Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18219 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. II, 02/09/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 02/09/2020), n.18219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2044/2016 proposto da:

JONIA COSTRUZIONI SRL, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

BABUINO 107, presso lo studio dell’avvocato ANGELO R. SCHIANO, e

rappresentata e difesa dagli avvocati MICHELE LEMBO, e GIUSEPPE A.

DELLA DUCATA, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.L. SURL, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO DEL

RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PELLEGRINO,

e rappresentata e difesa dall’avvocato BARTOLO RAVENNA, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 719/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 24/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Il Tribunale di Lecce sezione distaccata di Gallipoli con sentenza del 4 luglio 2011 condannava la Jonia Costruzioni S.r.l. ad arretrare ed, ove necessario, demolire la costruzione realizzata a distanza inferiore rispetto a quella di cui del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, rispetto al fabbricato della R.L. S.r.l., rilevando che il fabbricato della convenuta era posto a soli 7,71 m. in luogo dei prescritti 10 m., occorrendo disapplicare le diverse previsioni delle NTA del PRG del Comune di Gallipoli.

Avverso tale sentenza proponeva appello la Jonia Costruzioni e, nella resistenza della società appellata, la Corte d’Appello di Lecce con la sentenza n. 719 del 24 settembre 2015 ha rigettato il gravame, condannando l’appellante al rimborso delle spese del grado.

I giudici di appello, in primo luogo, rilevavano che lungo la facciata dell’edificio della società convenuta si aprivano dei veri e propri ballatoi, e non dei semplici balconi, il che consentiva di attribuire loro la consistenza di vere e proprie costruzioni, da considerare ai fini del rispetto delle distanze (nè la soluzione sarebbe mutata ove si fosse trattato di balconi, posto che anche a tali manufatti si attribuisce la qualifica di costruzione ai fini del rispetto delle previsioni di cui all’art. 873 c.c.).

Ne derivava che era corretta la soluzione del Tribunale di disapplicare le previsioni di cui all’art. 5.1 dello strumento urbanistico del Comune di Gallipoli, secondo cui la distanza di dieci metri tra edifici frontistanti finestrati non si applica nel caso di allineamenti stradali preesistenti e di nuove costruzioni con lotti edificati ove la distanza tra costruzione esistente e relativo confine sia inferiore a m. 5, atteso che secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U. n. 14953/2011) le prescrizioni di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, hanno carattere vincolante per gli enti territoriali, di modo che le stesse sono destinate a sostituirsi alle difformi prescrizioni degli strumenti urbanistici locali per effetto di un meccanismo di inserzione automatica, previa disapplicazione della norma secondaria contrastante con dette previsioni.

Quanto al secondo motivo, con il quale l’appellante sosteneva di avere utilizzato nella sua costruzione delle preesistenti mura perimetrali, potendo quindi beneficiare del diritto a conservare la costruzione nella sede originaria, la sentenza d’appello osservava che la deduzione oltre che essere nuova, in quanto proposta per la prima volta in appello, era altresì infondata, posto che l’intera costruzione della Jonia era stata edificata ex novo, con demolizione del preesistente fabbricato.

A nulla rilevava che fosse stata rispettata la sagoma originaria, in quanto si verteva in un’ipotesi non già di ricostruzione tal quale, ma di nuova costruzione, occorrendo quindi fare applicazione della normativa esistente al momento della nuova attività edificatoria.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Jonia Costruzioni S.r.l. sulla base di due motivi.

La R.L. S.u.r.l. ha resistito con controricorso.

2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 873,879 e 1062 c.c., nonchè del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., nonchè dell’art. 31 del R.E. del Comune di Gallipoli, nonchè il difetto assoluto di motivazione per motivazione apparente.

La censura, dopo avere richiamato le considerazioni in fatto sviluppate da pag. 1 a 9 del ricorso, sostiene che per effetto delle peculiarità ivi segnalate, la soluzione dei giudici di appello non corrisponderebbe ad effettiva giustizia, in quanto non avrebbe tenuto conto delle vicende proprietarie dei beni.

Inoltre, proprio in ragione del precedente assetto proprietario, sussisterebbe il diritto della ricorrente a conservare in loco il fabbricato facendo applicazione dell’art. 1062 c.c..

Il motivo è inammissibile.

Tutta la doglianza della ricorrente parte da una serie di premesse in fatto che sono ricondotte all’originario assetto proprietario dell’area oggetto di causa, e ciò sul presupposto che la stessa appartenesse in origine ad un unico soggetto che l’aveva poi alienata in parte alla ricorrente.

Si deduce che per effetto di tale originario atto di vendita, sarebbe residuata un’area cortilizia comune posta a confine con le proprietà dei contendenti, essendo peraltro sub iudice la stessa titolarità dei beni in capo alla società controricorrente. Rileva tuttavia il Collegio che quanto dedotto con il ricorso attiene prevalentemente a questioni in fatto ed in diritto del tutto nuove, e come tali inammissibili in sede di legittimità. Questa Corte, ha infatti, affermato che (Cass. n. 8206/2016) qualora una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata nè indicata nelle conclusioni ivi epigrafate, il ricorrente che riproponga tale questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale scritto difensivo o atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (conf. Cass. n. 7048/2016).

La ricostruzione delle vicende fattuali operata dalla ricorrente nelle prime nove pagine del ricorso appare suffragata da una serie di documenti indicati con i numeri da 1 a 7 nell’indice in calce al ricorso, ma non risulta specificato se fossero stati o meno prodotti nelle precedenti fasi di merito, in violazione del precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, sicchè ove la loro produzione debba ritenersi operata per la prima volta in sede di legittimità sarebbe inammissibile non rientrando tali documenti nel novero di quelli suscettibili di produzione ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

Quanto poi alla allegazione in fatto che la proprietà dei beni sarebbe stata in origine in capo ad un unico soggetto, della stessa non vi è traccia nella sentenza impugnata, nè la ricorrente si perita, come era invece suo specifico onere al fine di superare il rilievo di novità e conseguente inammissibilità della deduzione, di indicare in quale precedente atto difensivo fosse stata sviluppata, essendo del pari carente l’allegazione circa l’avvenuta deduzione dell’acquisto a titolo originario per destinazione del padre di famiglia del diritto a conservare il manufatto nella posizione attuale (e ciò anche a voler tacere della risposta offerta dai giudice di appello, che ha sottolineato come la costruzione realizzata dalla ricorrente fosse da reputarsi nuova e quindi inidonea sia a legittimare l’acquisto del diritto per usucapione, sia ai sensi della norma invocata nella rubrica del motivo in esame).

Anche la denuncia del vizio di motivazione è destinata a perdere di rilevanza, volta che la stessa risulta del pari fondata sulla erronea ricognizione della situazione in fatto, ma sulla base dell’allegazione di elementi prospettati per la prima volta in sede di legittimità, ed in contrasto con l’accertamento in fatto operato dal giudice di appello, palesandosi la motivazione adottata del tutto logica e coerente in relazione al quadro probatorio ivi accertato.

3. Il secondo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 102 c.p.c., artt. 873,879 e 1062 c.c., nonchè del D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, u.c., assumendosi che “a fronte dei fatti e dei rapporti di causa” fosse necessario disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Comune di Gallipoli per essere l’ente cessionario del porticato/galleria del manufatto della società ricorrente.

Le considerazioni esposte in occasione della disamina del motivo che precede, quanto all’inammissibilità per l’assoluta novità delle questioni in diritto ed in fatto sollevate impongono di affermare l’inammissibilità anche del motivo in esame, atteso che la pretesa destinazione del porticato ad uso pubblico con cessione al patrimonio comunale emergerebbe, a detta della ricorrente, solo dai documenti che appaiono prodotti per la prima volta in sede di legittimità, non risultando dalla lettura della sentenza impugnata che la stessa abbia costituito oggetto di specifica deduzione nè avendo parte ricorrente allegato in quale precedente scritto difensivo il tema fosse stato posto (cfr., anche con specifico riferimento alla necessità di integrazione del contraddittorio, Cass. n. 4696/1987, secondo cui non può essere dedotta per la prìma volta in sede di legittimità l’eccezione di difetto del contraddittorio al fine di ottenere l’annullamento della sentenza impugnata per violazione della disciplina del litisconsorzio necessario, se l’esistenza di litisconsorti necessari non risulta sulla base dei fatti emergenti dagli atti e dai documenti acquisti nel giudizio di merito; conf. Cass. n. 7701/1994; Cass. n. 10693/1994; Cass. n. 3688/2006; Cass. n. 25305/2008).

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

5. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

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