Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18199 del 16/09/2016


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Cassazione civile sez. trib., 16/09/2016, (ud. 15/09/2015, dep. 16/09/2016), n.18199

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CENTRO SERVIZI SANITARI srl, rappresentata e difesa dall’avv. Paolo

Capè, presso il quale è elettivamente domiciliata in Milano in via

Cappellari n. 3;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 92/24/07, depositata il 28 gennaio 2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15

settembre 2015 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

udito l’avv. Paolo Capè per la ricorrente e l’avvocato dello Stato

Paolo Marchini per la controricorrente;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per l’inammissibilità ed in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La srl Centro Servizi Sanitari pru le ricorso per cassazione, con un motivo, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia che, accogliendo l’appello dell’Agenzia delle entrate, ha confermato la legittimità della cartella di pagamento recante l’iscrizione a ruolo di quanto liquidato a titolo di IRPEF per il 2000 all’esito del controllo eseguito ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, dal quale emergeva essere stati effettuati tardivamente ed in misura inferiore alcuni versamenti di ritenute d’imposta.

La società contribuente aveva impugnato la cartella assumendo che era stato complessivamente versato quanto dovuto, ma che per un mero errore di indicazione del codice tributo il versamento di alcune ritenute alla fonte era stato eseguito con il codice 1040 anzichè con il codice 1041.

Il giudice d’appello rilevato cane dalla documentazione dell’anagrafe tributaria risultava chiaramente l’inadeguatezza dei versamenti effettuati, ha osservato che priva di rilevanza appariva la giustificazione della contribuente circa alcuni versamenti eseguiti con il codice 1041 anzichè quello esatto 1040, per cui sommando tutti i versamenti effettuati con entrambi i codici si sarebbe ottenuta la somma totale di quanto dovuto dalla società. Ciò in quanto “i codici tributi erano stati introdotti per individuare in modo chiaro ed immediato la specificità di ogni versamento effettuato, par cui nessun versamento è simile ed analogo ad un altro, ma ognuno affluisce al capitolo proprio del bilancio dello Stato relativo allo specifico versamento”, sicchè “in caso di errore, e cioè di versamento, cane nella fattispecie in questione, effettuato con codice errato, lo stesso non può che ritenersi come non effettuato. La giustificazione accettata dal giudice di prima istanza, e cioè che i versamenti effettuati con il primo codice si riferiscono in effetti al secondo codice, è privo di rilevanza giuridica, in quanto la società, contrariamente a quanto dichiarato, dal mod. 770 risulta tenuta al versamento di ritenute non solo sul cod. 1040, ma anche sul 1041, per cui la sommatoria di tutti i versamenti non è in grado di fornire un dato omogeneo, fermo restando, comunque, la irregolarità del versamento. La parte, al fine di evitare ogni tipo di controversia, avrebbe dovuto chiedere il rimborso di quanto versato erroneamente, e riversare gli importi mancanti con il codice corrente”.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo la contribuente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1972, art. 36 bis, assume – ed in tali termini formula il quesito di diritto – che in sede di liquidazione, a norma della disposizione in rubrica, in base alla dichiarazione di un sostituto d’imposta non sarebbe consentito all’Agenzia delle entrate di procedere alla riscossione attraverso iscrizione a ruolo di ritenute alla fonte, con interessi e sanzioni, in casi in cui risulta documentato il tempestivo e integrale versamento delle ritenute stesse, pur con l’indicazione errata del codice tributo”.

Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.

Il giudice d’appello non incorre infatti nell’errore di diritto ad esso addebitato, in quanto l’amministrazione finanziaria è abilitata, a norma del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 36 bis, avvalendosi di procedure automatizzate, alla liquidazione delle imposte in base alle dichiarazioni presentate dai sostituti d’imposta; “sulla base dei dati e degli elementi direttamente desumibili dalle dichiarazioni presentate e di quelli in possesso dell’anagrafe tributaria, l’amministrazione finanziaria provvede a controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività dei versamenti delle imposte” dovute a titolo di ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta.

Questa Corte ha in proposito affermato che “la dichiarazione tributaria è atto direttamente attuativo della legge tributaria, e produce di per sè un effetto di liquidazione dell’imposta, rispetto al quale l’eventuale ulteriore liquidazione dell’ufficio, a seguito dell’esercizio del potere di accertamento formale automatizzato del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36-bis, non innova se non per la correzione degli errori materiali e di calcolo, tanto è vero che il quarto camma dello stesso articolo adotta il principio dell’imputazione diretta della liquidazione al dichiarante (Cass. n. 1113 del 2013); ed ha in un particolare caso ritenuto che “la procedura di iscrizione al ruolo del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 36 bis, viene correttamente adottata non solo nel caso di somme dichiarate e non versate, ma anche nella situazione analoga di versamento di somme non incassate in quanto effettuato con bollettini falsificati, con la conseguenza che non è necessario emettere un preventivo avviso di accertamento, atteso che la disposizione richiamata consente la riscossione delle somme dovute sulla base dei dati emergenti dalla stessa dichiarazione del contribuente” (Cass. n. 14851 del 2008).

A tali prescrizioni l’ufficio nella specie si è attenuto e ciò non viene contestato dalla contribuente.

Questa muove poi da un presupposto erroneo – e non sembra perciò cogliere la ratio decidendi della pronuncia – quando sostiene che “risulta documentato il tempestivo e integrale versamento delle ritenute stesse, pur con l’indicazione errata del codice tributo”.

Il giudice d’appello ha infatti accertato “la correttezza e la regolarità con cui ha agito l’ufficio, in modo del tutto automatico sulla base di un’apposita comunicazione dell’anagrafe tributaria da cui risultavano in nudo palese ed inconfutabile gli irregolari versamenti effettuati dalla società. Dall’esame infatti della documentazione dell’anagrafe tributaria risulta chiaramente la inadeguatezza dei versamenti effettuati”; ed ha ritenuto “priva di rilevanza la giustificazione a tal uopo addotta dalla parte” concernente i “codici”. Ed ha indicato le ragioni della non rilevanza nel fatto che “i codici tributo sono stati introdotti per individuare in modo chiaro ed immediato la specificità di ogni versamento effettuato, per cui nessun versamento è simile ed analogo ad un altro, ma ognuno affluisce al capitolo proprio del bilancio dello Stato relativo allo specifico versamento”, sicchè “in caso di errore, e cioè di versamento, cane nella fattispecie in questione, effettuato con codice errato, lo stesso non può che ritenersi cane non effettuato. La giustificazione accettata dal giudice di prima istanza, e cioè che i versamenti effettuati con il primo codice si riferiscono in effetti al secondo codice, è privo di rilevanza giuridica, in quanto la società, contrariamente a quanto dichiarato, dal nud. 770 risulta tenuta al versamento di ritenute non solo sul cod. 1040, ne anche sul 1041, per cui la sommatoria di tutti i versamenti non è in grado di fornire un dato omogeneo, fermo restando; comunque; la irregolarità del versamento: la parte, al fine di evitare ogni tipo di controversia, avrebbe dovuto chiedere il rimborso di quanto versato erroneamente, e riversare gli importi mancanti con il codice corrente”.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

La peculiarità della fattispecie consiglia di dichiarare compensate fra le parti le spese del giudizio.

PQM

La Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Dichiara compensate fra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 15 settembre 2015.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016

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