Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18203 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. II, 02/09/2020, (ud. 20/01/2020, dep. 02/09/2020), n.18203

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4646/2016 proposto da:

Z.G., rappresentato e difeso dall’Avvocato SAVERIO DI

CIOMMO, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in RIONERO

in VULTURE (PZ) VIA MAZZINI 16;

– ricorrente –

contro

T.D.M., rappresentata e difesa dall’Avvocato GRAZIA

ANTONIO ROMANO, ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Rosa Bonomo, in ROMA, VIA NIZZA 59;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 382/2015 della CORTE DI APPELLO di POTENZA,

pubblicata il 19/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

20/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 22.3.2002, T.D.M. proponeva opposizione avverso il Decreto Ingiuntivo n. 18 del 2002, emesso dal Giudice del Tribunale di Melfi per il pagamento della somma di Euro 6.031,92 (Lire 11.679.429) in favore di Z.G., titolare dell’omonima ditta individuale, quale credito residuo rispetto a quanto dovuto in base allo stato di avanzamento n. 5 al 12.7.2000 e alle fatture n. (OMISSIS) per Lire 13.784.524, n. (OMISSIS) per Lire 12.764.752 e n. (OMISSIS) per Lire 28.633.353, allegati agli atti di contabilità depositati presso il Comune di Atella, per i lavori di ristrutturazione eseguiti dalla ditta sull’immobile di proprietà dell’opponente e finanziati con fondi ex L. n. 219 del 1981, interamente percepiti dalla proprietaria. L’opponente assumeva che fosse dovuto solo l’importo di Euro 1.900,27 (Lire 3.679.429), in quanto la medesima, sul credito residuo vantato dalla ditta, aveva versato l’ulteriore somma di Lire 8.000.000, mediante due assegni emessi da G.M.A. in favore di D.M.C. e da questi girati alla ditta Z., come da quietanza sottoscritta da V., socio del Z., sulla base di un rendiconto lavori per Lire 11 800.000. Concludeva chiedendo, previa revoca del decreto ingiuntive opposto, che fosse accertata l’inesistenza del credito di Euro 6.031,92,

Si costituiva in giudizio Z.G., il quale ammetteva che la somma di Lire 8,000.000 era stata ricevuta, ma deduceva che era stata già computata quale acconto sulla fattura n. (OMISSIS); quanto al documento privo di data e di sottoscrizione, recante un riepilogo dei lavori per 11.800.000, pur non avendo valore processuale, poteva solo confermare il credito azionato.

Concludeva per il rigetto dell’opposizione e la conferma del decreto ingiuntivo.

Con sentenza n. 34/2005 del 20.1.2005 il Tribunale di Melfi rigettava l’opposizione. In particolare, rilevava che dall’istruttoria era risultato pacifico il pagamento di Lire 8.000.000, ma non che tale importo andasse a decurtare la richiesta monitoria; il rigetto, perciò, derivava dal mancato assolvimento dell’onere probatorio in ordine all’eccezione di pagamento parziale che gravava sull’opponente.

Avverso la sentenza proponeva appello la T. per due motivi: 1) erronea interpretazione delle risultanze probatorie avendo il Giudice ritenuto che non fosse contestato il credito totale; 2) erronea applicazione dell’art. 2697 c.c., in quanto l’opponente aveva provato il fatto estintivo del pagamento di Lire 8.000.000, a mezzo del teste V.G.. Concludeva per la revoca del decreto ingiuntivo opposto, l’accertamento dell’inesistenza del credito di Euro 6.031,92 e la condanna di Z. alla restituzione delle somme percepite in forza della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e dell’esecutorietà della sentenza appellata.

Si costituiva il Z. che concludeva per il rigetto del gravame.

Con sentenza n. 382/2015, depositata in data 19.11.2015, la Corte d’Appello di Potenza accoglieva l’appello parzialmente e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, revocava il Decreto Ingiuntivo n. 18 del 2002; condannava T.D.M. al pagamento in favore di Z.G. della somma di Euro 1.900,27, oltre interessi legali dal 30.1.2002 al saldo, compensando le spese di lite. In particolare, la Corte d’Appello richiamava il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità, per cui quando il convenuto per il pagamento di un debito dimostri di aver corrisposto una somma di denaro idonea all’estinzione del medesimo, spetta al creditore, che sostenga che il pagamento sia da imputare all’estinzione di un debito diverso e più antico, allegare e provare l’esistenza di quest’ultimo (Cass. n. 20288 de 2011). La Corte territoriale affermava che l’importo di Lire 8.000.000, pagato dalla T. con i due assegni, di cui uno emesso il 30.10.2000, ossia in data successiva a quella indicata ne ricorso monitorio, doveva riferirsi all’ultima parte di debito, quello azionato in giudizio. In relazione a tali assegni, il creditore si imitava a sostenere che essi fossero già stati computati in pagamento, ma che non sussisteva alcun collegamento tra di essi e il pagamento di Lire 8.000.000, che l’impresa asseriva di aver ricevuto nel luglio 2000.

Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione Z.G. sulla base di due motivi; resiste T.D.M. con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, i ricorrente lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (la) violazione delle norme ex art. 2697 e 1193 c.c.”, là dove, secondo la Corte d’Appello, la quietanza di pagamento di Lire 8.000.000 dovesse imputarsi a un ulteriore acconto rispetto a quelli indicati ne ricorso per decreto ingiuntivo, giacchè l’aver indicato un acconto di Lire 8.000.000 non esimeva il debitore dal provare di aver corrisposto acconti superiori rispetto a quelli riconosciuti dal creditore. Il ricorrente ha contestato invece che, nella sentenza impugnata, si pi fosse ritenuto che l’onere della prova fosse a carico del creditore poichè gli assegni corrisposti erano posteriori alla data delle fatture, senza spiegare il motivo per il quale non si potesse procedere al pagamento di un ulteriore acconto (compreso tra quelli menzionati nel ricorso per d.i.) con assegni successivi alla data delle fatture. Pertanto, avrebbe dovuto essere il debitore a provare che, oltre agli acconti indicati dal creditore, ve ne fossero altri, specie se l’acconto fosse di importo pari a quello che si assumeva di avere ulteriormente corrisposto.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – La Corte distrettuale (premesso che il creditore che agisce per il pagamento ha l’onere di provare il titolo del suo diritto e non anche il mancato pagamento, che integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che la eccepisca) ha correttamente richiamato il principio secondo cui il creditore che agisce per il pagamento di un suo credito è tenuto unicamente a fornire la prova del rapporto o del titolo dal quale deriva il suo diritto e non anche a provare il mancato pagamento, poichè il pagamento integra un fatto estintivo, la cui prova incombe al debitore che l’eccepisca; soltanto di fronte alla comprovata esistenza di un pagamento avente efficacia estintiva (cioè puntualmente eseguito con riferimento ad un determinato credito) l’onere della prova viene nuovamente a gravare sul creditore, il quale controdeduca che il pagamento deve imputarsi ad un credito diverso o più antico (Cass. n. 20288 del 2011; conf. Cass. n. 19039 del 2019; Cass. n. 19527 del 2012) (sentenza impugnata, pag. 4).

Orbene, nella specie, la Corte di merito (pur richiamando la peculiarità del momento dei pagamenti effettuati con l’emissione di assegni bancari negoziati: Cass. n. 3008 del 2012; Cass. n. 3457 del 2007) ha tuttavia ritenuto che (evidenziata, da un lato, la irrilevanza dei capitoli di prova oggetto dell’interrogatorio formale del ricorrente e della prova per testi, e, dall’altro lato, la impossibilità di riferire al debito finale una “notula”, allegata dalla T. all’atto di opposizione, priva di data e sottoscrizione) restasse, sul piano probatorio, da valutare la documentazione relativa al pagamento; e che spettasse al creditore di dimostrare che detti assegni non fossero stati dati in pagamento di un debito più risalente (sentenza impugnata, pag. 5).

Specificato, nel ricorso per d.i., che la T. nel luglio 2000 aveva versato Lire 8.000.000 (mentre la medesima aveva dedotto di aver versato, contemporaneamente e a mani di un delegato che ne aveva rilasciato quietanza, due assegni a pagamento dell’ultima tranche di debito, uno dei quali recava la data di emissione del 30.10.2000, mentre l’altro era privo di data), la Corte ha rilevato che, a fronte della deduzione della T., secondo cui gli assegni erano stati consegnati in relazione al debito finale, il creditore non avesse provato che tale pagamento si riferisse al debito pregresso, neppure, ad esempio, in merito all’epoca dell’incasso. Pertanto, correttamente, la Corte ha concluso (con valutazione di fatto, coerente e congrua, e come tale sottratta al vaglio di legittimità) nel senso che l’importo pagato con i due assegni, di cui uno emesso in data successiva a quella indicata nel ricorso monitorio, dovesse riferirsi all’ultima tranche di debito, quello azionato in giudizio (sentenza impugnata, pag. 7).

2. – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (la) omessa valenza probatoria del documento depositato da controparte”, in quanto la controricorrente aveva depositato in atti un documento, indicato dalla medesima come saldo dei lavori, privo di data e sottoscrizione, per cui lo stesso, pur non potendo assurgere a prova in danno del ricorrente, avrebbe potuto essere considerato una prova da cui far discendere conseguenze negative per la parte che lo ha prodotto (nel ricorso viene trascritto il contenuto dell’atto, secondo cui “stante il riconoscimento del debito effettuato dal richiedente, nel settembre 2000, a seguito di rendiconto dei lavori operato dal sig. V., socio dello Z., o sedicente tale, vi era un saldo passivo di Lire 11.800.000, come da documento allegato al presente atto e, pertanto, furono consegnati a questi due assegni per Lire 4.000.000 l’uno: dei due uno pagabile a vista e l’altro alla fine del mese successivo”) (v. ricorso, pag. 7). Secondo il ricorrente il documento avrebbe dovuto essere considerato il saldo dei lavori ancora da corrispondere, in quanto la T., così come aveva richiesto la dichiarazione di ricezione dei due assegni, allo stesso modo aveva richiesto di determinare il saldo.

2.1. – Il motivo è inammissibile.

2.2. – Costituisce principio consolidato di questa Corte che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 del 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, applicabile alle sentenze impugnate dinanzi alla Corte di cassazione ove le stesse siano state pubblicate in epoca successiva al 12 settembre 2012, e quindi ratione temporis anche a quella oggetto del ricorso in esame, pubblicata il 19 novembre 2015) consente (Cass. sez. un. 8053 del 2014) di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 e n. 9253 del 2017).

Nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, la ricorrente avrebbe dunque dovuto specificamente e contestualmente indicare oltre al “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n, 14014 e n. 9253 del 2017). Ma nel motivo in esame, della enucleazione e della configurazione della sussistenza (e compresenza) di siffatti presupposti (sostanziali e non meramente formali), onde potersi ritualmente riferire al parametro di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non v’è idonea indicazione. Laddove, poi, va rilevato che è altrettanto inammissibile l’evocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o per lamentarsi, in termini generali, di una motivazione non corretta (Cass. n. 27415 del 2018).

Infatti, nel paradigma di detta norma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. n. 26305 del 2018). A maggior ragione, poi, allorquando, come nella specie, la questione in realtà sia stata esaminata dalla Corte di merito che ha sottolineato “la impossibilità di riferire al debito finale la notula allegata dalla T. all’atto di opposizione, priva di data e sottoscrizione” (sentenza impugnata, pag. 4).

3. – Il ricorso va, quindi, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresì la dichiarazione ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 1.900,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 20 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

 

 

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