Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18202 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. II, 05/07/2019, (ud. 11/04/2019, dep. 05/07/2019), n.18202

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12294-2015 proposto da:

P.M.C., L.P., P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, PIAZZA G.MAZZINI 27, presso lo studio

dell’avvocato LUCIO NICOLAIS, rappresentati e difesi dall’avvocato

CORRADO LANZARA;

– ricorrenti –

contro

E.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO,

62, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO RIBAUDO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DANILO CONTI;

– controricorrente –

e contro

E.M., E.S., E.C., EP.MA., LO.MI.,

E.L., E.E.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 929/2014 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 04/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

11/04/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

L.P., P.M.C. e P.S. (erede di P.R.) hanno proposto ricorso articolato in cinque motivi per la cassazione della sentenza della Corte di appello di Brescia n. 929/14, depositata il 4 luglio 2014, la quale, in riforma alla sentenza di primo grado, ha rigettato la domanda di costituzione di servitù coattiva avanzata dagli stessi ricorrenti a carico dei fondi di proprietà di E.S., Ep.Ma., E.G., E.C., E.M., Lo.Mi., E.L. e E.E., nonchè disposto la restituzione delle somme versate in esecuzione della pronuncia del primo giudice.

Resiste con controricorso il solo E.G..

Restano intimati senza svolgere attività difensive E.S., Ep.Ma., E.C., E.M., Lo.Mi., E.L. e E.E..

Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 29 aprile 2008, aveva accolto la domanda di costituzione di servitù “pedonale e veicolare coattiva” a carico dei fondi identificati ai mappali n. (OMISSIS), di proprietà E. – Lo., ed a favore dei fondi di cui ai mappali n. (OMISSIS), di proprietà di L.P., dei fondi di cui ai mappali n. 3241, sub 2, n. 3241, sub 3, e n. 549, sub 5, di proprietà di P.M.C., dei fondi di cui ai mappali n. (OMISSIS), di proprietà di P.R., ubicati nel comune di (OMISSIS) “secondo il tracciato delineato dalla strada già esistente sui fondi di proprietà dei convenuti”. Il Tribunale aveva altresì determinato in Euro 5.500,00 l’indennità ex art. 1053 c.c., e perciò in Euro 2.428,20 l’importo ancora dovuto dagli attori, oltre interessi legali.

Di contro, la Corte di appello di Brescia ha considerato pacifico e non contestato che L.P., P.M.C. e P.R. avessero acquistato una porzione di quello che un tempo era un unico immobile di proprietà F., consapevoli che la stessa non risultasse più collegata alla via pubblica; ha poi aggiunto che tale stato di interclusione, comprovato dall’espletata c.t.u., non fosse preesistente all’acquisto, posto che i venditori accedevano dal loro fondo alla pubblica via; ha quindi escluso che l’interclusione fosse dovuta a cause naturali, quale l’esistenza di un “forte dislivello” rimasta indimostrata, ed essendo piuttosto incontestata l’esistenza di una strada “dal manto erboso” utilizzata dai mezzi agricoli che consentiva di accedere alla strada pubblica attraverso il fondo F.. A fronte di ciò, secondo i giudici di secondo grado, L.P., P.M.C. e P.R. ( S.) non avevano provato di aver agito infruttuosamente contro la parte venditrice per ottenere il passaggio pedonale e carrabile ai sensi dell’art. 1054 c.c., nè che la relativa costituzione fosse concretamente “impossibile”, essendo incontroversa l’esistenza di una “stradella agreste” che consente di accedere alla via pubblica attraverso il fondo F. e sulla quale gli appellati avevano apposto un cancello. Questi ultimi avevano altresì chiesto in passato le autorizzazioni comunali necessarie al passaggio per accedere alla pubblica via. Evidenzia la Corte di Brescia che L.P., P.M.C. e P.R. ( S.) avessero riconosciuto che il loro intento era quello di ampliare la larghezza della suddetta stradella agreste per renderla più idonea all’accesso alle autorimesse presso le abitazioni costruite a seguito del loro acquisto. In sostanza, gli appellati, dopo aver acquistato il fondo ben consci del suo stato naturale, vi avevano edificato della autorimesse, ma non avevano dimostrato di aver richiesto al venditore il passaggio attraverso il residuo fondo.

Il punto numero 1) del ricorso reca la seguente rubrica: “difformemente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, i ricorrenti non potevano più domandare utilmente agli alienanti alcune passaggio coattivo gratuito”. Nell’esposizione della censura, i ricorrenti denunciano che la Corte d’appello, nel ritenere mancata la prova dell’impossibile esercizio della facoltà ex art. 1054 c.c., avrebbe fatto “cattivo governo dell’art. 1054 c.c., art. 2697 c.c., comma 2 e art. 2946 c.c…. non dando rilievo alla circostanza assorbente che il diritto verso l’intercludente non potesse più essere esercitato per intervenuta prescrizione”. Assumono i ricorrenti che il diritto al passaggio di cui all’art. 1054 c.c., da esercitare verso i danti causa, sarebbe di natura contrattuale e andrebbe perciò soggetto a prescrizione decennale, risalendo al 1989 l’acquisto del fondo da F. ed al 2000 la turbativa che diede luogo alla seconda possessoria.

Il punto numero 2) del ricorso recita: “difformemente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, al meno uno dei ricorrenti, P.M.C., non aveva neppure legittimazione a domandare servitù coattiva gratuita ex art. 1054 c.c. agli alienanti interclusori F., non essendone essa acquirente diretta”. P.M.C. avrebbe infatti acquistato l’immobile a titolo particolare da L.P. nel dicembre 2000, come comprovato dalla documentazione allegata.

Il punto numero 3) di ricorso è rubricato: “la corretta applicazione dei rapporti tra gli artt. 1051 e 1054 c.c.”. Il motivo si apre con una ricostruzione storica delle norme richiamate e contiene le opinioni del “commentatori più autorevoli” in dottrina, per concludere che la Corte di merito avrebbe violato “l’art. 12 preleggi e art. 1054 c.c. letto in combinato disposto con l’art. 1051 c.c.”, in quanto l’art. 1054 c.c. opererebbe “soltanto sul profilo economico del rapporto” e si applicherebbe “dopo l’individuazione del passaggio ex art. 1051 c.c.”, potendo “in effetti rinunciarsi o perdersi per prescrizione o alienazione a titolo particolare, senza lesioni di una logica complessiva”.

Il punto numero 4) si intitola: “circostanze che, presenti nell’incarto processuale, trattate in giudizio ed omesse dalla Corte bresciana, sono nulla di meno decisive, pur rimanendo nella interpretazione corrente della norma dell’art. 1054 c.c., per coonestare la impossibilità della soluzione attraverso il fondo degli alienanti e, dunque, come unica possibile la scelta del passaggio attraverso E. piuttosto che attraverso F.”. Segue l’elenco di undici punti tratti dalla CTU che proverebbero l’impossibilità di realizzare il “passaggio a Nord” (indicate in ricorso con i numeri da 1 a 11), e poi l’elenco di sei punti che invece confermerebbero la pregressa esistenza ed il pregresso uso della strada su cui i ricorrenti, come tanti altri, passavano e “vogliono tornare a passare”.

Ultimo è il punto numero 5) del ricorso, che così si intitola: “la sentenza di appello pare motivare la illegittimità della domanda di servitù coattiva nel fatto che i ricorrenti, avendo acquistato il fondo senza aver richiesto il passaggio all’alienante, si siano poi posti della condizione di domandarlo ai resistenti per avervi costruito delle autorimesse”. Si fa riferimento all’argomento adoperato dalla Corte di Brescia in termini di “aggravamento di uso” per la costruzione delle autorimesse, e si prospetta la violazione dell’art. 1051 c.c. nella parte in cui “la sentenza esclude che la servitù coattiva possa essere domandata per usi convenienti del fondo nuovi rispetto a quelli antecedenti la interclusione”.

I ricorrenti hanno depositato in data 7 gennaio 2019 memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. in relazione all’adunanza camerale inizialmente fissata per il giorno 23 gennaio 2019.

I cinque motivi vanno esaminati congiuntamente, sia perchè presentano comuni profili di inammissibilità, sia perchè intrinsecamente connessi fra loro.

Per cominciare, il precetto contenuto nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, il quale richiede che il ricorso contenga “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, se non comporta l’adozione di formule particolari, nè che delle norme indicate venga fatta separata menzione in un’apposita rubrica con proposizioni assiomatiche, come premessa o, eventualmente, come conclusione dell’atto di impugnazione (nella specie, sempre mancante nelle censure in esame, che si aprono tutte con proposizioni enunciate in forma discorsiva), postula quanto meno che nel ricorso venga fatto riferimento in qualunque modo, esplicito o anche implicito, a testi legislativi e a principi di diritto, lamentandone la violazione.

Sono comunque inammissibili tutte le censure di “omesso esame di un fatto” contenute nel quarto motivo di ricorso. L’interpretazione di questa Corte ha chiarito come l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 05/03/2014, n. 5133. Non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5: le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439). Nè la denuncia di omesso esame ex art. 360 c.p.c., n. 5 può ammissibilmente svolgersi, come fatto nel settimo motivo a pagina 30 e ss. ed a pagina 33 e ss. di ricorso, mediante elenchi puntati di circostanze o questioni che si vogliano sottoporre alla Corte di cassazione.

Sono del pari inammissibili le considerazioni svolte nei diversi motivi di ricorso che propugnano apprezzamenti di fatto difformi da quelli operati dalla Corte di Brescia, e così invocano la Corte di Cassazione a scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute dai ricoprenti più idonee a dimostrare i fatti in discussione, auspicando un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la complessiva ingiustizia della sentenza impugnata. Tale operazione, che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non è consentita nel giudizio di legittimità.

Il ricorso prospetta ripetutamente la questione della intervenuta prescrizione ordinaria decennale del diritto di L.P., P.M.C. e P.R. di ottenere il passaggio coattivo ex art. 1054 c.c., a favore del fondo rimasto intercluso a seguito di alienazione (invero esercitabile dall’acquirente esclusivamente nei confronti del suo diretto contraente, in quanto di fonte contrattuale e, pertanto, di natura personale). Si tratta, tuttavia, di questione di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, nè i ricorrenti adempiono all’onere loro imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, di allegare l’avvenuta deduzione della stessa innanzi al giudice di merito di e di indicare in quale specifico atto del giudizio ciò fosse avvenuto. Il giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicchè sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche questioni di diritto nuove, qualora queste, come quella della prescrizione del diritto ex art. 1054 c.c., postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito.

E’ nuova anche la questione, oggetto del secondo motivo, secondo cui P.M.C. si era resa acquirente a titolo particolare da L.P. nel dicembre 2000, sicchè non spettava a quella il diritto personale ex art. 1054 c.c. Nel ricorso si dice che tale circostanza risultava da un documento prodotto nella fase cautelare ante causam, era poi stata “sempre dedotta ed opposta”, ed infine trattata “quanto meno nella replica d’appello”. Neppure in tal caso la censura rispetta il requisito di ammissibilità dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non viene specificato il contenuto, nè indicata quale istanza fosse stata svolta dalla parte interessata riguardo al documento richiamato (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 1, 24/12/2004, n. 23976; Cass. Sez. 2, 16/08/1990, n. 8304), ovvero se fosse stato esposto negli scritti difensivi rivolti al Tribunale ed alla Corte d’Appello, entro il maturare delle preclusioni di primo grado e poi fra le eccezioni riproposte in secondo grado, che il diritto di passaggio conseguente ad interclusione per effetto di alienazione non potesse spettare in favore di P.M.C., quale avente causa a titolo particolare dall’acquirente dell’immobile rimasto intercluso.

La Corte di appello di Brescia, con apprezzamento di fatto non censurabile se non nei limiti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ha accertato che L.P., P.M.C. e P.R. avevano acquistato una porzione di quello che un tempo era un unico fondo di proprietà F., ben consci che la stessa porzione, per effetto dell’alienazione, non risultasse più collegata alla via pubblica. Tale interclusione non era, dunque, come verificato in sede peritale, preesistente all’acquisto, in quanto i F. accedevano dal loro fondo alla pubblica via. La Corte di Brescia ha altresì negato che l’interclusione fosse dovuta a cause naturali, esistendo una strada utilizzata dai mezzi agricoli per accedere alla strada pubblica attraverso il fondo F.. Quindi, L.P., P.M.C. e P.R. avevano esigenza di ampliare la larghezza della suddetta stradella per renderla idonea all’accesso alle autorimesse da loro costruite, ma non avevano dimostrato di aver preventivamente richiesto al venditore il passaggio attraverso il residuo fondo.

In tal modo, la Corte d’Appello si è uniformata al consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui, allorchè, a seguito dell’alienazione a titolo oneroso della porzione di un fondo, quest’ultima risulti interclusa, l’acquirente può pretendere la costituzione coattiva e gratuita di una servitù di passaggio solamente sulla residua proprietà dell’alienante, ai sensi dell’art. 1054 c.c., e non già sui fondi finitimi degli altri proprietari esterni a quel negozio (come preteso nel caso in esame da L.P., P.M.C. e P.R.), ciò perchè, rispetto a costoro – proprio per effetto della facoltà che la citata norma consente – il fondo acquistato non può considerarsi intercluso. A tal fine è necessario, ed è stato parimenti verificato dalla Corte di Brescia, che lo stato di interclusione sia sorto per effetto dell’alienazione, la quale abbia fatto cessare la possibilità che l’unica parte dell’unico originario fondo aveva di accedere alla strada pubblica attraverso l’altra parte del fondo stesso, e non preesistesse all’alienazione stessa, perchè dovuta a caratteristiche naturali del terreno (nella specie, si è esclusa la presenza di un dislivello) che rendano impossibile o comunque difficoltoso il passaggio dall’una all’altra parte del fondo aperto alla strada pubblica, dovendo in quest’ultimo caso la servitù essere altrimenti costituita secondo i principi generali stabiliti in materia di servitù coattiva, individuando quale dei fondi occludenti consente il passaggio più agevole e meno dispendioso. Il detto diritto “ad habendam servitutem” ex art. 1054 c.c. (che può essere trasferito in forza di apposita pattuizione all’avente causa per atto tra vivi del proprietario del fondo intercluso), a differenza di quello previsto dall’art. 1051 c.c., non rappresenta una facoltà ricompresa nel diritto di proprietà inteso nella sua configurazione legale tipica, ma costituisce un diritto autonomo, soggetto, in difetto di contraria disposizione, alla ordinaria prescrizione estintiva, salvo l’esercizio della diversa facoltà, non prescrittibile, di ottenere, ex art. 1051 c.c., la costituzione di servitù coattiva anche a carico dello stesso fondo dell’alienante a titolo oneroso o del condividente, ove ricorrano i presupposti previsti dalla citata norma (Cass. Sez. 2, 22/05/1998, n. 5109; Cass. Sez. 2, 30/11/1988, n. 6505; Cass. Sez. 2, 07/07/1987, n. 5904).

Il proprietario del fondo, rimasto intercluso a seguito di alienazione a titolo oneroso, può, allora, rivolgersi ad altro qualsiasi confinante per ottenere il passaggio coattivo pagando l’indennità ai sensi dell’art. 1051 c.c., solo ove provi l’impossibilità di agire utilmente contro il suo dante causa o i suoi eredi per ottenere il passaggio gratuito cui egli ha diritto come contraente a norma dell’art. 1054 c.c. (Cass. Sez. 2, 14/05/1997, n. 4207; Cass. Sez. 2, 05/09/2013, n. 20404).

III. Consegue il rigetto del ricorso, regolandosi le spese del giudizio di cassazione secondo soccombenza in favore del controricorrente E.G. nell’importo liquidato in dispositivo. Non occorre provvedere al riguardo per gli altri intimati, i quali non hanno svolto attività difensive.

Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 11 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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