Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18198 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. lav., 05/09/2011, (ud. 14/07/2011, dep. 05/09/2011), n.18198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa,

dall’avvocato GIAMMARIA PIERLUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA XX SETTEMBRE 3,

presso lo studio dell’avvocato SANDULLI MICHELE, che lo rappresenta e

difende unitamente agli avvocati BRIGANTI MAURIZIO, SARTI MORENO,

giusta delega in atti;

– B.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA 195,

presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1055/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/08/2006 r.g.n. 1128/06 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/07/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato MARIO MICELI per delega GIAMMARIA PIERLUIGI;

udito l’Avvocato VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per l’inammissibilità per B.

D., rigetto per M.L..

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 751/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Firenze rigettava le domande proposte da B.D. e L. M. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi per il periodo maggio/agosto 2002, conclusi per sopperire alle necessità derivanti dalla gestione dei pagamenti I.C.I..

Sugli appelli distinti dei lavoratori, resistiti dalla società, la Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 30-8-2006, in riforma della pronuncia di primo grado, accertata la nullità del termine apposto ai contratti de quibus, dichiarava la sussistenza del rapporto a tempo indeterminato fin dal 21-5-2002 per il D. e fin dal 23-5-2002 per il M. e condannava la società a corrispondere a ciascuno le retribuzioni omesse dalla data di notifica della convocazione all’ufficio del lavoro per il tentativo obbligatorio di conciliazione, con gli interessi sulle somme rivalutate.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con tre motivi.

Il B. e il M. hanno resistito, ciascuno con proprio controricorso.

Infine tutte le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c., e la società ha altresì depositato copia di verbale di conciliazione in sede sindacale, concluso con il B. in data 9-9-2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarato inammissibile il ricorso nei confronti del B..

Dal verbale di conciliazione prodotto in copia risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13-7-2009 n. 16341).

Infine, in considerazione dell’accordo complessivo intervenuto, le spese del presente giudizio di cassazione tra la società e il B. vanno compensate tra le parti.

Per quanto riguarda, poi, il M. (il cui contratto in particolare è stato concluso per il periodo 23-5-2002/22-8-2002, “per far fronte agli incrementi di attività o esigenze produttive particolari e di carattere temporaneo connesse alla gestione degli adempimenti I.C.I. che non possono essere soddisfatte con il personale in servizio”), osserva il Collegio che la ricorrente con il primo motivo, denunciando vizio di motivazione, in sostanza lamenta che erroneamente e contraddittoriamente la sentenza impugnata da un lato ha riconosciuto la fondatezza della causale del contratto di assunzione e dall’altra ha affermato che la predetta causale non rifletterebbe la concreta attività lavorativa svolta.

In specie la società deduce che l’assunzione de qua è stata basata sulle reali necessità di soddisfare le esigenze produttive e gestionali particolari e di carattere temporaneo protrattesi anche in tempi successivi alla scadenza del termine di accettazione dei pagamenti I.C.I. e lamenta che la Corte di merito avrebbe deciso la causa basandosi esclusivamente sulla prova testimoniale, senza prendere in considerazione i documenti prodotti da essa società.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Innanzitutto la ricorrente richiama genericamente una “documentazione prodotta da Poste Italiane”, che sarebbe stata trascurata dalla Corte di merito, senza indicarne e tanto meno riportarne il contenuto per la autosufficienza del ricorso.

Non vi è, poi, alcuna contraddizione nella motivazione dell’impugnata sentenza, che, in particolare, premesso che incombeva sulla società la prova della effettiva riconducibilità della assunzione de qua alle esigenze connesse alla gestione degli adempimenti I.C.I., dedotta in contratto, ha rilevato che “l’istruttoria ha smentito radicalmente l’assunto di Poste Italiane s.p.a. poichè dai testi escussi è risultato inequivocabilmente che le attività direttamente od anche indirettamente ricollegate alla lavorazione dei bollettini I.C.I. od anche dell’arretrato ordinario (conseguenza dell’incremento lavorativo per l’ICI) si erano esaurite nell’arco di poco più di un mese e comunque ai primi di agosto. Tali attività, per altro, avevano avuto inizio nel mese di giugno inoltrato.” Orbene, premesso che il contratto de quo ricade nella disciplina del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, alla luce dei principi affermati da questa Corte (cfr. fra le altre Cass. 1-2-2010 n. 2279 e Cass. 27-4- 2010 n. 10033, Cass. 27-1-2011 n. 1931) deve ritenersi che le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo giustificatrici della apposizione del termine devono essere sufficientemente particolareggiate, in maniera da rendere possibile la conoscenza dell’effettiva portata delle stesse (in relazione anche alla relativa estensione spaziale e temporale) e quindi il controllo di effettività delle medesime (con valutazione rimessa al giudice del merito ed esente dal sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione).

Nella fattispecie correttamente la Corte di merito ha escluso che nella fattispecie sussistesse la detta effettività, in sostanza rilevando che il contratto in questione aveva avuto una decorrenza ed una durata ben oltre l’esigenza specificata e che il lavoratore era stato “impiegato in attività del tutto estranee alla gestione dei bollettini I.C.I. per il mese di maggio, per buona parte del mese di giugno e per tutto il periodo successivo ai primi di agosto del 2002”.

Tale valutazione, conforme a diritto e congruamente motivata, resiste alla generica censura della società ricorrente (per casi analoghi di contratti conclusi per esigenze connesse agli adempimenti I.C.I., nei quali questa Corte ha ritenuto corrette le motivazioni dei giudici di merito v. Cass. 26-3-2010 n. 7339, Cass. 21-4-2010 n. 9467, Cass. 12- 7-2010 n. 16312).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” con riferimento all’eccezione relativa all’aliunde perceptum.

La ricorrente, in realtà, con tale motivo lamenta del tutto genericamente e quindi in maniera inammissibile che la Corte territoriale abbia errato nel ritenere irrilevante la relativa eccezione e poi censura la sentenza per non avere tenuto conto che dai principi elaborati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte (cita al riguardo Cass. 17 ottobre 2001 n. 12697) discenderebbe che “l’aliunde perceptum … non può che essere genericamente dedotto dall’istante. Dovrebbe essere invece onere del lavoratore dimostrare di non essere stato occupato nel periodo in questione, per esempio a mezzo delle dichiarazioni dei redditi relative ai periodi successivi alla scadenza del contratto a termine eventualmente dichiarato illegittimo e di altra eventuale documentazione (libretti di lavoro, buste paga)”.

Il motivo così riassunto conclude con la formulazione del seguente quesito ex art. 366 bis c.p.c.:

“Dica la Corte se, nel caso di aggettiva difficoltà della parte ad acquisire precisa conoscenza degli elementi sui quali fondare la prova a supporto delle proprie domande ed eccezioni – e segnatamente per la prova dell’aliunde perceptum – il giudice debba valutare le richieste probatorie con minar rigore rispetto all’ordinario, ammettendole ogni volta che le stesse possano comunque raggiungere un risultato utile ai fini della certezza processuale e rigettandole (con apposita motivazione) solo quando gli elementi somministrati dal richiedente risultino invece insufficienti ai fini dell’espediente richiesto”.

Se si tiene conto del principio secondo cui il quesito di diritto deve essere formulato in maniera specifica e deve essere pertinente rispetto alla fattispecie cui si riferisce la censura (cfr., ad es., Cass. S.U. 5 gennaio 2007 n. 36 e 5 febbraio 2008 n. 2658) è evidente che il quesito come sopra formulato dalla società appare in buona parte estraneo alle argomentazioni sviluppate nel motivo e comunque del tutto astratto, senza alcun riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato, per cui deve ritenersi inesistente con conseguente inammissibilità del relativo motivo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (in tal senso v. fra le altre Cass. 10-1-2011 n. 325).

Con il terzo motivo, denunciando “violazione o falsa applicazione di norme di diritto e insufficiente e contraddittoria motivazione”, la ricorrente dopo aver richiamato il principio di “corrispettività della prestazione”, lamenta la erroneità della sentenza della Corte d’Appello la quale, in particolare, “avrebbe dovuto tutt’al più, riconoscere un risarcimento del danno alla lavoratrice – dalla data di messa in mora, che non coincide automaticamente con il tentativo obbligatorio di conciliazione”.

La ricorrente formula quindi il seguente quesito: “Dica la Suprema Corte se, attesa la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro ed in applicazione dei principio generale di effettività e di corrispettività delle prestazioni, sia dovuta o meno l’erogazione del trattamento retribuivo pur in assenza di attività lavorativa e se tale erogazione abbia natura retributiva o risarcitola”.

Anche tale quesito risulta del tutto generico e astratto, mancando qualsiasi riferimento all’errore di diritto pretesamente commesso dai giudici nel caso concreto esaminato (in tal senso, sullo stesso quesito, v. Cass. n.ri 329, 330 e 331 tutte del 10-1-2011).

Peraltro il quesito in esame risulta anche inconferente rispetto al motivo, in quanto quest’ultimo, oltre a ribadire genericamente il principio di corrispettività, in sostanza, in relazione alla sentenza impugnata, lamenta che la stessa avrebbe erroneamente considerato che la messa in mora coincidesse con la comunicazione della richiesta del tentativo obbligatorio di conciliazione, e di tale questione non vi è traccia nel quesito stesso.

Così risultati inammissibili i motivi secondo e terzo, riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine, neppure potrebbe incidere in qualche modo nel presente giudizio lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Al riguardo, infatti, come questa Corte ha più volte affermato, in via di principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4-1-2011 n. 80 cit.).

Orbene tale condizione non sussiste nella fattispecie.

Il ricorso va pertanto respinto nei confronti del M. e la ricorrente va condannata al pagamento delle spese in favore dello stesso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del B. e compensa le spese con lo stesso; rigetta il ricorso nei confronti del M. e condanna la ricorrente a pagargli le spese, liquidate in Euro 25,00 oltre Euro 2.500,00 di onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 14 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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