Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18218 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. II, 02/09/2020, (ud. 20/02/2020, dep. 02/09/2020), n.18218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1441/2016 proposto da:

P.I., PA.FA., PA.LU.MA.,

PA.EL.MA., PA.CA.MA., PA.VA.MA.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo

studio dell’avvocato GIAN MICHELE GENTILE, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato FRANCESCO DI BARTOLO, giusta procura

in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

E.E., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEGLI SCIPIONI

268/A, presso lo studio dell’avvocato PIERO FRATTARELLI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA BASSO, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2766/2014 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 10/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/02/2020 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie dei ricorrenti.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con citazione del 7 febbraio 2000, E.E. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza, P.I., Pa.Fa., L.M., E.M., C.M. e V.M. per sentirli condannare alla demolizione delle opere realizzate sul loro fondo a distanza inferiore di quella legale, calcolata in relazione al confine.

Deduceva di essere proprietaria di un terreno confinante con quello dei convenuti, tutti eredi di Pa.Gi., sul quale era stato edificato un capannone che distava meno di un metro dal confine, e che era propria intenzione costruire a sua volta sul suo terreno.

Tuttavia il Comune aveva respinto la richiesta di concessione, rilevando che non sarebbero state rispettate le distanze dal capannone dei confinanti.

Aveva quindi inviato atto di interpello ai convenuti ex art. 875 c.c., i quali avevano dichiarato di essere intenzionati ad estendere il loro fabbricato sino al confine, dopo di che essa attrice avrebbe potuto costruire in aderenza.

Tuttavia tale dichiarazione non aveva avuto alcun seguito, inibendo di fatto la possibilità di edificare per l’istante.

Si costituivano i convenuti i quali deducevano di avere maturato per usucapione il diritto di mantenere il fabbricato nella posizione attuale, risalendo la stessa al 1972, come si evinceva da una scrittura sottoscritta da E.A., dante causa dell’attrice, con la quale era stato concesso a Pa.Gi. di mantenere la costruzione a distanza inferiore rispetto a quella di legge, a condizione che l’altezza del muro fosse stata ridotta a tre metri, condizione effettivamente rispettata.

All’esito dell’istruttoria il giudice adito con la sentenza n. 1394 del 2006 accoglieva la domanda, condannando i convenuti a demolire il capannone, dichiarando cessata la materia del contendere sulla domanda riconvenzionale dei convenuti, avendo l’attrice eliminato il manufatto cui la stessa si riferiva. Avverso tale decisione proponevano appello i convenuti, cui resisteva l’attrice.

La Corte d’Appello di Venezia con la sentenza n. 2766 del 10/12/2014 ha rigettato il gravame, condannando gli appellanti al rimborso delle spese del grado.

In relazione al primo motivo di appello, con il quale si insisteva sul fatto che in realtà il capannone di cui era stata ordinata la demolizione sarebbe stato realizzato in parte prima della scrittura privata del 24/11/1972 ed in altra parte nel 1975, nel rispetto degli accordi presi con la citata scrittura, la Corte d’Appello riteneva dirimente la circostanza che non era stato provato che E.A. fosse dante causa dell’attrice quanto al bene oggetto di causa.

Tale conclusione era stata, infatti, contestata dall’attrice sin dalla memoria di cui all’art. 180 c.p.c., sostenendosi che la scrittura invocata dalle controparti non poteva spiegare efficacia nella vicenda.

Aveva poi rilevato che i beni a tutela dei quali aveva agito appartenevano all’impresa individuale IDE Valbruna Distillerie, impresa alla quale il detto E.A. era del tutto estraneo.

La prova della successione dell’attrice al genitore non era però stata fornita dagli appellanti, nemmeno avvalendosi della documentazione tardivamente prodotta in grado di appello, e come tale non suscettibile di utilizzazione.

Infatti, quanto agli immobili di cui l’attrice si affermava proprietaria, riportati ai mappali nn. (OMISSIS) del foglio (OMISSIS) del Comune di Barbarano Vicentino, dalle visure catastali non emergeva una successione paterna, non risultando in particolare che la particella n. (OMISSIS), poi divenuta (OMISSIS), fosse stata intestata, con tale ultima numerazione alla E..

In relazione invece agli altri due mappali, risultava che la precedente intestazione era in capo all’attrice ed al coniuge D.T.F., essendovi solo una risalente intestazione ad E.A. sino all’11 aprile 1978, che potrebbe far presumere che gli stessi fossero stati alienati all’attrice ed al marito.

Tuttavia il regime di comunione di tali beni portava a concludere che l’acquisto non fosse avvenuto per successione ereditaria, come vorrebbero gli appellanti, unica ipotesi in cui effettivamente l’invocata scrittura potrebbe assumere efficacia vincolante anche per l’attrice, stante la mancata sua trascrizione.

Tale conclusione portava a ritenere superato anche l’errore nel quale era incorso il Tribunale, che aveva rigettato la domanda sull’erroneo presupposto della presenza sul fondo dei convenuti di due diversi capannoni.

Destituita di efficacia la scrittura del 1972, quanto alla richiesta di accertare l’usucapione da parte degli appellanti, questi non avevano fornito alcuna prova dell’epoca di realizzazione del manufatto, non avendo efficacia probatoria le autodichiarazioni rese nella domanda di condono.

Era poi rigettato anche il secondo motivo di appello, con il quale si lamentava la compensazione solo parziale delle spese di lite, rilevandosi che a fronte della dichiarazione di cessazione della materia del contendere sulla domanda riconvenzionale e del rigetto della domanda risarcitoria dell’attrice, era condivisibile il giudizio di prevalente soccombenza dei convenuti ai quali era stato ordinato di demolire il capannone. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso P.I., Pa.Fa., Pa.Lu.Ma., Pa.El.Ma., Pa.Ca.Ma., Pa.Va.Ma. sulla base di un motivo.

E.E. ha resistito con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

2. Il motivo di ricorso denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Quanto alle ragioni del rigetto dell’appello, fondate sulla mancata dimostrazione della qualità di erede in capo all’appellata di E.A., che aveva sottoscritto la scrittura privata del 24/11/1972, si lamenta che le visure catastali prodotte in appello denotavano come i beni in origine fossero appartenuti al detto E.A..

L’attrice si è affermata proprietaria senza però produrre alcun titolo legittimante ed è stata affermata l’inopponibilità alla controparte della detta scrittura privata sol perchè non trascritta, trascurandosi che però, in assenza della prova di un acquisto a titolo originario, l’attrice era comunque un successore della parte che aveva concesso il diritto a mantenere il fabbricato a distanza inferiore a quella di legge. Nella seconda parte del motivo poi si ribadisce che in realtà il capannone insistente sul fondo dei ricorrenti è uno solo, e che l’equivoco in cui è malamente incorso il Tribunale appare ricollegabile alla variazione degli identificativi catastali del terreno, di modo che, una volta ribadita la vincolatività ed efficacia della più volte richiamata scrittura privata, non poteva che riconoscersi il diritto a mantenere la costruzione nella sua attuale posizione.

Il ricorso è infondato.

Rileva il Collegio come le questioni poste con il motivo in esame appaiano sostanzialmente riproduttive di quelle già esaminate e decise da questa Corte con la recente ordinanza n. 21501/2018, alla cui soluzione intende darsi continuità.

Nella vicenda decisa dal precedente ora richiamato l’attrice deduceva di essere proprietaria di un compendio immobiliare, e che alla stessa, in quanto acquirente del bene a titolo particolare dal padre non era opponibile, poichè non trascritto e privo dei necessari requisiti di forma e sostanza, il contratto stipulato dai convenuti con il di lei padre, con il quale era stata attribuita ai convenuti stessi la facoltà di edificare in deroga alle norme sulle distanze, sia tra fabbricati, che rispetto al confine.

I giudici di appello, considerato che l’attrice aveva acquistato, sia pure a titolo gratuito, inter vivos e non mortis causa, ritennero inopponibile la scrittura e disposero la condanna all’arretramento del manufatto, edificato a soli 29,5/30 cm. di distanza dal confine.

Avverso tale sentenza era stato proposto ricorso per cassazione ed i primi due motivi denunziavano la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1350,1346,1372,2644,949, c.c., art. 81 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3, nonchè l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, riproponendo la tesi già avanzata nel corso del giudizio di merito secondo cui, poichè l’attrice era succeduta, quale erede universale, al padre, la stessa era soggetta ai limiti posti alla proprietà dal de cuius, tal quale a lei pervenuta per successione. Il contratto invocato dai ricorrenti aveva quindi prodotto effetti reali, ai sensi degli artt. 1350 e 1346 c.c., ai quali la controricorrente non poteva sottrarsi, in quanto non poteva essere considerata terzo. Nè assumeva rilievo la circostanza che l’attrice avesse agito affermandosi proprietaria per acquisto a titolo di donazione, poichè: “al contempo erede del padre (…) in tale sua qualità (era subentrata) nei contratti da questi sottoscritti”.

La decisione n. 21501/2018 ha correttamente rilevato che per effetto dell’acquisto dell’immobile per atto inter vivos, il bene non faceva parte del relictum ereditario, sicchè la circostanza che costei fosse figlia ed erede del padre era un evento accidentale del tutto irrilevante quanto alla sorte del predetto bene. Infatti, in caso di mancata trascrizione del relativo atto costitutivo, la servitù è inopponibile agli aventi causa, a titolo particolare, del proprietario del fondo servente, che abbiano acquistato in base ad un titolo regolarmente trascritto e sempre che la servitù non sia stata portata a loro conoscenza, ed implicitamente da essi accettata, nei rispettivi atti di trasferimento della proprietà, senza peraltro che, in quest’ultimo caso, ai fini di detta opponibilità sia sufficiente che, in luogo della descrizione della servitù esistente, l’atto di trasferimento contenga frasi generiche o di mero stile, ricorrenti negli atti notarili (cfr., ex multis, Sez. 2, n. 5158, 3/4/2003, Rv. 561789; Sez. 2, n. 9457, 28/4/2011, Rv. 617690).

Nè era dirimente affermare che dal contratto a suo tempo stipulato dai ricorrenti con il padre dell’attrice fossero derivati effetti reali, dovendosi fare applicazione della concorrente regola che subordina una tale efficacia nei confronti dei terzi alla previa trascrizione.

Quanto al vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, se ne ravvisava l’evidente infondatezza, atteso che la norma de qua, a seguito della riforma operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, consente il ricorso solo in presenza di omissione della motivazione su un punto controverso e decisivo (pur dovendosi assimilare alla vera e propria omissione le ipotesi, che qui non ricorrono, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – S.U., n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830; S.U. n. 8054, 7/4/2014, Rv. 629833; Sez. 6- 2, ord., n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914), omissione che non si rilevava affatto, avendo la Corte territoriale preso in considerazione il punto controverso.

Poste tali premesse, già il solo rilievo che nella fattispecie risulti denunciato solo il vizio di cui dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, implica la manifesta infondatezza del motivo, posto che la questione relativa alla successione della E. al padre ha costituito oggetto di espressa disamina da parte dei giudici di appello, che hanno, sulla scorta del materiale istruttorio in atti, escluso che fosse stata dimostrata l’esistenza di una vicenda successoria di carattere ereditario, emergendo piuttosto elementi per ipotizzare una successione a titolo particolare tra E.A. e la figlia, unitamente al coniuge, D.T.F..

Orbene, in disparte la mancata contestazione al rilievo di inammissibilità della produzione documentale operata in grado di appello dai convenuti per la pretesa violazione dell’art. 345 c.p.c., documentazione che a detta degli odierni ricorrenti proverebbe invece la qualità di succeditrice della originaria parte attrice rispetto alla parte che ha sottoscritto la scrittura con la quale è stato concesso (a titolo evidentemente di servitù) il diritto a costruire a distanza inferiore a quella di legge, emerge che con detta scrittura sarebbe stata derogata la previsione in materia di distanze di cui al PRG vigente (cfr. pag. 17 del ricorso), effetto questo non consentito all’autonomia privata, atteso il pacifico orientamento di questa Corte secondo cui in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati, deroghe che, se concordate, sono invalide (Cass. n. 13513/2019; Cass. n. 26270/2018; Cass. n. 9751/2010; Cass. n. 6170/2005; Cass. n. 2117/2004).

Pur volendo superare tale profilo potenzialmente idoneo a dirimere la controversia, stante il rilievo d’ufficio della nullità dell’atto contrattuale anche in sede di legittimità, rilievo che priverebbe quindi di efficacia, sia pure per ragioni diverse da quelle rilevate dal giudice di merito, la scrittura invocata dai ricorrenti, la tesi di quest’ultimi non coglie la distinzione, che deve invece essere fatta, tra successione a titolo particolare e successione universale, laddove si invochino gli effetti di un contratto, quanto all’opponibilità dal lato passivo di servitù costituite con tale atto, al quale abbia preso parte il dante causa del successore del fondo servente.

La sentenza impugnata, con accertamento in fatto, e pur avvalendosi di documenti che in premessa ha ritenuto prodotti in violazione dell’art. 345 c.p.c., ha escluso che fosse stata fornita la prova che l’attrice fosse successore (sia a titolo universale che particolare) del padre, ammettendo solo in via presuntiva un’ipotesi di successione a titolo particolare, come comprovato dal fatto che i beni, e precisamente i mappali nn. (OMISSIS), originariamente intestati catastalmente ad E.A. risultavano poi pervenuti, ed in regime di comunione, all’attrice ed al coniuge, dovendosi quindi ipotizzare un acquisto a titolo particolare.

L’esclusione della prova di un fenomeno successorio impedisce quindi di poter invocare l’opponibilità dell’accordo costitutivo del diritto di servitù in favore del fondo dei ricorrenti, e lo stesso è a dirsi anche laddove voglia invece propendersi, come pur ipotizzato in sentenza, per un acquisto a titolo particolare, attesa la mancata trascrizione della scrittura privata fonte dello ius in re aliena invocato dai convenuti.

In tal senso deve richiamarsi il costante orientamento di questa Corte secondo cui ai fini della opponibilità di una servitù ai terzi, successivi acquirenti del fondo servente, deve essere considerata soltanto la conoscibilità legale, desumibile dal contenuto della nota di trascrizione del contratto che della servitù integra il titolo, dovendo dalla stessa risultare l’indicazione del fondo dominante e di quello servente, la volontà delle parti di costituire una servitù, nonchè l’oggetto e la portata del diritto; nè tale conoscibilità può essere sostituita od integrata da una conoscenza effettiva o soggettiva, desumibile “aliunde” (Cass. n. 17026/2019, nonchè tra le più recenti Cass. n. 13817/2019; Cass. n. 12798/2019; Cass. n. 21501/2018).

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

4. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese del presente giudizio che liquida in complessivi Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15% sui compensi ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara che ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

 

 

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