Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18220 del 29/07/2013


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 18220 Anno 2013
Presidente: TRIOLA ROBERTO MICHELE
Relatore: MAZZACANE VINCENZO

SENTENZA

sul ricorso 20202-2006 proposto da:
BERARDINI ACHILLE BRRCLL41E14F839P, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA F. GREGOROVIUS 20, presso lo
studio dell’avvocato RICCOBELLI SANDRO, rappresentato
e difeso dall’avvocato BOSCO GIUSEPPE;
– ricorrenti nenchè contro

ARPINO ANTONINO, ARPINO COLOMBA, COSENTINO ALDO,
ARPINO LAURA, ARPINO SALVATORE, COSENTINO MARGHERITA,
ARPINO ANNA, STAIANO ANGELA, ARPINO FRANCESCO, ARPINO
RAFFAELLA, ARPINO GASPARE, ARPINO LUIGI;

Data pubblicazione: 29/07/2013

- intimati

avverso la sentenza n. 1603/2005 della CORTE
D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 25/05/2005;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/06/2013 dal Consigliere Dott. VINCENZO

udito l’Avvocato RICCOBELLI Sandro, con delega
depositata in udienza dell’Avvocato BOSCO Giuseppe,
difensore difensore del ricorrente che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso e si riporta alle memorie
depositate;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. VINCENZO GAMBARDELLA che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

MAZZACANE;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 31-12-1981 i coniugi Alfonso Arpino e Angela Staiano, premesso di essere
proprietari, in parti uguali tra loro, per acquisto fattone da Antonietta Davide con atto per notaio
Pinto di Sorrento del 31-11-1976, di una porzione del fabbricato di vecchissima costruzione, in

– Il quartino a piano terra, sottostante a parte dell’abitazione di essi istanti, era di proprietà
di Achille Berardini per acquisto fattone per notaio Pinto del 9-5-1979 da Ida Cosentino:
– quest’ultima, prima della vendita in favore del Berardini, aveva realizzato due vani abusivi
su suolo cortilizio comune dopo l’acquisto fattone da Antonietta Davide con rogito per
notaio Pinto del 4-9-1968:

gli esponenti avevano interesse allo sgombro di tutto lo spazio comune ed alla
demolizione delle costruzioni eseguite abusivamente;

– lo stesso Berardini aveva apposto su tutta la parte del cortile comune attigua alla sua
abitazione delle corde di ferro per stendere la biancheria ad asciugare, con conseguente
intralcio e difficoltà nell’utilizzo da parte degli istanti di detta parte condominiale.

Tanto premesso gli attori convenivano in giudizio il Berardini dinanzi al Tribunale di Napoli
chiedendo dichiararsi la illegittimità della costruzione dei due vani sul suolo comune e
condannarlo alla demolizione degli stessi nonché alla rimozione delle corde apposte nel cortile.

Si costituiva in giudizio il convenuto contestando il fondamento delle domande attrici di cui
chiedeva il rigetto; in via riconvenzionale chiedeva la condanna delle controparti in solido alla
rimozione di tutti gli abusi realizzati, ovvero: a) trasformazione di un suppenno ubicato al secondo
piano in un appartamento monocamera; b) costruzione di una cucinetta sulla prima rampa delle
scale d’accesso alla loro proprietà; c) costruzione di un gabinetto su suolo comune con abolizione
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pessimo stato di manutenzione, sito in Meta di Sorrento, via del Cafiero 3, assumevano:

di una veduta esercitata dal Berardini; d) ristrutturazione di una stanzetta sovrastante la proprietà
Berardini, con apertura di una finestra sul cortile comune; e) sistemazione sul solaio della cucina di
proprietà del Berardini di vasi di fiori di grandi dimensioni, con alterazione dell’estetica e pericolo
per il solaio medesimo; f) sostituzione di un parapetto in muratura con inferriata affacciante sul

costruiti “ex novo” nel pozzo nero esistente al centro del cortile e costruito per l’assorbimento di
soli tre scarichi e non di cinque.

Il Berardini inoltre veniva autorizzato a chiamare in causa la venditrice Ida Cosentino per essere
dalla stessa manlevato da tutti i danni derivatigli dall’eventuale accoglimento delle domande
attrici.

All’udienza del 14-12-1982 si costituiva in giudizio la Cosentino chiedendo il rigetto delle domande
attrici, assumendo di essere stata autorizzata dalla venditrice Antonietta Davide con il rogito per
notaio Pinto del 4-2-1968 ad eseguire la riattazione dei due bassi con annesso gabinetto ubicati
nel cortile comune.

Dopo il trasferimento della causa per competenza territoriale al Tribunale di Torre Annunziata, a
seguito della morte di Alfonso Arpino si costituivano volontariamente i figli Raffaella, Antonio,
Gaspare, Luigi, Anna, Francesco, Laura, Salvatore e Colomba Arpino, riportandosi a tutte le
precedenti deduzioni.

Il suddetto Tribunale con sentenza del 15-9-2000 rigettava le domande attrici e, in accoglimento
della domanda riconvenzionale, condannava la Staiano ed i suddetti figli di Alfonso Arpino in
solido al ripristino dello stato dei luoghi prima esistente nel fabbricato sito in Meta di Sorrento, via
del Cafiero 3, demolendo a loro spese:

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cortile con aggravio della servitù di veduta; g) immissione abusiva degli scarichi di due gabinetti

a) le addizioni apportate al solaio di copertura del vano terraneo adibito a cucina sito
all’interno del cortile e di proprietà del convenuto, ripristinando l’originaria situazione, ed
immettendo il proprietario nel materiale possesso della superficie superiore del solaio;
b) l’unità abitativa realizzata in sostituzione del suppenno, con ripristino di quest’ultima

c) il gabinetto w.c. realizzato al piano terra di una parte del cortile comune, antistante il vano
cucina del convenuto, ripristinando lo stato iniziale e riportando la larghezza della veduta
esercitata dal convenuto stesso fino a metri lineari 1,40.

Inoltre la Staiano e gli Arpino venivano condannati ad eseguire a loro spese le opere necessarie ad
eliminare le lesioni riscontrate dal CTU sia nell’appartamento al piano terra di proprietà del
convenuto e sia nelle fondazioni del fabbricato condominiale ed al risarcimento dei danni in favore
del Berardini da liquidarsi in separata sede.

Proposta impugnazione da parte della Staiano e degli Arpino cui resisteva il Berardini la Corte di
Appello di Napoli con sentenza del 25-5-2005, nella contumacia della Cosentino, ha accolto per
quanto di ragione la domanda principale proposta in primo grado dagli appellanti, e per l’effetto
ha dichiarato illegittimi, in quanto realizzati nel cortile comune, la costruzione del corpo di fabbrica
in prosieguo della preesistente cucina del Berardini e l’ampliamento del preesistente gabinetto, ha
condannato quest’ultimo a demolire il predetto corpo di fabbrica ed a ridurre il gabinetto alle
dimensioni precedenti, ha rigettato la domanda riconvenzionale proposta in primo grado dal
Berardini, ed ha dichiarato inammissibile la domanda subordinata di manleva proposta da
quest’ultimo nei confronti della Cosentino.

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struttura e delle stesse dimensioni;

Avverso tale sentenza il Berardini ha proposto un ricorso articolato in tre motivi depositando
successivamente una memoria; nessuna delle parte intimate ha svolto attività difensiva in questa
sede.

Questa Corte con ordinanza del 25-10-2012 ha disposto il rinnovo della notifica del ricorso ad Aldo

suddetto intimato non ha svolto alcuna attività difensiva.

Il ricorrente ha successivamente depositato un’ulteriore memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c.
nonché vizio di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver ritenuto inammissibile la
domanda subordinata di manleva formulata in primo grado dall’esponente nei confronti della
Cosentino per non averla riproposta in appello ex art. 346 c.p.c.; invero secondo l’orientamento
maggioritario la parte vittoriosa in primo grado non ha l’onere di proporre impugnazione
incidentale per le domande non esaminate, essendo sufficiente il loro richiamo ai sensi dell’art.
346 c.p.c.; pertanto, la suddetta domanda di manleva doveva ritenersi essere stata riproposta per
il fatto che il Berardini aveva chiesto, nelle conclusioni di cui alla comparsa di appello, rigettarsi
l’appello, confermando in ogni sua parte la gravata sentenza, tenuto conto altresì che uno dei
punti fermi della difesa dell’esponente era stato proprio quello della chiamata in manleva della
sua dante causa Cosentino.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda subordinata di manleva proposta dal
Berardini nei confronti di Ida Cosentino in quanto l’appellato, pur non essendo tenuto a proporre
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Cosentino, concedendo termine a tal fine di giorni 90 ed ha rinviato la causa a nuovo ruolo; il

appello incidentale relativamente a tale domanda in quanto convenuto risultato vittorioso in
primo grado, nondimeno aveva l’onere di riproporre a pena di decadenza ex art. 346 c.p.c. tale
domanda, onere in realtà non assolto.

Tale statuizione è corretta, posto che, rimasta evidentemente assorbita la domanda di garanzia

l’attuale ricorrente era risultato completamente vittorioso, era necessario riproporre tale
domanda ai sensi dell’art. 346 c.p.c (vedi “ex multis” in tal senso Cass. 31-1-2006 n. 2146); ed è
evidente che l’aver chiesto nel giudizio di secondo grado il semplice rigetto dell’appello proposto
dagli appellanti non è sufficiente in proposito, non riguardando tale istanza la domanda di manleva
nei confronti della Cosentino.

Con il secondo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, censura la sentenza
impugnata per aver rigettato la domanda riconvenzionale spiegata dall’esponente avente ad
oggetto la demolizione delle addizioni apportate al solaio di copertura del vano terraneo adibito a
cucina e di proprietà del convenuto; erroneamente invero era stato rilevato un vizio di
ultrapetizione del giudice di primo grado in quanto il Berardini avrebbe chiesto la semplice
rimozione di un vaso posto dagli attori sul solaio della sua cucina senza rivendicare la proprietà
esclusiva del solaio in questione, atteso che il giudice di appello ha confuso l’originario locale
cucina di proprietà dell’esponente con quello del quale le controparti nel giudizio di primo grado
avevano chiesto la demolizione; del resto il mutamento dello stato dei luoghi nei termini dedotti
dal Berardini era emerso anche dalla seconda relazione depositata dal CTU Coppola il 26-4-1991.

La censura è inammissibile.

Il giudice di appello, accogliendo la censura relativa ad un vizio di ultrapetizione formulata dagli
appellanti, ha affermato che nella comparsa di costituzione in primo grado il Berardini si era
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introdotta dal Berardini nei confronti della Cosentino all’esito de giudizio di primo grado nel quale

limitato a chiedere la rimozione di un vaso posto dagli attori sul solaio della sua cucina in quanto
asseritamente dannoso per l’estetica e la statica dell’edificio, senza rivendicare la proprietà
esclusiva del solaio in questione, ed ha aggiunto che, pur avendo chiesto poi il Berardini all’udienza
del 7-4-1988 sempre del giudizio di primo grado la riduzione in pristino di ulteriori opere realizzate

realizzata dagli attori sul solaio della cucina del Berardini secondo quanto emerso dalla seconda
relazione del CTU, dalla quale, contrariamente a quanto rilevato dal giudice di primo grado, non si
evinceva alcuna addizione al solaio di copertura del vano cucina di proprietà del convenuto.

Tanto premesso, si rileva che il motivo in esame prospetta un errore di fatto da parte del giudice di
appello, consistente nell’aver confuso l’originario locale cucina di proprietà dell’esponente con
quello del quale gli attori nel giudizio di primo grado avevano chiesto la demolizione, come
emergerebbe anche dalla CTU, e come dunque risulterebbe dagli atti del giudizio di merito; si
tratta quindi di un tipico vizio revocatorio, che può essere fatto valere, sussistendone i
presupposti, solo con lo specifico strumento della revocazione disciplinato dall’art. 395 c.p.c.

Con il terzo motivo il Berardini, deducendo violazione o falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e vizio
di motivazione, censura la sentenza impugnata per aver rigettato la domanda dell’esponente per
la demolizione di un suppenno realizzato dalle controparti, che aveva determinato lesioni nella
proprietà dell’istante, per un pretesa efficacia di giudicato attribuita alla sentenza della Corte di
Appello di Napoli n, 2437/1996 pronunciata tra le stesse parti, assumendo che in realtà si trattava
di fatti diversi costituiti dalla costruzione di un nuovo appartamento da parte degli Arpino nel
1988, mentre il presente giudizio era stato promosso con atto di citazione del 1981.

Del pari il ricorrente esclude l’affermata efficacia di giudicato della stessa richiamata sentenza
relativamente ad un gabinetto che le controparti avrebbero realizzato non su suolo condominiale,
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dalle controparti in corso di causa da lui specificatamente indicate, nessuna di tali opere risultava

bensì nel sottoscala di una scala di accesso alla proprietà esclusiva degli appellanti; infatti da tale
scala si accedeva, oltre che all’appartamento degli Arpino, anche al suppenno di proprietà
comune, trattandosi del sottotetto di un edificio la cui proprietà era divisa per piani; inoltre
l’accesso a tale scala costituiva anche accesso al piano terra, ed alla attuale cucina del Berardini.

La Corte territoriale ha escluso che la copertura di un terrazzino da parte degli appellanti avesse
potuto determinare delle lesioni nella proprietà del Berardini a seguito della sentenza della stessa
Corte di Appello di Napoli dell’11-10-1996 intervenuta tra le stesse parti e passata in giudicato su
tale questione; sempre per l’effetto del giudicato di tale sentenza il giudice di appello ha rilevato
che il gabinetto pure costruito dagli appellanti non era stato realizzato su suolo condominiale, ma
nel sottoscala di una scala di accesso alla loro proprietà esclusiva, che non rientrava quindi tra le
parti comuni.

Pertanto ai fini della delibazione sulla fondatezza o meno del motivo in oggetto è necessario
esaminare direttamente la sentenza sopra menzionata della Corte di Appello di Napoli per
verificare la sua efficacia o meno di giudicato nel presente giudizio, efficacia negata dal ricorrente;
tale sentenza peraltro non è stata rinvenuta nel fascicolo d’ufficio, e tale impossibilità di visionarla
preclude di verificare la fondatezza o meno del motivo con conseguente sua inammissibilità, in
quanto era onere del ricorrente, proprio in relazione al motivo proposto, produrre la sentenza
predetta.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato; non occorre procedere ad alcuna statuizione in ordine
alle spese di giudizio, non avendo le parti intimate svolto alcuna attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

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La censura è inammissibile.

La Corte

Rigetta il ricorso.

Il Consigliere estensore

Così deciso in Roma il 4-6-2013

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