Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18206 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. II, 02/09/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 02/09/2020), n.18206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6425/2017 proposto da:

AGENZIA delle ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE dello Stato

e domiciliata presso i cui uffici, in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

T.F., rappresentata e difesa dagli Avvocati FABIO

FRANCESCO FRANCO, e STEFANO MORGESE, ed elettivamente domiciliata,

presso lo studio del primo, in ROMA, VIA PIERLUIGI da PALESTRINA 19;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3791/2016 del TRIBUNALE di LECCE, depositata

l’8/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udita l’AVVOCATURA GENERALE dello STATO per la ricorrente e l’Avv.

STEFANO MORGESE per la controricorrente, che hanno concluso,

rispettivamente, come in atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso dell’8.1.2013 T.F. proponeva opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 106356, con la quale l’AGENZIA delle ENTRATE di LECCE le aveva ingiunto il pagamento della somma di Euro 14.688,00, per violazione delle disposizioni di cui del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 9 e 11, come contestata nel processo verbale di contestazione del 30.8.2011, redatto dalla Guardia di Finanza Compagnia di Lecce, per aver conferito ad un avvocato professore universitario un incarico retribuito senza la preventiva autorizzazione dell’Amministrazione di appartenenza, Università del Salento – Facoltà di Giurisprudenza, e per aver omesso di comunicare nei termini di legge i compensi allo stesso erogati.

La opponente eccepiva preliminarmente l’inammissibilità dell’ordinanza ingiunzione per mancato rispetto dei termini previsti dalla legge ai fini della contestazione delle violazioni; nel merito l’illegittimità dell’ordinanza ingiunzione per avere il prof. Tu. chiesto e poi ottenuto l’autorizzazione “ora per allora” per lo svolgimento dell’incarico legale conferito; invocava l’esimente di cui alla L. n. 689 del 1981, art. 3, per errore incolpevole sul fatto, non risultando la qualità di dipendente pubblico dell’avvocato, professore universitario, non avendo quest’ultimo mai comunicato tale sua qualità.

Si costituiva in giudizio la P.A. ingiungente deducendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.

Con sentenza n. 1964/2013 del 23.4.2013 il Giudice di Pace di Lecce accoglieva il ricorso e per l’effetto annullava l’ordinanza ingiunzione dell’Agenzia delle Entrate.

Avverso detta sentenza proponeva appello la P.A. deducendo l’erronea applicazione delle norme di legge e chiedendone la totale riforma. Resisteva in giudizio T.F..

Con sentenza n. 3791/2016, depositata in data 8.9.2016 il Tribunale di Lecce rigettava l’appello condannando l’Agenzia delle Entrate di Lecce alle spese di lite.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate di Lecce sulla base di un unico motivo; cui resiste T.F. con controricorso.

All’esito della udienza pubblica del 26.10.2018, il Collegio (con ordinanza interlocutoria n. 1663 del 2019, depositata il 22 gennaio 2019) rinviava a nuovo ruolo la causa per acquisire relazione dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo il in ordine alla possibilità o meno di conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi (di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9), e quindi circa la sanzionabilità, o meno, della diversa condotta in ragione della ritenuta portata convalidante ex tunc dell’autorizzazione postuma allo svolgimento dell’incarico, pronunciata “ora per allora”.

Acquisita la relazione dell’Ufficio del Massimario (n. 36 del 18 marzo 2019), il Procuratore Generale, la ricorrente e la controricorrente, che ha depositato memoria, hanno ribadito le rispettive conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il motivo di ricorso, la Agenzia ricorrente lamenta la “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, commi 7 e 9, in combinato disposto con gli artt. 97 e 98 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per avere il Tribunale affermato che l’autorizzazione postuma esclude l’illiceità della condotta del professore universitario incaricato e della controricorrente. In particolare, la ricorrente contesta l’affermazione della sentenza, secondo cui nel panorama normativo generale caratterizzato dalla evoluzione legislativa in atto e tenendo conto dei principi cui essa è ispirata sia difficile negare (tanto più che la ratio della autorizzazione in esame è quella dell’accertamento della compatibilità in concreto dell’esercizio del diritto, preesistente, del privato con l’interesse pubblico) che tale verifica non possa essere compiuta, anzi più a ragion veduta, anche ex post, con effetti analoghi, in ordine alla liceità del relativo svolgimento dell’attività da parte del dipendente, alla autorizzazione da questi acquisita ex ante.

1.1. – Il motivo è fondato.

1.2. – Il profilo centrale (di cui al motivo di ricorso) concerne la questione relativa alla possibilità di escludere l’illecito amministrativo de quo in ragione di una autorizzazione rilasciata in un momento successivo al conferimento dell’incarico.

1.3. – Sul piano normativo, questo Collegio ossrva che il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, disciplina le incompatibilità, il cumulo di impieghi e gli incarichi dei dipendenti pubblici; ivi compresi, per quanto qui interessa, anche quelli dei professori universitari “a tempo pieno”, regolati anche della L. n. 240 del 2010, art. 6, comma 10, secondo periodo, che conferma che i professori e i ricercatori a tempo pieno possono altresì svolgere, “previa autorizzazione” del rettore, funzioni didattiche e di ricerca, nonchè compiti istituzionali e gestionali senza vincolo di subordinazione presso enti pubblici e privati senza scopo di lucro, purchè non si determinino situazioni di conflitto di interesse con l’università di appartenenza, a condizione comunque che l’attività non rappresenti detrimento delle attività didattiche, scientifiche e gestionali loro affidate dall’università di appartenenza (peraltro, non rilevando, nella specie, il richiamo al regolamento di Ateneo in questione, che nulla disporrebbe in merito, e che, comunque, quale fonte subordinata al D.Lgs. n. 165 del 2001, non potrebbe derogare alle disposizioni primarie, che prevedono un criterio generale di autorizzabilità in via preventiva degli incarichi).

La normativa, nel suo insieme, non vieta dunque l’espletamento di incarichi extraistituzionali retribuiti, ma li consente solo ove gli stessi siano conferiti dall’amministrazione di provenienza ovvero da questa “preventivamente autorizzati”, rimettendo al datore di lavoro pubblico la valutazione della legittimità dell’incarico e della sua compatibilità, soggettiva e oggettiva, con i compiti propri dell’ufficio. In tal senso, questa Corte ha rilevato che, in tema di pubblico impiego, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6, in cui è confluito il D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 58, come modificato dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 26, vieta ai dipendenti delle P.A. con rapporto di lavoro a tempo pieno l’espletamento di incarichi retribuiti, anche occasionali, non compresi nei compiti e nei doveri d’ufficio, per i quali sia corrisposto, sotto qualunque forma, un compenso, salvo che lo svolgimento dell’incarico sia stato preventivamente autorizzato, ai sensi della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 60, dall’amministrazione di appartenenza per le specifiche attività consentite dalla legge (Cass. n. 15098 del 2011).

Lo scopo è evidentemente quello di garantire l’imparzialità, l’efficienza e il buon andamento della pubblica amministrazione nel rispetto dei principi sanciti dagli artt. 97 e 98 Cost.; e di evitare che il pubblico dipendente possa svolgere incarichi ulteriori rispetto a quelli che discendono dai propri doveri istituzionali, distogliendolo da essi ovvero creando forme autorizzate di concorrenza soggettiva in capo al medesimo soggetto interessato, e procurandogli un vantaggio economico che non ne giustificherebbe, se stabile e duraturo e quindi dotato dei caratteri della prevalenza e continuità, la permanenza all’interno della pubblica amministrazione, con i conseguenti rilevanti oneri ad essa attribuiti.

Sicchè, quanto all’effetto di rimozione del generale divieto di conseguire l’incarico, se non attraverso una autorizzazione adottata prima dell’inizio dello stesso, questo Collegio non ravvisa una diversità della “autorizzazione postuma” rispetto a quella “ora per allora”, in quanto entrambe intervengono dopo l’inizio (ovvero anche la fine) dello svolgimento dell’incarico.

1.4. – Peraltro, la giurisprudenza amministrativa, in particolare, ha escluso che possa essere concessa un’autorizzazione successiva con efficacia sanante (e dunque “ora per allora, stante la specificità del rapporto di pubblico impiego rispetto a situazioni diverse dell’attività amministrativa (ex plurimis, Tar Emilia-Romagna Parma Sez. I, Sent., 17 luglio 2017, n. 263; Tar Emilia-Romagna Parma, Sez. I, 5 giugno 2017, n. 191; Tar. Calabria Reggio Calabria, sez. I, 14 marzo 2017, n. 195; Tar. Lombardia Milano, Sez. IV, 7 marzo 2013, n. 614).

Seppure, dunque, il principio di tipicità degli atti amministrativi non impedisce che il momento di esercizio del potere amministrativo possa essere spostato in avanti in tutti i casi in cui sia ancora possibile effettuare le valutazioni che ne sono alla base (come per le autorizzazioni postume in relazione ad attività edilizie ovvero paesaggistiche: Cons. Stato, sez. VI, 30 marzo 2004, n. 1695), ciò va escluso nell’ambito specifico degli incarichi dei pubblici dipendenti, che consente che il dipendente medesimo, in presenza di una specifica e preventiva autorizzazione rilasciata da parte dell’amministrazione di appartenenza, possa eccezionalmente ricoprire incarichi ulteriori al di fuori di quelli istituzionali.

Invero, l’autorizzazione postuma (id est, con riferimento allo specifico caso in esame, l’autorizzazione “ora per allora”) risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell’istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, è quella (come detto) di verificare, necessariamente ex ante, l’insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Laddove, “il dovere di rispettare la regola per cui – tra gli incarichi non vietati – gli incarichi extraistituzionali consentiti al dipendente (rispetto ai quali quest’ultimo è legittimato a trattenere le relative remunerazioni) sono solo quelli o previamente autorizzati dall’Amministrazione datoriale o quelli dalla stessa direttamente conferiti costituisce interpolativamente (giacchè introdotto per legge) null’altro che uno dei diversi doveri del dipendente che rientrano nel fascio dei suoi obblighi dovuti per effetto del rapporto lavorativo dipendente” (Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2016, n. 4590).

1.5. – Va, inoltre, rilevato che il disposto dell’art. 53, comma 9 cit., risulta diretto a sanzionare una violazione di carattere “formale”, integrata cioè dal semplice fatto di un privato che abbia conferito un incarico a un dipendente pubblico senza avere ottenuto preventivamente l’autorizzazione dell’Amministrazione presso cui il medesimo presti servizio. Detto illecito non può, dunque, essere sanato da un’autorizzazione intervenuta successivamente (con effetti anche “ora per allora”) al conferimento dell’incarico.

Tale assunto, risulta confortato tanto dall’inequivoco ed insuperabile significato letterale dell’art. 53, comma 9, che fa esplicito riferimento ad una “previa autorizzazione” dell’incarico medesimo; quanto dalla considerazione, di carattere sistematico, che il potere sanzionatorio è attribuito all’Agenzia delle Entrate (in precedenza al Ministero delle Finanze) e non alla specifica Amministrazione cui appartenga il dipendente investito dell’incarico extra-istituzionale, come invece disposto dello stesso art. 53, precedente comma 7. La qual cosa indurrebbe a ritenere che il legislatore delegato non abbia previsto le sanzioni in oggetto (comma 9) allo scopo di contrastare “violazioni sostanziali”; non comprendendosi altrimenti, per quale motivo la potestà punitiva sia affidata a un soggetto pubblico diverso da quello preposto a valutare la compatibilità tra l’incarico esterno e le normali funzioni istituzionali, in quanto titolare del potere di rilasciare l’autorizzazione.

1.6. – Non può, pertanto, essere seguito l’assunto del giudice di appello, secondo cui, quella in questione, non sarebbe una mera “autorizzazione postuma”, che potrebbe far pensare a un’autorizzazione successiva al conferimento dell’incarico con efficacia ex nunc, bensì un’autorizzazione con formula “ora per allora” con effetti ex tunc equivalente a quella preventiva.

2. – Quanto, infine, alla richiesta della parte controricorrente di sollevare la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 9 e del D.L. n. 79 del 1997, art. 6, comma 1 (convertito con modifiche dalla L. n. 140 del 1997), per violazione dell’art. 3 Cost., nonchè dei principi di ragionevolezza adeguatezza e proporzionalità, essa risulta, allo stato, manifestamente inammissibile, sia in quanto (apoditticamente affermate lesioni dei principi costituzionali evocati) non risulta alcuna valutazione nè in ordine all’ambito di applicabilità, nella fattispecie concreta, della normativa di cui al D.L. n. 79 del 1997, art. 6, comma 1, nè della praticabilità – a seguito della dichiarazione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 15 (Corte Cost. n. 98 del 2015) – di una interpretazione costituzionalmente conforme della disciplina de qua, come emendata dal giudice delle leggi; sia per irrilevanza, in rapporto alla natura astratta e/o prematura della questione, con riferimento alla sua eventuale riproponibilità nel giudizio di rinvio.

3. – Va dunque accolto il motivo del ricorso principale; la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

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