Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18201 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2017, (ud. 05/04/2017, dep.24/07/2017),  n. 18201

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amalia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22495-2010 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

Avvocati ELISABETTA LANZETTA, LUCIA POLICASTRO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

D.P., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dagli avvocati FABRIZIO SILVANI, MAURO

CIMBALO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 562/2009 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/10/2009 R.G.N. 41/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/04/2017 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso;

udito l’Avvocato LUCIA POLICASTRO;

udito l’Avvocato MAURO CIMBALO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di L’Aquila, in data 19/10/2009 in riforma della sentenza del Tribunale di Teramo n. 91/2008, ha accolto il ricorso di D.P., segretaria comunale transitata nei ruoli dell’Inps dall’ottobre 1998 avendo esercitato l’opzione di cui al D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18, comma 11, volto a sentir dichiarare la sua appartenenza al ruolo unico della dirigenza, ai sensi della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, a sentir condannare l’Inps a detto reinquadramento a decorrere dall’1/01/2005, nonchè a corrispondere alla dipendente il nuovo trattamento economico, comprensivo degli interessi legali maturati.

Avverso tale decisione interpone ricorso in Cassazione l’Inps, affidando le sue ragioni a un unico motivo, cui resiste D.P. con controricorso. Entrambi hanno presentato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Nell’unico motivo di censura l’Inps deduce la violazione di una pluralità di norme di legge e del contratto (Ndr: testo originale non comprensibile) D.P.R. n. 749 del 1972, artt. 4 e 11; D.P.R. n. 465 del 1997, artt. 12,18 e 19; L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 48 e 49; L. n. 246 del 2005, art. 16; artt. da 31 a 35 e art. 39 del c.c.n.l. dei segretari comunali e provinciali per il quadriennio normativo 1998/2001 in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 5; art. 1, commi 3 e 6 c.c.n.l. di settore per il biennio economico 2000/20101), in base alla cui errata interpretazione la Corte d’Appello avrebbe ritenuto che la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49 avesse inteso disporre il diritto dei segretari comunali – già trasferiti da tempo presso le amministrazioni pubbliche di destinazione ed ivi inquadrati con la qualifica di funzionari – ad ottenere il diverso e più favorevole inquadramento come dirigenti presso i medesimi enti in cui già da tempo prestano servizio in presenza di due presupposti: un’anzianità di servizio nel ruolo superiore a tre anni e esercizio del diritto di opzione volontaria alla mobilità presso altre pubbliche amministrazioni, previsto dal D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18.

Parte ricorrente censura inoltre, la sentenza gravata per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio consistente nell’avere tralasciato ogni aspetto relativo all’effettivo inquadramento in origine della parte ricorrente e di aver mancato di considerare applicabili i riferimenti normativi e contrattuali derivanti dalla avvenuta mobilità, omettendo di indicare nel dettaglio le ragioni che avrebbero giustificato, a suo parere, l’inquadramento nella dirigenza.

La censura è fondata.

La questione è stata recentemente affrontata dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenze nn. 784, 785, 786/2016) perchè ritenuta di particolare importanza ai sensi dall’art. 374 c.p.c., comma 2.

Le Sezioni Unite, in seguito a una dettagliata ricostruzione del quadro normativo e contrattuale in materia di procedure di mobilità dei segretari comunali (disciplinate, inizialmente, dal D.P.R. n. 465 del 1997, artt. 18 e 19 e successivamente dall’art. 32 del c.c.n.l. dei segretari comunali e provinciali 1998-2001; dalla L. n. 186 del 2004, di abrogazione del D.P.R. n. 465 del 1997, art. 18; dalla L. n. 246 del 2005 d’interpretazione autentica della L. n. 311 del 2004) hanno ritenuto che la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, – che stabilisce la possibilità di reinquadramento e di accesso alla dirigenza a seguito del passaggio ad altra P.A. – non sia applicabile ai segretari comunali o provinciali trasferiti per effetto di procedure di mobilità già esaurite alla data di entrata in vigore della citata legge.

Tanto affermano le Sezioni Unite, alla luce di un’interpretazione letterale, sistematica e teleologica della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49.

Tale inapplicabilità è primariamente desumibile dal tenore letterale della norma (l’incipit del comma 49, che rinvia ai processi di mobilità disciplinati dal comma 48; lo stesso comma 48, collegato al blocco delle assunzioni previsto dal comma 47, che detta una disciplina derogatoria rispetto al contratto collettivo di settore 1998-2001 e rivolta al futuro, in quanto delimitata dalle regole che le parti sociali, in sede di rinnovo del contratto collettivo, vorranno adottare; la previsione di un limite di spesa nel comma 49) ma risulta altresì confermata da un’interpretazione sistematica e teleologica della stessa all’interno del quadro normativo complessivo di riferimento, il quale indica un graduale e costante processo di restrizione nell’accesso alla dirigenza, incoraggiato sia dal legislatore che dalle parti sociali.

I passaggi normativi orientati al processo innanzi richiamato sono contenuti nel D.P.R. n. 465 del 1997, il quale prevedeva che al dipendente che transitava ad altra pubblica amministrazione fosse attribuita la qualifica di provenienza; nel c.c.n.l. 1998-2001 dei segretari comunali e provinciali, il quale aveva da un lato rivisto il sistema di classificazione e, dall’altro, limitato l’accesso alla dirigenza solamente ai dipendenti in possesso delle qualifiche più elevate; nella L. n. 186 del 2004, che, nell’uniformare la mobilità dei segretari comunali e provinciali alla disciplina generale introdotta dal T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 30), era stata oggetto d’interpretazione autentica poco dopo la sua emanazione da parte della L. n. 246 del 2005, che aveva introdotto il principio maggiormente restrittivo secondo il quale anche per i segretari comunali e provinciali appartenenti alle qualifiche più elevate, l’accesso alla dirigenza non poteva ritenersi più la regola.

Interpretare, pertanto, il comma 49 della L. n. 311 del 2004, art. 1 in maniera così estensiva, tale da imporre una generalizzazione dell’accesso alla dirigenza sulla base dei due requisiti ivi previsti (servizio di segretario svolto per almeno tre anni ed esercizio dell’opzione per la mobilità, prevista dal D.P.R. n. 465 del 1997) equivarrebbe a introdurre un fattore di stridente contraddizione con l’intera evoluzione normativa e contrattuale in materia di mobilità dei segretari comunali e provinciali. Nè varrebbe, a ben vedere, invocare il principio di conservazione degli atti negoziali affermato dall’art. 1367 c.c., il quale rappresenta un criterio sussidiario che non si attaglia all’interpretazione delle fonti esterne, sia eteronome sia autonome, anche ammesso che sussistessero casi di procedure di mobilità ancora in corso all’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004.

Il Collegio intende dare continuità all’orientamento giurisprudenziale espresso nelle decisioni sopra richiamate, che hanno confermato le conclusioni alle quali questa Sezione era già pervenuta con le sentenze n. 165/2014, 1047/2014, 1324/2014, orientamento ripreso dalle recenti ordinanze nn. 16521, 12035, 12034, 12033 e 7620 del 2016.

Le argomentazioni sviluppate dalle Sezioni Unite appaiono confermate dalle riforme in itinere, dalle quali allo stato non si ricavano elementi idonei a incidere sull’interpretazione seguita, andando il legislatore – così come si desume dall’ampio contenuto della delega – nella direzione di una rimodulazione a largo raggio degli assetti del personale della P.A. (da cui emerge con sufficiente chiarezza l’intento di assecondare la tendenza all’unificazione, alla soppressione ovvero all’istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e alla rideterminazione dei fabbisogni di personale, superando lo strumento della pianta organica), secondo criteri sia di semplificazione sia di valorizzazione del merito e della professionalità.

Neppure è ipotizzabile un’ingiustificata disparità di trattamento a fronte di una disciplina diversificata in capo alla stessa categoria di soggetti in momenti temporali diversi. L’eccezione d’illegittimità costituzionale della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 49, con riferimento all’art. 3 Cost., è stata ritenuta manifestamente infondata, oltre che per le ragioni già indicate dalle Sezioni Unite (cfr. punti 60-64 sentenza n. 784, 59-62 sentenza n. 785, 6064 sentenza n. 786), per il principio costantemente affermato dalla Corte Costituzionale secondo cui “lo stesso naturale fluire del tempo è valido elemento diversificatore delle situazioni giuridiche” (cfr. fra le tante Corte Cost. nn. 61/2010, 170/2009, 94/2009, 341/2007).

Ragioni analoghe portano a escludere ogni eventuale contrasto con il principio di non discriminazione sancito dall’art. 14 della CEDU, giacchè, anche a voler prescindere dalla questione dell’applicabilità della norma nelle sole ipotesi in cui vengano in rilievo le altre norme sostanziali della Convenzione preposte a tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (fra le più recenti Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, p. 54; 7 febbraio 2013, Fabris contro Francia, p. 47; 22 marzo 2012, Konstantin Markin contro Russia), la giurisprudenza della Corte è costante nell’affermare che una disparità di trattamento assume valenza discriminatoria solo qualora “manchi di una giustificazione oggettiva e ragionevole”, “quando non persegua un fine legittimo” ovvero non sussista “un rapporto di ragionevole proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito” (Corte EDU 7 gennaio 2014, Cusan e Fazzo contro Italia, p. 59; 25 ottobre 2005, Niedzwiecki contro Germania; 27 marzo 1998, Petrovic contro Austria, p. 30; 1 febbraio 2000, Mazurek contro Francia, p. 46 e 48).

Dette condizioni difettano laddove – come nel caso in esame l’inquadramento è stato disposto nel rispetto della normativa all’epoca vigente in relazione alla quale il diritto di opzione era stato esercitato, per cui nessuna compromissione dei diritti riconosciuti dalla Carta potrebbe mai ravvisarsi, posto che il trattamento più favorevole per gli appartenenti alla categoria, invocato quale termine di comparazione, è sopravvenuto in un momento in cui la procedura di mobilità si era conclusa.

Ciò porta a escludere qualsiasi profilo discriminatorio della disciplina in oggetto.

Non può trovare, neanche considerazione davanti a questa Corte il riferimento a un eventuale atteso intervento legislativo, inteso a rimuovere le cause che avrebbero generato il contenzioso in esame (pp.15 e 16 della memoria difensiva di parte controricorrente per l’udienza del 5/04/2017).

Un siffatto intervento non si prospetta allo stato tale da far ritenere nè certa nè imminente una risoluzione per via legislativa della questione oggetto della controversia.

A tal riguardo è opportuno rammentare che il principio della ragionevole durata del processo, che ha rilievo costituzionale (art. 111 Cost., comma 2, seconda parte), impone al giudice, ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c., di evitare attività processuali non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto del principio del contraddittorio, da garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a esplicare i propri effetti (cfr. Cass. n. 3189/2012; conf. Cass. 20422/2012).

Ne consegue che al giudice è impedito adottare provvedimenti che, senza utilità per il diritto di difesa o per il rispetto del contraddittorio, ritardino inutilmente la definizione del giudizio, imponendogli un particolare rigore nel bilanciamento delle opposte ragioni, soprattutto nel giudizio di cassazione, caratterizzato da impulso d’ufficio (cfr. sent. n. 3189/12 cit.).

Il ricorso è fondato e va, pertanto accolto e la sentenza impugnata va cassata, con l’adozione di pronuncia ai sensi dell’art. 384 c.p.c. di rigetto dell’originaria domanda.

Le ragioni che hanno portato all’intervento delle Sezioni Unite, giustificano la compensazione delle spese dell’intero processo.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., rigetta l’originaria domanda; le spese si compensano tra le parti per l’intero processo.

Così deciso in Roma, nella Udienza, il 24 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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