Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18198 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2017, (ud. 21/04/2017, dep.24/07/2017),  n. 18198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20900-2012 proposto da:

MINISTERO PER LO SVILUPPO ECONOMICO, C.F. (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE

DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA ALLA VIA DEI

PORTOGHESI 12;

– ricorrente –

contro

M.P.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4950/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/06/2012 R.G.N. 287/08.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di prime cure, ha accolto il ricorso proposto da M.P. nei confronti del Ministero per lo Sviluppo Economico e, dichiarato il diritto dell’appellante a percepire l’assegno non riassorbibile previsto dalla L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, ha condannato il Ministero al pagamento delle somme a tale titolo spettanti con decorrenza dalla data del passaggio di qualifica;

che avverso tale sentenza ha proposto ricorso il Ministero sulla base di due motivi, ai quali la M. non ha opposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

1. che i motivi di ricorso denunciano ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la violazione e falsa applicazione della L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, letta in combinato disposto con il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 3 nonchè l’insufficiente pronuncia su un fatto controversa ed decisivo della controversia e rilevano, in sintesi, che la Corte territoriale, disattendendo immotivatamente l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, ha errato nel ritenere applicabile alla fattispecie il principio della non riassorbibilità dell’assegno personale, sia perchè la norma citata trova applicazione nella sola ipotesi del passaggio di carriera fra amministrazioni statali, sia in quanto l’assegno non ha la finalità di attribuire un trattamento economico privilegiato, essendo unicamente finalizzato ad evitare la reformatio in peius di detto trattamento;

2. che la sentenza impugnata si pone in contrasto con l’orientamento ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che, in fattispecie esattamente sovrapponibile a quella oggetto di causa (Cass. 12.5.2014 n. 10219) ha richiamato il principio in forza del quale in tema di passaggi di personale e procedure volontarie di mobilità nel pubblico impiego privatizzato, il mantenimento del trattamento economico collegato al complessivo status posseduto dal dipendente prima del trasferimento opera nell’ambito, e nei limiti, della regola del riassorbimento in occasione dei miglioramenti di inquadramento e di trattamento economico riconosciuti dalle normative applicabili per effetto del trasferimento;

2.1 che, inoltre, questa Corte, prendendo le mosse dalla giurisprudenza del Giudice amministrativo, munito all’epoca di giurisdizione esclusiva sulle controversie di lavoro pubblico (vedi, per tutte, Cons. Stato, Ad. plen, 16 marzo 1992, n. 8) – ha evidenziato che il D.P.R. n. 3 del 1957, art. 202, richiamato dalla L. n. 537 del 1993, art. 3, comma 57, non è espressione di un principio generale, applicabile indistintamente a tutti i dipendenti pubblici, dovendosi interpretare la norma nel senso che la disciplina relativa all’assegno ad personam, utile a pensione, attribuibile agli impiegati con stipendio superiore a quello spettante nella nuova posizione lavorativa, concerne esclusivamente i casi di passaggio di carriera presso la stessa Amministrazione statale o anche diversa amministrazione, purchè statale, non anche i passaggi nell’ambito di Amministrazione non statale, ovvero tra diverse Amministrazioni non statali o da una di esse allo Stato e viceversa;

2.2. che infatti la suddetta norma risponde alla precipua finalità di evitare che il mutamento di carriera nell’ambito dell’organizzazione burocratica dello Stato comporti, per gli interessati, un regresso nel trattamento economico raggiunto, ma di “regresso” può parlarsi soltanto confrontando posizioni omogenee nel contesto di un sistema burocratico unitario, entro il quale il “dipendente statale” si sposti con le modalità previste per il “passaggio” ad altra Amministrazione o ad altra carriera, compreso il caso dell’accesso per concorso, secondo le disposizioni statutarie;

2.3. che sussistono, dunque, limiti soggettivi ed oggettivi all’applicabilità della norma, che inducono di per sè ad escludere che alla stessa possa essere attribuita una portata estensiva e che il legislatore abbia inteso, con tale disposizione, porre un principio di ordine generale, da valere per ogni tipo di passaggio ed indipendentemente dalla natura statale o meno delle organizzazione nel cui ambito si verifica la mobilità (Cass. 16.4.2012 n. 5959 e negli stessi termini Cass. 24.11.2014 n. 24949);

2.4. che la L. n. 537 del 1997, art. 3, comma 57, – che prevede la non riassorbibilità dell’assegno ad personam spettante nei casi di “passaggio di carriera” di cui al T.U. n. 3 del 1957, art. 202 ad altra posizione con trattamento economico inferiore – non si applica in relazione alle assegnazioni al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni del personale dell’Amministrazione delle Poste e Telecomunicazioni, disposte ai sensi della L. n. 71 del 1994, art. 6, non essendovi in tal caso passaggio di carriera nella stessa o in altra amministrazione, ma solo un’assegnazione provvisoria con successivo reinquadramento nei ruoli organici del Ministero; ne consegue la legittimità del riassorbimento dell’assegno ad personam, già corrisposto al citato personale, per effetto della dinamica retributiva del trattamento economico” (Cass. 19.11.2010 n. 23474).

2.5. che tale orientamento interpretativo, confermato da Cass. sent. nn. 7282, 15783 e 21434 del 2011, n. 480 e n. 10219 del 2014, nn. 5919, 5920, 12860 e 13123 del 2015, n. 8191 del 22.4.2016, nn. 20556 e 20557 del 12.10.2016 e n. 22782 del 9.11.2016 deve essere anche in questa sede ribadito perchè le ragioni poste a fondamento del principio affermato sono condivise dal Collegio;

3. che il ricorso va, pertanto, accolto e la sentenza deve essere cassata senza rinvio, potendo la causa, che non richiede ulteriori accertamenti di fatto, essere decisa nel merito con il rigetto dell’originaria domanda.

4. che possono essere interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito, in considerazione dell’esito alterno del giudizio promosso in epoca antecedente alle pronunce di questa Corte sopra richiamate;

4.1. che per il principio della soccombenza vanno, invece, poste a carico di M.P. le spese del giudizio di legittimità;

4.1. che non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta la domanda. Compensa integralmente fra le parti le spese dei gradi di merito e condanna M.P. al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 3.000,00 oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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