E’ poi consolidato l’orientamento secondo cui il relativo giudizio, sulla configurabilità o meno, in concreto, di un tale accordo per facta concludentia, viene devoluto al giudice di merito, la cui valutazione, se congruamente motivata, si sottrae a censure in sede di controllo di legittimità della decisione (cfr., diffusamente, tra le altre, le sentenze citate).

Ciò premesso, si rileva che la Corte territoriale ha nel caso in esame enunciato e fatto corretta applicazione di tali principi, dichiarando quindi che la mera inerzia della lavoratrice non poteva essere normalmente interpretata come fatto estintivo de rapporto, in quanto tale effetto consegue dal concorso di altre circostanze significative e valutando nel caso di specie, con un giudizio di fatto riservato ai giudici di merito, che la breve durata del contratto a termine, non reiterato nel tempo, l’inerzia della lavoratrice perdurata per circa cinque anni nonchè il fatto che ella già dall’anno successivo allo scadere del termine svolgesse un altro rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato deponevano, alla stregua di valutazioni di tipicità sociale, nel senso della manifestazione di un tacito assenso alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Una tale valutazione, proprio perchè ragionevolmente ancorata a parametri di tipicità sociale, non appare censurabile in questa sede di legittimità.” E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

Il Collegio condivide il contenuto della relazione, con conseguente rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alle spese di questo giudizio, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la C. a rimborsare alla società resistente le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 22 giugno 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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