Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18213 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18213

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23865-2018 proposto da:

H.Z., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MINACAPILLI LIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DEI,1,0 STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto n. R.G. 2344/2017 del TRIBUNALE di CALTANISSETTA,

depositato il 12/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. del 11.10.2017, H.Z. impugnava, innanzi al Tribunale di Caltanissetta, il provvedimento di diniego delle misure di protezione internazionale emesso dalla competente commissione Territoriale, esponendo di essere stato costretto a fuggire dal suo paese di origine per motivi di persecuzione personale, in quanto intenzionato a denunciare il figlio di un noto politico che aveva abusato di una ragazza. Il giudice di merito, con decreto del 12.06.2018, rigettava il gravame proposto valutando non credibile il racconto del richiedente e considerando comunque non provati i requisiti necessari per beneficiare di alcuna delle forme di protezione internazionale invocate. H.Z. propone ricorso/ lamentando: a) la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); b) la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., D.Lgs. n. 286 del 1998, art.1 9 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32. Il Ministero resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di doglianza, H.Z. si duole del mancato riconoscimento della protezione sussidiaria stante la situazione di violenza imperversante nel suo Paese. Ebbene, le argomentazioni offerte, oltre a sostanziarsi unicamente in una diversa prospettazione dei fatti quali considerati dal Tribunale, sono prive di pregio. 2. Premesso che la violazione dell’art. 112 c.p.c. non è utilmente dedotta, essendo la domanda di protezione sussidiaria stata esaminata, va rilevato che la violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), va accertata in conformità della giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), secondo cui il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver, pertanto, raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia.

3. Nel provvedimento impugnato, il collegio giudicante ha puntualmente scongiurato questa eventualità, e, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, ha verificato l’assenza di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica del ricorrente, stante l’adozione da parte dell’ordinamento statuale di rinnovate misure a protezione delle persone considerate a rischio (giornalisti, editori, internet blogger) e delle positive operazioni di sicurezza contro i gruppi armati condotte.

4. Col secondo motivo, si censura il mancato riconoscimento della protezione umanitaria, stante la situazione di insicurezza del Bangadesh e la impossibilità, per l’odierno ricorrente, di godere dei diritti umani fondamentali in ipotesi di rimpatrio. Va, anzitutto, rilevato che la disciplina di cui al D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, che ha, tra l’altro, sostituito la disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari, con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande proposte come nella specie, prima della sua entrata in vigore, che vanno valutate in base alla disciplina preesistente (Cass. n. 4890 del 2019), al lume della quale il motivo è infondato.

5. In vero, il carattere “aperto” dei motivi di accoglienza e protezione umanitaria necessita, parimenti alle altre forme di protezione internazionale, dell’effettivo riscontro di una situazione di vulnerabilità che non può non partire dalla situazione oggettiva del paese di origine del richiedente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Tale punto di avvio dell’indagine è intrinseco alla ratio stessa della protezione umanitaria, non potendosi eludere la rappresentazione di una effettiva deprivazione dei diritti umani che ne abbia giustificato l’allontanamento (cfr. Cass. n. 4455/2018). Orbene, come ampiamente motivato dal Tribunale di merito nel provvedimento impugnato -talchè, anche in parte qua il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato non è richiamato a proposito – nel paese di origine del richiedente non si rinvengono situazioni violenza indiscriminata o di deprivazione dei diritti umani fondamentali, nè tanto meno il richiedente ha allegato situazioni di vulnerabilità tali da giustificare la misura di protezione umanitaria.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna alle spese, che si liquidano in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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