Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18200 del 02/09/2020

Cassazione civile sez. II, 02/09/2020, (ud. 14/01/2020, dep. 02/09/2020), n.18200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18209/2016 proposto da:

LIBARNA ASSISTENZA Società Cooperativa Sociale, in liquidazione

coatta amministrativa, in persona del Commissario liquidatore

A.D.A., rappresentata e difesa dagli Avvocati NICOLA

PAGNOTTA, PIERFRANCO FERRETTI, e CARLO TRAVERSO, ed elettivamente

domiciliata presso lo studio legale del primo, in ROMA, VIA

FRANCESCO DENZA 15;

– ricorrente –

contro

LA VILLA s.p.a., in persona del Presidente del Consiglio di

Amministrazione e legale rappresentante pro tempore I.C.,

rappresentata e difesa dall’Avvocato GABRIELLA PICCOLO, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. FABIO ALBERICI,

in ROMA, VIA delle FORNACI 38;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 96/2016 della CORTE d’APPELLO di TORINO,

depositata il 21/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/01/2020 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. GABRIELLA PICCOLO per la controricorrente, che ha

concluso come in atti.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione, notificato in data 28.12.2009, LA VILLA s.p.a. proponeva opposizione al Decreto Ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 180.581,06, oltre interessi e spese legali, quale corrispettivo per le fatture n. (OMISSIS), n. (OMISSIS) e n. (OMISSIS), a fronte di due contratti d’appalto, rispettivamente stipulati il 28.12.2007 e il 30.5.2008 per la gestione delle strutture (OMISSIS) e (OMISSIS), contratti da cui era receduta rispettivamente in data 31.12.2008 e 28.10.2008. Secondo l’opponente il recesso era motivato dall’inadempimento di LIBARNA ASSISTENZA Società Cooperativa Sociale, che non aveva provveduto al pagamento delle spettanze retributive ai propri dipendenti, tanto che La Villa riceveva numerose richieste di pagamento, ex art. 1676 c.c., quale parte committente a ciò tenuta. La Villa deduceva altresì di avere provveduto a pagare un’ammenda di Euro 7.351,81 onde evitare il procedimento penale per essere incorsa nel divieto di subappaltare parte del servizio infermieristico e fisioterapico alla Società Coop. Nurcing Professional Assistance.

Ciò posto La Villa s.p.a. chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo e invocava l’exceptio inadimpleti contractus da parte di Libarna. In via riconvenzionale, chiedeva la restituzione di quanto pagato a titolo di ammenda e di alcune somme di cui a note di credito emesse.

Si costituiva in giudizio Libarna Assistenza, sostenendo di avere adempiuto alle proprie obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento dei contributi previdenziali e assumendo di non avere potuto adempiere al pagamento delle retribuzioni a favore dei propri dipendenti perchè La Villa non aveva provveduto al tempestivo pagamento delle fatture.

In corso di giudizio si costituiva LIBARNA ASSISTENZA Società Cooperativa Sociale in liquidazione coatta amministrativa, in persona del commissario liquidatore.

Con sentenza n. 581/2014, depositata il 5.6.2014, il Tribunale di Alessandria revocava il decreto ingiuntivo e accoglieva la domanda riconvenzionale di La Villa condannando Libarna Assistenza al pagamento della somma di Euro 7.351,81, con interessi legali dalla domanda al soddisfo, oltre alle spese di lite.

Contro detta sentenza proponeva appello Libarna, assumendo di avere gestito le due strutture di ricovero fin dal 1996 e che la committente aveva mosso contestazioni del tutto pretestuose in merito a suo operato, al solo fine di risolvere i contratti e di poter gestire autonomamente le due strutture utilizzando il personale già formato da Libarna. L’appellante assumeva che, a causa dei mancati pagamenti da parte di La Villa, era entrata in crisi ed era stata dichiarata la liquidazione coatta amministrativa. L’appellante assumeva di avere agito per il pagamento di prestazioni di servizi regolarmente effettuati nei mesi di ottobre e novembre 2008 preso le due strutture. Inoltre, chiedeva il pagamento degli interessi di mora da 28.2.2009 al 14.5.2009 per il ritardato pagamento dell’importo di cui alla fattura n. (OMISSIS), emessa per i servizi resi nel (OMISSIS) a (OMISSIS). Tale fattura doveva essere pagata entro la scadenza stabilita al 28.2.2009, mentre Villa aveva provveduto al pagamento solo in data 14.5.2009. L’appellante evidenziava che La Villa aveva regolarmente ricevuto i servizi di cui ai contratti e che gli inadempimenti lamentati erano di scarsa rilevanza, per cui insisteva per il pagamento delle fatture di cui al decreto ingiuntivo. Sosteneva di non dover corrispondere la somma di Euro 7.351,81, pagata dalla Villa a titolo di ammenda, perchè il fatto non era ascrivibile, in quanto il legale rappresentante di Libarna era stato assolto in sede penale con la formula “perchè il fatto non sussiste” e produceva la relativa sentenza penale.

Si costituiva in giudizio La Villa s.p.a. chiedendo il rigetto dell’appello e a conferma della sentenza di primo grado.

Con sentenza n. 96/2016, depositata in data 21.1.2016, la Corte d’Appello di Torino accoglieva in parte l’appello revocando la condanna di Libarna al pagamento a La Villa della somma di Euro 7.351,81, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo, compensando le spese legali nella misura di un quinto e condannando Libarna al pagamento dei restanti quattro quinti.

Propone ricorso per cassazione Libarna Assistenza Società Cooperativa Sociale in liquidazione coatta amministrativa sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria; resiste La Villa s.p.a. con controricorso e memoria integrativa. La causa proviene dalla adunanza camerale del 15.1.2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – In via pregiudiziale, la controricorrente eccepisce l’inammissibilità del ricorso per carenza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 5 e l’improcedibilità dello stesso per violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 1, giacchè nel ricorso avrebbero dovuto essere indicate le informazioni utili sul decreto di ammissione al gratuito patrocinio. Il ricorso sarebbe anche improcedibile ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 1, per non avere la ricorrente depositato, unitamente allo stesso, il decreto di concessione del gratuito patrocinio.

Le eccezioni non sono fondate in quanto le norme citate dalla ricorrente presuppongono, evidentemente, che il decreto di concessione del gratuito patrocinio fosse già stato emesso al momento della proposizione del ricorso in Cassazione; laddove, nella specie, in tale momento la ricorrente aveva bensì fatto richiesta di ammissione al beneficio, ma non era stato ancora emesso il relativo decreto, che pertanto era impossibile depositare nella Cancelleria di questa Corte, come invece fatto dalla parte non appena ottenuto detto decreto. D’altronde, il ricorso per cassazione proposto dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato è ammissibile anche se non sia stato prodotto il relativo decreto di ammissione al beneficio, purchè vi sia una valida procura alle liti (Cass. n. 8723 del 2012).

2. – Con il primo motivo, rubricato “Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, la ricorrente rileva come, a fronte delle numerose prestazioni dedotte a contratto e oggetto delle fatture nn. (OMISSIS), la Villa avesse eccepito l’inadempimento della Libarna soltanto delle obbligazioni relative al servizio infermieristico. Di conseguenza, le attività non contestate si sarebbero dovute ritenere correttamente eseguite e, come tali, avrebbero dovuto essere pagate, in forza dell’art. 115 c.p.c. e art. 167 c.p.c., comma 1. Invece, la Corte d’Appello non ha applicato il principio di non contestazione in merito alle ulteriori prestazioni svolte dalla ricorrente.

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – L’assunto della ricorrente (che afferma la limitazione della operatività dell’eccezione di inadempimento, in quanto rivolta dalla controparte alle sole obbligazioni relative al servizio infermieristico), risulta generico e privo della doverosa specificità: ciò, sia in mancanza di una esatta indicazione di quali effettivamente fossero e “prestazioni infermieristiche” (che la ricorrente medesima riferisce risultare dai contratti con le strutture “(OMISSIS)” e “(OMISSIS)”, nonchè dalle emesse fatture); sia in ragione del fatto che la ricorrente non ha assolto l’onere di indicare (mediante, ove necessario, anche la trascrizione di tali atti nel ricorso) quali, tra le tante, fossero appunto dette prestazioni. Così contravvenendo al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, secondo cui il controllo deve essere consentito alla Corte sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, senza necessità di indagini integrative (ex plurimis, Cass. n. 9266 del 2018; Cass. n. 192 del 2018; Cass. n. 2093 del 2016).

2.3. – Ne consegue che non può neppure pervenirsi alla conclusione che la mancata contestazione di non meglio precisate prestazioni non infermieristiche (sempre per inidoneo assolvimento degli oneri di specificità e di autosufficienza da parte del soggetto gravato) comporti l’applicazione del principio di non contestazione circa la corretta esecuzione delle stesse.

Il principio di non costatazione di cui al riformato art. 115 c.p.c. (applicabile ratione temporis al presente giudizio, instaurato con citazione del 28 dicembre 2009) – così come l’onere di specifica contestazione tempestiva (desumibile dagli artt. 167 e 416 c.p.c.) – è principio coerente a tutto il sistema processuale; che per essere operativo presuppone che sia posto a carico di una delle parti (attore o convenuto, Cass. n. 8647 del 2016) un onere di allegazione (e/o di prova), e che l’altra parte non lo contesti nella prima difesa utile (Cass. n. 5191 del 2008; cfr. anche Cass. n. 1540 del 2007; Cass. n. 12636 del 2005; Cass. n. 3245 del 2003), evidentemente, solo quando il suddetto onere sia stato correttamente assolto da colui il quale poi invochi l’operatività del principio.

3. – Con il secondo motivo rubricato “Sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 1455,1460 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, la ricorrente contesta quanto affermato dalla Corte di merito, secondo la quale il subappalto del servizio infermieristico in violazione del contratto e l’omesso pagamento delle competenze ai dipendenti andassero considerate come cause giustificatrici del mancato pagamento delle fatture ex art. 1460 c.c.; e aggiungendo che il subappalto del servizio infermieristico giustificasse la risoluzione per inadempimento, come da clausola risolutiva espressa prevista nel contratto di appalto. La ricorrente ritiene di non essere responsabile di un grave inadempimento tale da giustificare la risoluzione del contratto; laddove, peraltro, quando venga eccepito un inadempimento solo parziale delle obbligazioni, grava sull’eccipiente l’onere di provare l’inesattezza dell’altrui adempimento (Cass. n. 1457/2000). La ricorrente rileva inoltre che, nell’ambito del rapporto sinallagmatico che legava La Villa a Libarna, la prestazione di questa era finalizzata a consentire a La Villa s.p.a. di recepire le rette dai degenti, rette che erano state effettivamente pagate. Pertanto, in assenza della prova dell’inadempimento parziale, Libarna avrebbe avuto diritto all’integrale pagamento dell’importo ingiunto; in subordine, ove si fosse ritenuto provato l’inesatto adempimento di Libarna in ordine al servizio infermieristico, si sarebbe dovuto condannare La Villa s.p.a. al pagamento di un importo minore rispetto a quello ingiunto. Invece, la Corte d’Appello ignorava le ulteriori prestazioni, mai contestate, oggetto del contratto dichiarando che la resistente non dovesse pagare alcunchè.

3.1. – Il motivo non è fondato.

3.2. – La ricorrente ha richiamato il risalente orientamento secondo cui, nel giudizio di risarcimento danni da inadempimento contrattuale, qualora il convenuto sollevi eccezione d’inadempimento, per stabilire il riparto dell’onere della prova occorre distinguere: se il convenuto eccepisca l’integrale inadempimento delle proprie obbligazioni da parte dell’attore (exceptio inadimpleti contractus), quest’ultimo ha l’onere di provare di avere esattamente adempiuto; b) se, invece, il convenuto si limiti ad eccepire un inadempimento soltanto parziale (exceptio non rite adimplett contractus), è l’eccipiente stesso che ha l’onere di dimostrare l’inesattezza dell’altrui adempimento (Cass. n. 1457de1 2000; conf. Cass. n. 9824 del 1996).

La Corte distrettuale, viceversa, ha fatto applicazione del più recente e consolidato principio dettato dalle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed i relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento, ed eguale criterio di riparto dell’onere della prova deve ritenersi applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l’adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. (risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poichè il debitore eccipiente si limiterà ad allegare l’altrui inadempimento, ed il creditore agente dovrà dimostrare il proprio adempimento, ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell’obbligazione). Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente a mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Cass. sez. un. 13533 del 2001).

Con specifico riferimento all’appalto privato, questa Corte ha precisato che l’applicazione all’appalto del principio generale che governa la condanna all’adempimento in materia di contratto con prestazioni corrispettive comporta che l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l’opera conformemente al contratto e alle regole dell’arte ove il committente ne eccepisca l’inadempimento; ne consegue che la domanda di condanna del committente al pagamento non può essere accolta nel caso in cui quest’ultimo contesti l’adempimento dell’appaltatore e tale contestazione risulti fondata, non rilevando in tale contesto che l’inadempimento dell’appaltatore abbia scarsa importanza in quanto a tale nozione l’art. 1455 c.c., fa riferimento come limite alla domanda di risoluzione del contratto e non a quella volta ad ottenere il suo adempimento, stante l’esigenza di prevedere l’operatività del rimedio della risoluzione solo nel caso in cui il comportamento di una parte produca un effettivo pregiudizio all’interesse della parte non inadempiente, alterando il sinallagma funzionale (Cass. n. 3472 del 2008; conf. altresì Cass. n. 98 del 2019; Cass. n. 936 del 2010).

La sentenza impugnata, con valutazione in fatto, congrua e coerente rispetto agli evocati principi, e quindi non sindacabile in questa sede, ha ritenuto che le prove offerte dalla ricorrente non dimostrassero l’effettiva entità dei lavori eseguiti, pervenendo a tale conclusione sulla base della corretta applicazione della regole, dell’onere della prova (così ripartito), individuando appunto nell’appaltatore il soggetto onerato della dimostrazione dell’avvenuta esecuzione delle attività per le quali viene richiesto il compenso.

3.3. – Quanto poi alla affermazione della ricorrente di non ritenere d’essere responsabile di un inadempimento così grave da giustificare la risoluzione del contratto, vale richiamare il costante principio per il quale, in generale, l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra atro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).

Ne consegue che anche tale accertamento è censurabile in sede di legittimità unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

4. – Con il terzo motivo, rubricato “Sulla violazione o falsa applicazione degli artt. 1656,1406 e 1362-1371 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, la ricorrente deduce che la Corte territoriale riteneva la Libarna inadempiente per avere subappaltato il servizio infermieristico in violazione del contratto di appalto e per avere omesso di pagare i dipendenti. Sul primo inadempimento la ricorrente ha dedotto che il Giudice di secondo grado non avesse applicato correttamente le nozioni di “subappalto” e “cessione del contratto”, giungendo a sovrapporre le due differenti tipologie contrattuali e a giustificare la risoluzione per inadempimento contrattuale in forza di clausola risolutiva espressa (nella specie “divieto di cedere in tutto o in parte il contratto”) prevista nei contratti di appalto e male interpretata ai sensi dell’art. 1362 c.c.. Nella fattispecie era stato provato che Libarna avesse subappaltato e certamente non ceduto a terzi il servizio infermieristico; e che La Villa fosse in perfetta conoscenza che il servizio infermieristico era svolto dalla Nursing Professional Assistance Società Cooperativa Sociale, posto che Libarna non disponeva di personale qualificato per tale servizio. La ricorrente deduce che prova di tali fatti derivasse da missiva del 24.7.2008, nonchè da prova per teste. In ordine, poi, al secondo inadempimento (omesso pagamento dei dipendenti), la Corte di merito affermava che alla data dell’1.8.2008 La Villa avesse contestato che ai dipendenti fossero state correttamente erogate la quattordicesima mensilità, gli stipendi e il trattamento di fine rapporto (ai dipendenti cessati) e che tali inadempimenti fossero precedenti rispetto all’emissione delle fatture nn. (OMISSIS) e (OMISSIS); e che il mancato pagamento delle retribuzioni non fosse dovuto all’inadempimento di La Villa, perchè il 21.5.2008 la resistente avrebbe pagato alla Libarna Euro 87.722,00 (fattura n. (OMISSIS)). Osserva la ricorrente l’erronità di tale assunto, in quanto la fattura n. (OMISSIS) era stata pagata solo in data 14.5.2009, e non nel maggio 2008, come erroneamente indicato in sentenza. Sulla base di tale errore la Corte di merito ha affermato che, nonostante la fornitura di liquidità, Libarna non avesse provveduto al pagamento dei dipendenti; mentre Libarna aveva sempre puntualmente pagato le spettanze ai propri soci lavoratori.

4.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

4.2. – In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto che oggetto delle obbligazioni contrattualmente assunte da Libarna fosse l’espletamento dei servizi di gestione di due strutture di ricovero per anziani, in cui era ricompreso il servizio infermieristico degli anziani. Ed ha evidenziato che dal 24 luglio fino al 28 ottobre 2008 la Villa avesse contestato gravi inadempimenti della Libarna, la quale aveva tralasciato di fornire personale in numero sufficiente ed esperto nelle cure e somministrazione dei farmaci ai degenti ed aveva aveva omesso il pagamento di retribuzioni e contributi ai dipendenti, subappaltando parte del contratto (servizio infermieristico), nonostante il divieto contrattualmente previsto. Pertanto, tali gravi inadempimenti giustificavano l’exceptio inadimpleti contractus al fine di andare esente dal pagamento delle fatture nn. (OMISSIS).

4.3. – La ricorrente lamenta, in sintesi, l’erroneità della valutazione del quadro probatorio acquisito e quindi delle conclusioni cui la Corte sarebbe di conseguenza pervenuta. Viceversa è consolidato, in termini generali, il principio ermeneutico (già richiamato sub 3.31 secondo cui sono riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonchè la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, per cui è insindacabile, in sede di legittimità, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).

Per venire più specificamente al thema decidendum, va poi rilevato che, quanto alla interpretazione del contratto (come qualificato dalla Corte di merito), l’accertamento, in base al significato letterale delle parole, della volontà degli stipulanti, in relazione al contenuto dei negozi inter partes (cfr. Cass. n. 18509 del 2008), si traduce anch’esso in un’indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che anche tale accertamento (riguardante l’applicazione delle nozioni di “subappalto” e “cessione del contratto”) è censurabile in sede di legittimità soltanto per vizio di motivazione (Cass. n. 1646 del 2014), ed unicamente nel caso in cui (contrariamente a quanto risulta nella presente fattispecie) la motivazione stessa risulti talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato contenuto, oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche; con la precisazione che nessuna di tali censure può risolversi in una critica del risultato interpretativo raggiunto dal giudice, che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente interpretazione (tra le tante, Cass. n. 26683 del 2006; Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 1754 del 2006).

4.4. – Per sottrarsi al sindacato di legittimità, infatti, quella data dal giudice del merito al contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni sì che quando di una clausola contrattuale siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto la interpretazione poi disattesa dal giudice del merito, dolersi in sede di legittimità che sia stata privilegiata l’altra (Cass., n. 10466 del 2017; Cass. n. 8909 del 2013; Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 15604 del 2007; Cass. n. 4178 del 2007; Cass. n. 17248 del 2003). Essendo altresì pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimità è configurabile (cosa che nella specie non è dato ravvisare) solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito, e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento; ma non già quando vi sia difformità rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).

In quest’ultimo caso, infatti, la censura si risolve, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, così mostrando la ricorrente di anelare ad una impropria trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità (Cass. n. 5939 del 2018). Come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della Cassazione non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimità limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che nel caso di specie è dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).

4.5. – Quanto, poi, alla affermazione da parte del giudicante dell’omesso pagamento dei dipendenti, da parte della resistente valgono le stesse motivazioni (cui ci si riporta) svolte in ordine all’apprezzamento dei fatti spettante al giudice di merito, e come tale sottratto al sindacato di legittimità.

Laddove, l’indicazione della Corte territoriale del mese di maggio 2008 (anzichè maggio 2009) quale periodo di pagamento della fattura n. (OMISSIS) (sentenza impugnata, pag. 11) si configura quale mero errore materiale, palesemente riconoscibile (sentenza impugnata, pag. 9), e perciò irrilevante ai fini della corretta interpretazione del dictum e del decisum del giudice di appello.

5. – Con il quarto motivo, rubricato “Sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” la ricorrente deduce l’erroneità dell’assunto della Corte d’appello, secondo cui il pagamento degli interessi moratori (fatt. n. (OMISSIS) per ritardato pagamento della fatt. n. (OMISSIS)) non era giustificato essendo il ritardo di La Villa giustificato a causa del non regolare adempimento delle prestazioni retributive a favore dei dipendenti. La ricorrente ha rilevato che il pagamento della fatt. n. (OMISSIS) – relativa alle prestazioni dei servizi del mese di (OMISSIS) – doveva essere effettuata a “60 giorni data fattura fine mese”, mentre la resistente provvedeva al pagamento solo in data 14.5.2009, per cui senza dubbio essa era tenuta al pagamento degli interessi moratori dal 28.2.2009 al 14.5.2009. Inoltre, con il pagamento tardivamente effettuato della fatt. n. (OMISSIS), La Villa s.p.a. riconosceva l’esatta esecuzione delle prestazioni effettuata da Libarna nel (OMISSIS).

5.1. – Il motivo non è fondato.

5.2. – A prescindere dalla carenza di autosufficienza del ricorso non essendo il contenuto delle fatture prodotto nè riportato, risulta anche in questo motivo dirimente la corretta (e già esaminata) ripartizione tra le parti dell’onere probatorio che attribuisce all’appaltatrice l’onere di provare di avere regolarmente adempiuto alle obbligazioni assunte, nonchè la spettanza al giudice di merito dell’apprezzamento dei fatti sottratto al sindacato di legittimità, in quanto coerentemente e congruamente motivato da parte del giudicante. Anche il pagamento degli interessi moratori non ha trovato giustificazione essendo il ritardo di La Villa conseguentemente ritenuto giustificato a causa del non regolare adempimento della ricorrente delle prestazioni retributive a favore dei dipendenti.

6. – Il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 14 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 settembre 2020

 

 

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