Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1820 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2022, (ud. 07/12/2021, dep. 20/01/2022), n.1820

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5277-2020 proposto da:

S.W., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato LIDIA BIANCO SPERONI;

– ricorrente –

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL

RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA, in

persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis

dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia

in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 1710/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 27/11/2019 R.G.N. 1756/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

07/12/2021 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Brescia, con la sentenza impugnata, ha rigettato l’appello proposto da S.W., originario del Senegal, avverso la decisione di primo grado che aveva respinto il ricorso con il quale la competente Commissione territoriale aveva, a sua volta, rigettato la domanda di protezione internazionale proposta

dall’interessato, escludendo altresì la sussistenza dei presupposti per la protezione umanitaria;

2. la Corte ha ritenuto di “dubbia credibilità” quanto narrato dal richiedente protezione, circa l’essere stato rapito dai ribelli del movimento indipendentista della Casamance che gli avevano anche ucciso il padre, aggiungendo poi che, “al di là di ciò, vengono ad essere determinanti le modifiche avvenute dal 2013 ad oggi quanto alla situazione del Senegal e della Casamance”; secondo la Corte “il quadro complessivo di tale situazione non appare tale da integrare un livello di violenza generalizzata, anche alla luce del processo di pacificazione avvenuto in Casamance che, se non ha ancora risolto il conflitto esistente, lo ha in larga parte ridimensionato”; si citano, a sostegno, rapporti internazionali del 2017 e del 2018 dai quali risulterebbe il conflitto nella zona di Casamance “a bassa intensità”; anche il banditismo, pur esistente, non sarebbe “di entità tale da poterlo far assurgere ad una situazione di conflitto armato o di violenza generalizzata”, per cui “nessun rischio correrebbe il richiedente in caso di rientro in patria”; da ultimo vengono negati anche i presupposti per la concessione della protezione umanitaria, “non essendovi né essendo stato opposto alcuno specifico aspetto di vulnerabilità soggettiva, salvo l’apprezzabile percorso di integrazione adeguatamente documentato (frequenza scolastica ed un tirocinio di formazione e orientamento”;

3. ha proposto ricorso per la cassazione del provvedimento impugnato il soccombente con 3 motivi; il Ministero dell’Interno ha depositato “atto di costituzione” per il tramite dell’Avvocatura Generale dello Stato al solo fine di una eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione “dell’art. 1, lett. A, 2) della convenzione di Ginevra e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 8” nonché “motivazione apparente”, in relazione al rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato; si critica diffusamente la sentenza impugnata per non aver tenuto conto chi il Sagnan era stato rapito e reclutato coattivamente dai ribelli dell’MFDC e che i responsabili delle persecuzioni, ai fini del riconoscimento della protezione, possono essere anche soggetti non statuali, laddove le autorità del paese di provenienza non siano in grado di garantire la protezione dovuta; con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, e il vizio di motivazione apparente sia in ordine alla valutazione di non credibilità della vicenda personale denunciata dal richiedente protezione sia circa la negazione della protezione sussidiaria sulla base di informazioni generiche e inattuali, in mancanza di una considerazione adeguata delle prove disponibili e senza un esercizio concreto dei poteri officiosi; col terzo motivo si denuncia la violazione e la falsa applicazione dell’art. 5, c. 6, T.U. d. lgs. n. 286 del 1998, per avere la Corte bresciana negato la protezione umanitaria senza adeguatamente valutare la situazione del paese di origine e l’integrazione sociale raggiunta dal richiedente protezione, ammessa dalla stessa Corte territoriale;

2. il Collegio giudica i motivi, congiuntamente esaminabili per reciproca connessione, fondati nei sensi espressi dalla motivazione che segue;

2.1. innanzitutto, va evidenziato che, secondo un condiviso orientamento di legittimità, la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente deve essere il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da compiere non sulla base della mera mancanza di riscontri obiettivi ma alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, e tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente (di cui al citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5 comma 3 lett. c)), senza dare rilievo esclusivo e determinante a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati del racconto (Cass. n. 2956 del 2020; Cass. n. 13257 del 2020); la questione rileva sotto il profilo della violazione di legge e non come omesso esame di fatto decisivo, e cioè come violazione delle regole procedimentali poste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per inosservanza del dovere di cooperazione istruttoria (v. Cass. 26921 del 2017; Cass. n. 8282 del 2013; Cass. n. 24064 del 2013; Cass. n. 16202 del 2012);

in secondo luogo, deve precisarsi che il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, una volta assolto da parte del richiedente asilo il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale nella quale siano presenti aspetti contraddittori che ne mettano in discussione la credibilità, in quanto è finalizzato proprio a raggiungere il necessario chiarimento su realtà e vicende che presentano una peculiare diversità rispetto a quelle di altri paesi e che, solo attraverso informazioni acquisite da fonti affidabili, riescono a dare una logica spiegazione alla narrazione del richiedente (Cass. n. 3016 del 2019; Cass. n. 24010 del 2020);

in terzo luogo, va osservato che il riferimento operato dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3, alle “fonti informative privilegiate” deve essere interpretato nel senso che è onere del giudice specificare la fonte in concreto utilizzata e il contenuto dell’informazione da essa tratta e ritenuta rilevante ai fini della decisione (Cass. n. 13255 del 2020); in particolare, le informazioni acquisite devono essere pertinenti rispetto alla questione posta, perché tale accertamento può senza dubbio “rilevare, ai fini della valutazione sulla credibilità delle dichiarazioni, sotto il profilo della coerenza esterna del narrato” (da ultimo; Cass. n. 22825 del 2021);

nel caso in esame la Corte territoriale ha operato una valutazione di “dubbia” credibilità con affermazioni apodittiche, senza alcun riferimento alla procedimentalizzazione legale prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, passando poi a valutare le fonti informative, avuto però riguardo alla sussistenza o meno di una situazione di violenza generalizzata nel paese di provenienza dell’istante, ma senza porre in correlazione la vicenda da questi narrata con informazioni acquisibili; va ricordato che, secondo questa Corte, in materia di protezione internazionale, è nulla per motivazione apparente la decisione del giudice del merito che, dopo aver dato conto delle C.O.I. assunte nell’adempimento del dovere di cooperazione istruttoria, formuli conclusioni disancorate dalle informazioni emergenti dalle fonti ufficiali richiamate, sì da apparire del tutto incoerenti rispetto alle premesse (Cass. n. 15068 del 2021);

2.2. quanto poi alla valutazione delle condizioni socio-politiche del Paese d’origine del richiedente, essa deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione, sicché il giudice del merito non può limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (ex plurimis, Cass. n. 17069 del 2018, n. 3016 del 2019, n. 13897 del 2019); in particolare, ai fini della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), il giudice è tenuto anche d’ufficio a verificare – utilizzando fonti attendibili per scrutinare le “COI” (Country of origin information) – se nel Paese di origine sia oggettivamente sussistente una situazione di violenza indiscriminata talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente (Cass. n. 19716 del 2018); dovere di fondare la decisione su COI aggiornate e precise che sussiste, peraltro, anche in presenza di una narrazione del richiedente non credibile e contraddittoria, posto che l’ipotesi di danno grave di cui alla lett. c), trovando fondamento in una situazione di violenza indiscriminata e diffusa di grave intensità, non richiede la prova di alcuna personalizzazione del rischio (Cass. n. 10286 del 2020; Cass. n. 8819 del 2020; Cass. n. 5324 del 2021); nella specie, invece, la motivazione della sentenza impugnata nega la protezione sussidiaria in discorso, esaminando fonti generiche e risalenti al 2017/2018 rispetto al momento della decisione avvenuta nel novembre del 2019 (analogamente v. Cass. 29368 del 2021);

2.3. infine, i giudici d’appello hanno omesso di effettuare il giudizio comparativo così come prescritto in materia di protezione umanitaria dalle Sezioni unite di questa Corte che, innanzitutto (sent. n. 29459 del 2019), hanno condiviso l’orientamento che assegna rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (indirizzo inaugurato da Cass. n. 4455 del 2018, seguita, tra varie, da Cass. n. 11110 del 2019 e da Cass. n. 12082 del 2019); successivamente le stesse Sezioni unite (sent. n. 24413 del 2021) hanno precisato che, ai fini di detta valutazione comparativa, occorre attribuire alla condizione del richiedente nel paese di provenienza un peso tanto minore quanto maggiore risulti il grado di integrazione che il richiedente dimostri di aver raggiunto nella società italiana, fermo restando che situazioni di deprivazione dei diritti umani di particolare gravità nel paese originario possono fondare il diritto alla protezione umanitaria anche in assenza di un apprezzabile livello di integrazione in Italia; qualora poi si accerti che tale livello è stato raggiunto e che il ritorno nel paese d’origine renda probabile un significativo scadimento delle condizioni di vita privata e/o familiare tali da recare un “vulnus” al diritto riconosciuto dall’art. 8 della Convenzione EDU, sussiste un serio motivo di carattere umanitario, ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, per riconoscere il permesso di soggiorno;

le Sezioni unite da ultimo citate hanno anche esemplificativamente affermato che “un livello elevato d’integrazione effettiva nel nostro Paese” è “desumibile da indici socialmente rilevanti quali la titolarità di un rapporto di lavoro (pur se a tempo determinato, costituendo tale forma di rapporto di lavoro quella più diffusa, in questo momento storico, di accesso al mercato del lavoro), la titolarità di un rapporto locatizio, la presenza di figli che frequentino asili o scuole, la partecipazione ad attività associative radicate nel territorio di insediamento”; nella specie è la stessa Corte territoriale a riconoscere il “percorso di integrazione adeguatamente documentato” da parte del richiedente protezione, ma poi non procede al dovuto giudizio comparativo; 3. conclusivamente il ricorso deve essere accolto nei limiti di quanto esposto, con cassazione della sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvio al giudice indicato in dispositivo che si uniformerà a quanto statuito, provvedendo anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Brescia, in diversa composizione, anche per le spese.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 7 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

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