Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18206 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. VI, 05/07/2019, (ud. 26/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – rel. Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20236-2017 proposto da:

B.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SARDEGNA N. 29,

presso lo studio dell’avvocato FERRARA ALESSANDRO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato SARI LORENZO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI MILANO (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 2791/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SAMBITO

MARIA GIOVANNA C..

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza in data 20 giugno 2017, la Corte d’Appello di Milano ha confermato il rigetto delle istanze avanzate da B.T. (nato in Mali) volte in via gradata al riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed alla protezione umanitaria, escludendo la credibilità del suo racconto, la sussistenza di situazioni di violenza generalizzata nella zona di sua provenienza (Sud del Paese) e di specifica vulnerabilità, e ritenendo che la migrazione aveva, solo, una matrice economica. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il richiedente con tre mezzi, successivamente illustrati da memoria, con cui denuncia omesso esame di fatti decisivi e violazione e falsa applicazione di norme di legge (D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,6,7 e 14; D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,11,12,25,27 e 32; artt. 115 e 116 c.p.c.). Il Ministero non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I tre motivi del ricorso addebitano alla Corte territoriale di esser pervenuta alla valutazione di non credibilità del racconto del richiedente, con motivazione apparente ed apodittica in merito al fatto decisivo inerente al carattere economico dell’espatrio, senza attivare i doverosi poteri istruttori officiosi, e senza considerare nè la situazione del Mali nel suo complesso -anzi erroneamente parcellizzandolo-, nè il carattere di favor per il richiedente delle norme in materia di protezione internazionale e le regole del soft law.

2. I motivi sono in parte infondati ed in parte inammissibili: essi sotto le mentite spoglie della violazione delle norme preposte all’esame delle domande di protezione internazionale e dell’omesso esame di un fatto decisivo, chiedono una rivisitazione della conclusione della causale economica della migrazione, cui è pervenuta la Corte territoriale. Come rammenta il ricorrente, a seguito alla riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, e tanto non è ravvisabile nella specie, al di fuori del quale il motivo di cui al numero 5 dell’art. 360 c.p.c. può esser dedotto, solo, per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. S.U. 8053/2014; Cass. 23940/2017). Con la proposizione di siffatto motivo di ricorso, il ricorrente non può, per contro, rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili.

Ed in tale, inammissibile, ambito ricadono IIL censure, laddove criticano la parziale e lacunosa reinterpretazione del verbale di audizione, lamentano la mancata valutazione di quanto riferito nel corso dell’interrogatorio libero del 20.11.2016, ed affermano che i motivi di fuga andavano riconnessi ad un evento preciso e determinato (carcerazione a seguito degli scontri a Kidal in occasione della visita del Primo Ministro), senza considerare che il racconto è stato ritenuto non credibile per l’assenza di elementi circostanziali non già degli scontri ma del coinvolgimento del richiedente, che, peraltro, non smentisce che l’allontanamento dalla sede della sua residenza, sita nel sud del Paese, è stata ab origine determinata -come si legge in seno al ricorso introduttivo del giudizio (riportato a pag, 6 primo periodo)- per la necessità temporanea di raggiungere il Niger durante la stagione secca “per poi tornare in Mali nella stagione delle piogge, per coltivare i suoi campi”, e cioè per fatti che, allo stato della legislazione, non costituiscono i presupposti delle chieste misure di protezione.

3. La conclusione risulta, poi, esser stata, correttamente, assunta sulla scorta degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, e questa Corte ha affermato che la valutazione di credibilità soggettiva costituisce una premessa indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento: le dichiarazioni che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua dei menzionati indicatori, non richiedono, infatti, alcun approfondimento istruttorio officioso (Cass. n. 5224 del 2013; n. 16925 del 2018), salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente, ma non è questo il caso, dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Cass. n. 871 del 2017).

4. Sotto altro profilo, va rilevato che a norma dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE: “Nell’ambito dell’esame della domanda di protezione internazionale, gli Stati membri possono stabilire che il richiedente non necessita di protezione internazionale se in una parte del territorio del paese d’origine egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi e se è ragionevole attendere dal richiedente che si stabilisca in quella parte del paese”. La norma in esame ha lasciato agli stati membri la facoltà di trasporla o meno, e ciò l’Italia non ha fatto, ma tanto comporta, solo, che nell’esame della domanda non possa prendersi in considerazione la possibilità del richiedente di trasferirsi in altra regione del proprio Paese, e non anche che la realtà della zona di provenienza perda il suo rilievo, avendo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 2294 del 2012, n. 8399 del 2014; n. 5674 del 2018; n. 30105 del 2018), condivisibilmente, precisato che l’istanza di protezione ben può essere rigettata quando nella zona del paese d’origine da cui proviene il ricorrente non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi. Il che è stato nella specie escluso, senza che in parte qua sia stata mossa censura.

5. Non va provveduto sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato,

Così deciso in Roma, il 26 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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