Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18202 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 12/11/2020, dep. 24/06/2021), n.18202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 13929/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

Contro

PALAZZI CENTRO CANCELLERIA s.r.l. in liquidazione in persona del suo

legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Puglia n. 24/06/12 depositata il 05/04/2012, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del

12/11/2020 del Consigliere Roberto Succio.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello dell’Amministrazione Finanziaria e quindi confermava la pronuncia di primo grado che aveva annullato l’atto impugnato, atto di recupero credito IVA 2003 per indebite compensazioni;

ricorre a questa Corte l’Agenzia delle Entrate con atto affidato o, quattro motivi; la società contribuente è rimasta intimata in questo giudizio di Legittimità.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo di ricorso censura la sentenza di secondo grado per violazione e falsa a applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, per avere la CTR ritenuto necessaria, al fine di ò ritenere soggettivamente inesistenti le operazioni commerciali oggetto di contestazione, l’esistenza di prova certa di tal circostanza da parte dell’Ufficio; e ciò a fronte del difetto di prova del coinvolgimento della società contribuente in violazioni commesse dai propri fornitore, escludendosi che i prezzi d’acquisto praticati fossero sostanzialmente differenti da quelli di mercato e risultando le fatture oggetto di contestazione effettivamente pagate; il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione agli artt. 1321 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, per avere la CTR ritenuto che l’appello dell’Ufficio non meritava accoglimento per mancanza di prova “certa” della mala fede della società contribuente, presupponendosi, in assenza di prova contraria che l’Ufficio avrebbe dovuto fornire, la buona fede;

– i motivi possono esaminarsi congiuntamente, in quanto costituenti frammentazione di una medesima censura, e sono fondati;

– come questa Corte ha ripetutamente chiarito, (Cass. Sez. 5 -, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020; Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 21104 del 24/08/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 9721 del 19/04/2018) in tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto;

– tali affermazioni sono condivise anche dalla Corte di Giustizia dell’Unione, (in tal senso anche Corte di Giustizia UE 22 ottobre 2015, causa C-277/14 PPUK; anche 15 luglio 2015, causa C-159/14 Koela -N; 15 luglio 2015, causa C-123/14 Itales; 13 febbraio 2014 in causa C18/13 Maks Pen Eood; 21 giugno 2012, in causa C-80/11 e C-142/11, Mahageben et David;); ne deriva che la dimostrazione della quale è onerato l’Ufficio può essere data anche attraverso presunzioni semplici,

e non – come erroneamente ha ritenuto la CTR – unicamente per mezzo di prove dirette, naturalmente valutati tutti gli elementi indiziari agli atti attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode (Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873);

– e in questo contesto non assumono automatico rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi (Cass., 30 ottobre 2018, n. 27566; Cass., 24 agosto 2018, n. 21104; Cass., 14 marzo 2018, n. 6291; Cass., 28 marzo 2018, n. 7613);

– il terzo motivo di ricorso si incentra sull’omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere, il giudice dell’appello omesso di valutare, quali elementi presuntivi in ordine alla soggettiva inesistenza delle operazioni e al difetto di buona fede in capo alla società contribuente, le circostanze risultanti dal PVC della GdF relative all’emissione – contestuale alle fatture – di note di credito senza iva quali “premi”, comportanti riduzione del prezzo di vendita al di sotto di quello di acquisto; alla mancata indicazione nella corrispondenza tra le imprese degli obiettivi da raggiungere per l’ottenimento dei “premi”; al mancato versamento dell’iva da parte dei fornitori coinvolti nelle ridette operazioni;

– il motivo è pure fondato;

– invero, a fronte di tali elementi di fatto versati in atti, puntualmente trascritti in ricorso ai fini del rispetto del principio di autosufficienza, era onere della CTR confrontarvisi per valutare funditus la sussistenza o meno di elementi presuntivi indicativi della natura fraudolenta delle operazioni, sotto il profilo soggettivo; diversamente, invece, il giudice dell’appello ne ha completamente omesso l’esame;

– il quarto motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR pugliese ritenuto inapplicabile alla presente fattispecie detta disposizione, che rileverebbe unicamente nei casi di omesso versamento di imposte dichiarate;

– anche quest’ultimo motivo è fondato;

– osserva la Corte che l’art. 13 cit., nella versione in vigore ratione temporis, prevedeva come segue: “chi non esegue, in tutto o in parte, alle prescritte scadenze, i versamenti in acconto, i versamenti periodici, il versamento di conguaglio o a saldo dell’imposta risultante dalla dichiarazione, detratto in questi casi l’ammontare dei versamenti periodici e in acconto, ancorchè non effettuati, è soggetto a sanzione amministrativa pari al trenta per cento di ogni importo non versato, anche quando, in seguito alla correzione di errori materiali o di calcolo rilevati in sede di controllo della dichiarazione annuale, risulti una maggiore imposta o una minore eccedenza detraibile…. 2. Fuori dei casi di tributi iscritti a ruolo, la sanzione prevista al comma 1 si applica altresì in ogni ipotesi di mancato pagamento di un tributo o di una sua frazione nel termine previsto”;

– solo successivamente, l’art. 13 si è arricchito di un comma 5, secondo il quale “nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi. Per le sanzioni previste nel presente comma, in nessun caso si applica la definizione agevolata prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 16, comma 3, e art. 17, comma 2. Si intende inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 36-ter ed D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54-bis”;

– pertanto, in quanto non espressamente sanzionato all’epoca in modo autonomo, il comportamento tenuto dal contribuente è stato correttamente qualificato dall’Ufficio come generico mancato pagamento di un tributo, mancato pagamento derivante dall’utilizzo in sede di indebita compensazione di un credito inesistente; infatti, compensare un debito con un credito inesistente è condotta sovrapponibile, quanto agli effetti, al mancato pagamento;

– conclusivamente, il ricorso merita integrale accoglimento; la sentenza è cassata con rinvio al giudice dell’appello per nuovo esame, il quale si atterrà ai principi sopra indicati.

P.Q.M.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in diversa composizione che statuirà anche quanto alle spese del presente giudizio di Legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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