Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18198 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. III, 05/08/2010, (ud. 25/06/2010, dep. 05/08/2010), n.18198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI NANNI Luigi Francesco – Presidente –

Dott. PETTI Giovanni Battista – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. URBAN Giancarlo – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

OSOPPO DI DONATELLA SAVASTA FIORE SAS (OMISSIS), in persona del

suo legale rappresentante, Dott. S.F.D.,

elettivamente domiciliata in ROMA presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dell’Avv. IMPERATO LUCIANA in

10125 TORINO, VIA BERNARDINO GALLIARI 2 BIS, giusta delega in calce

al ricorso;

– ricorrente –

contro

C.N. (OMISSIS), C.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARCELLO

PRESTINARI 13, presso lo studio dell’avvocato RAMADORI GIUSEPPE, che

li rappresenta e difende unitamente all’avvocato LENTI ENNIO giusta

delega a margine del controricorso;

CONDOMINIO VIA (OMISSIS) (OMISSIS), in persona

dell’amministratore pro tempore, Geom. C.F.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VLE G MAZZINI 113, presso lo

studio dell’avvocato GRASSO ROSALBA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MORRONE SALVATORE giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrenti –

e contro

BANCA SAN PAOLO IMI, C.G., S.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 97/2006 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

SEZIONE PRIMA CIVILE, emessa il 10/01/2006, depositata il 24/01/2006

R.G.N. 2366/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/06/2010 dal Consigliere Dott. FRASCA Raffaele;

udito l’Avvocato FAUSTO BUCCELLATO (per delega dell’Avv. RAMADORI

GIUSEPPE);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nell’ambito di una procedura esecutiva immobiliare nei suoi confronti introdotta davanti al Tribunale di Torino, all’udienza del 27 settembre 2002, fissata dal Giudice dell’esecuzione per la discussione sul progetto di distribuzione depositato a seguito dell’emissione del decreto di trasferimento di uno degli immobili pignorati, l’esecutata Osoppo s.a.s. di Donatella Savasta Fiore, compariva in persona del suo legale rappresentante S. D., che, agendo senza ministero di difensore, si opponeva, con un atto, contenente varie deduzioni e da lei sottoscritto, al progetto a norma dell’art. 512 c.p.c. Dopo un rinvio alla successiva udienza del 18 ottobre 2002, nella quale gli aggiudicatari C. S. e C.N. eccepivano il difetto di rappresentanza tecnica in capo all’opponente, il Tribunale, con ordinanza riservata del 5 novembre 2002, sospendeva la distribuzione e disponeva che la Osoppo provvedesse, entro il 30 dicembre 2002, alla notificazione dell’atto depositato, dei verbali di udienza e dell’ordinanza alle altre parti della procedura esecutiva, nonche’ all’iscrizione a ruolo, fissando, inoltre, l’udienza ai sensi dell’art. 180 c.p.c. e concedendo termine per il deposito di comparsa fino a venti giorni prima alle parti destinatarie.

La Osoppo, sempre in persona della sua amministratrice e senza ministero di difensore, provvedeva alle disposte notificazioni, depositando, quindi, in cancelleria l’originale dell’atto notificato.

Inoltre, evocava in giudizio, quale preteso litisconsorte necessario C.G., padre dei due aggiudicatari.

L’affare veniva iscritto a ruolo con un numero diverso da quello del procedimento esecutivo.

Si costituivano gli aggiudicatari ed il Condominio di via (OMISSIS), mentre restavano contumaci C.G., la Banca San Paolo IMI e S.L..

2. Il Tribunale, con sentenza del 13 giugno 2003, dichiarava il difetto di jus postulandi in capo all’opponente (tenuto conto che la S.F.D. era soltanto laureata in giurisprudenza, ma non abilitata all’esercizio della professione forense), la conseguente nullita’ assoluta del ricorso in opposizione e, quindi, confermava il progetto di distribuzione.

3. La sentenza veniva appellata dalla s.a.s. Osoppo e la Corte d’Appello di Torino, nella resistenza degli aggiudicatati e del detto Condominio e nella contumacia delle altre parti, con sentenza del 24 gennaio 2006, rigettava l’appello.

4. Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.a.s. Osoppo.

Hanno resistito con separati controricorsi il Condominio e gli aggiudicatari C., mentre non hanno svolto attivita’ difensiva C.G., la Banca San Paolo IMI e S. L..

I resistenti C. hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio preliminarmente rileva l’infondatezza dell’eccezione di irritualita’ della procura rilasciata dalla ricorrente in calce al ricorso, sollevata dal resistente in primo luogo sotto il profilo che essa non conterrebbe un riferimento alla sentenza da impugnare ed al giudizio di cassazione e che la domiciliazione in (OMISSIS) evidenzierebbe la mancanza di volonta’ della parte di proporre ricorso per cassazione.

Quanto al primo profilo e’ sufficiente osservare che, ad integrare la specialita’ della procura per il giudizio di cassazione rilasciata a margine o, come nella specie, in calce al ricorso, e’ sufficiente il fatto che essa forma materialmente parte del ricorso (fra tante, Cass. n. 15692 del 2009).

Riguardo al secondo profilo, il fatto stesso che la domiciliazione in Roma abbia, in difetto, la sua alternativa ex lege nella domiciliazione presso la cancelleria di questa Corte, esclude ogni possibilita’ di inferire quanto postula il resistente.

Patimenti infondata e’ l’eccezione del Condominio in ordine alla mancanza nella formula di conferimento della procura dell’indicazione del legale rappresentate della ricorrente, ancorche’ essa sia indicata con nome e prenome prima della firma: e’ sufficiente osservare che nell’intestazione del ricorso si indica come legale rappresentante della ricorrente la stessa persona e, pertanto, facendo la procura corpo con il ricorso, detta indicazione e’ riferibile anche ad essa.

2. Il Collegio ritiene che la struttura del ricorso in esame – che si sviluppa per cinquantuno pagine – sia articolata in modo tale che all’attivita’ di mera indicazione dei motivi su cui esso si fonda non si accompagni l’illustrazione di essi, in modo da consentire alla Corte di individuare quali siano le argomentazioni con le quali la societa’ ricorrente ha inteso sostenere ciascuno dei motivi stessi.

Di modo che si e’ in presenza di un ricorso affetto da mancanza dei motivi.

Il ricorso, dopo l’indicazione delle parti e della sentenza che si intende impugnare, indica i motivi su cui esso si vorrebbe fondare tra la fine della pagina due e la fine della pagina tre e lo fa dopo l’enunciazione, del tutto incomprensibile che si “ricorre …. in forza dell’art. 360 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. per la cassazione” di essa, quasi che il ricorso fosse proposto nel contempo come ricorso ordinario e come ricorso straordinario. Questa seconda qualificazione, essendo la sentenza impugnata una normale sentenza resa in grado di appello e’ incomprensibile: ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nel testo anteriore alla sostituzione operata dal D.Lgs. n. 40 del 2006 ed applicabile al ricorso, essa non puo’ che essere soggetta soltanto al ricorso ordinario ai sensi di detta norma.

I motivi, pur non indicati con un riferimento ad una delle ipotesi di cui all’art. 360 c.p.c. e pur non qualificati come “motivi”, risultano identificabili, a livello di mera indicazione riassuntiva, nelle enunciazioni riportate sotto i punti da A ad E: esse, infatti, anche se non contengono – come si dovrebbe sul piano meramente formale esigere, quando, in relazione al contenuto di un atto processuale, la legge prescrive che esso si debba denominare in un certo modo, cioe’ nella specie “motivo” (testo dell’art. 366 c.p.c., n. 4 anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006) – la formale intestazione di “motivi”, pur tuttavia, in dipendenza delle espressioni descrittive che contengono, presentano ciascuna il contenuto sostanziale della indicazione di un motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c..

Le espressioni di cui alla lettera A (che iniziano alla pagina due e si concludono alla pagina tre) assumono letteralmente che la sentenza impugnata sarebbe da cassare “in quanto essa contiene violazione e falsa applicazione delle seguenti norme di legge: art. 2909 c.c. (sul valore del giudicato), art. 2907 c.c., art. 2697 c.c. (relativo all’onere della prova), art. 2929 c.c., art. 1206 c.c. (relativo alla mora del creditore), D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4 e art. 18, punto 1, punto 4 e punto 5 (legge sull’IVA), D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643 e successive modificazioni (legge sull’INVIM), del D.L. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 17, commi 6 e 7 (Legge Istitutiva dell’ICI che ha abolito l’INVIM fissando un regime transitorio), art. 132 c.p.c., art. 342 c.p.c., art. 485 c.p.c., art. 486 c.p.c., art. 82 c.p.c., art. 83 c.p.c., art. 485 c.p.c., art. 486 c.p.c., artt. 615 e 617 c.p.c., art. 512 c.p.c., artt. 21 e 24 Cost. Italiana, art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sottoscritta in Roma il 4/11/1950 ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955, n. 848 e relativo alle norme sul giusto processo e ai sensi degli artt. 2, n. 107, 2, n. 112, punto 3, 2, n. 113 e 2, n. 114 della vigente Costituzione Europea, approvata dagli Stati membri in Roma il 29 ottobre 2004 e ratificata nell’ordinamento interno dello stato italiano con L. 7 Aprile 2005, n. 57…., nonche’ con l’art. 111 Cost. Italina come modificato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, art. 2 che ha introdotto anche nella Costituzione italiana una parte dei principi sul giusto processo codificati nel gia’ citato art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, in particolare il principio della ragionevole durata del processo”.

Sotto la lettera B la cassazione della sentenza e’ chiesta “in quanto essa contiene omessa decisione e omessa motivazione circa punti decisivi della controversia rilevati dalla parte e comunque rilevabili d’ufficio”.

Sotto la lettera C “in quanto essa contiene insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia rilevati dalla parte e comunque rilevabili d’ufficio”.

Sotto la lettera D “per nullita’ – inesistenza di atti del procedimento su cui la sentenza e’ fondata”.

Ed in fine sotto la lettera E “per nullita’ – inesistenza della sentenza stessa”.

2.1. Le enunciazioni che qui si sono riportate, una volta ricondotte al paradigma normativo dell’art. 360 c.p.c., evidenziano quanto segue:

a) la congerie di norme indicate sotto la lettera A si presta, per quelle sostanziali, ad essere ricondotta sotto l’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e per quelle processuali sotto quello del n. 4 della stessa norma;

b) inoltre si presta ad essere intesa come prospettante una pluralita’ di censure od addirittura una pluralita’ di motivi, posto che l’estrema eterogeneita’ delle stesse esclude non solo che si sia in presenza della indicazione di un motivo con piu’ censure;

c) quanto indicato alle lettere B e C si presta ad essere ricondotto all’ambito dell’art. 360 c.p.c., n. 5;

d) quanto indicato alle lettere D ed E si presta ad essere ricondotto all’art. 360 c.p.c., n. 4 ma l’omessa individuazione delle norme violare allo stato rende l’indicazione stessa inidonea ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (testo anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006), di modo che tali motivi sono per cio’ solo inammissibili.

3. La struttura del ricorso, dopo quanto si e’ riferito, contiene una parte denominata “in fatto” fino alla meta’ della pagina nove, che riferisce una serie di vicende relative sia allo svolgimento della procedura esecutiva, sia allo svolgimento dell’incidente di cognizione sfociato nella sentenza impugnata: si tratta, dunque, di parte del ricorso destinata ad assolvere al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

3.1. Dalla seconda meta’ della pagina segue una parte che e’ qualificata “in diritto”, che e’ cosi’ strutturata:

a1) sotto la premessa sub 1, indicata come “contestazione della sentenza n. 97/06 della Corte d’Appello di Torino impugnata con presente ricorso”, si trattano: a1a) dalla seconda meta’ della pagina nove alla prima meta’ della pagina tredici, sub 1, “Le omissioni di decisione”; a1b) dalla seconda meta’ della pagina tredici fino alla prima meta’ della pagina venti, sub 2, “le motivazioni contraddittorie e non rispondenti al vero e la falsa interpretazione dell’art. 342 c.p.c.”; a1c) dalla seconda meta’ della stessa pagina venti fino alla prima meta’ della pagina ventitre, sub 3, “la disapplicazione e la falsa applicazione della legge”; a1d) dalla seconda meta’ della stessa pagina ventre fino ad un terzo della pagina ventisette, sub 4, “Le decisioni marginali contenute nella sentenza n. 97/06”.

a2) ad un terzo della pagina ventisette, sub 2, si intesta la successiva trattazione, che prosegue fino alla prima meta’ della pagina trentuno, come dedicata a “La nullita’ della vendita all’asta”.

a3) a meta’ della pagina trentuno, sub 3, si intesta la successiva trattazione, che prosegue fino all’inizio della pagina trentacinque, come dedicata a “La nullita’ della vendita all’asta per collusione”.

a4) nella pagina trentacinque e nella pagina successiva si tratta, sub 4, de “La nullita’ anche parziale della vendita all’asta”.

a5) dalla fine della pagina trentasei e fino alla pagina trentanove si tratta, sub 5, de “il progetto di distribuzione depositato dal dott. A. uno dei giudici dell’esecuzione succedutisi nella trattazione dell’esecuzione in data 23/5/2002”.

a6) dalla pagina quaranta fino a meta’ della pagina quarantasette si discorre, sub 6, de “La sentenza del Tribunale di Torino n. 5020/03”, cioe’ della sentenza di primo grado.

a7) dalla seconda meta’ della pagina quarantasette fino alla pagina cinquantuno, dove si formula la richiesta di cassazione, si indicano le produzioni ed e’ inserita la procura, si discorre, sub 7, de “il risarcimento del danno patito e patendo”.

4. Ebbene, nessuna delle varie parti contrassegnate con i numeri romani ed all’interno di ognuna di esse nessuna di quelle indicate con i numeri arabi, risulta individuata con espressioni che evidenzino che si intende svolgere alcuno dei motivi o alcuna delle censure di violazione di norme di diritto e del procedimento indicate nella lettera A, nonche’ i vizi motivazionali ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 preannunciati genericamente dalle lettere B e C. In tale situazione, difetta nel ricorso l’enunciazione, da parte della ricorrente, di espressioni idonee ad avvertire il lettore che con quanto si scrive si intende svolgere i motivi e le censure dapprima del tutto riassuntivamente indicati nella lettera A, nonche’ ad individuare, di volta in volta, quale motivo o quale censura si intenda svolgere ed illustrare, ivi comprese quelle motivazionali.

Di modo che resta affidato al lettore, all’esito della lettura di quanto si va enunciando sotto le varie parti contrassegnate in numeri romani e, quindi, arabi, apprezzare se quanto si scrive possa e debba essere ricondotto alla violazione di una certa norma o al vizio motivazionale.

Ora, quando l’art. 366 c.p.c., n. 4 nel testo anteriore al D.Lgs. n. 40 del 2006, prescriveva che il ricorso per cassazione dovesse contenere i motivi su cui si fondava, attribuiva al ricorrente e, quindi, ad una sua attivita’ assertiva, oltre all’onere di indicare, cioe’ di individuare attraverso espressioni idonee a ricondurlo al paradigma dell’art. 360 c.p.c., ciascun motivo, l’onere di svolgerne l’illustrazione e, quindi, di articolare con espressioni linguisticamente idonee la critica alla sentenza impugnata nel che consiste il motivo. Avendo nella specie la ricorrente scelto una tecnica di redazione del ricorso caratterizzata dalla previa indicazione riassuntiva di tutti i motivi e di tutte le censure, per di piu’ quanto al motivo sub A attraverso l’indicazione come violate di una vera e propria congerie di norme, e non, invece, una tecnica espositiva con la quale, a ciascuna indicazione del motivo o della censura proposti, seguisse l’illustrazione, era suo onere evidenziare successivamente a quale delle norme asseritamente violate ed a quale vizio motivazionale la sua attivita’ assertiva si riferisse, tanto piu’ che solo l’intestazione del punto 3 del punto 1 evoca, peraltro genericamente l’idea che si denunci un vizio, la’ dove allude a “la disapplicazione e la falsa applicazione della legge”, mentre negli altri punti le intestazioni non lo fanno in alcun modo.

In tale situazione, si e’ in presenza di un ricorso che non assolve al requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, cioe’ non contiene nei sensi sopra specificati i motivi su cui si fonda, ma postula, attraverso la enunciazione di una serie di asserzioni in alcun modo indicate come finalizzate ad individuare i motivi, che sia la Corte, attraverso la loro lettura ad eventualmente individuare quali di esse sarebbero funzionali a svolgere la funzione di motivo, attraverso una inammissibile e soggettiva valutazione diretta a ricondurle ad alcuna o a piu’ delle norme di cui si e’ in precedenza indicata riassuntivamente la violazione ovvero ad alcuno dei vizi ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 parimenti indicati in modo generico in precedenza.

5. Peraltro, se la Corte procedesse a tale opera di soggettiva individuazione dei motivi, ponendosi nella logica voluta dalla ricorrente, la lettura integrale del ricorso e la sua valutazione alla luce della percezione del decisum della sentenza qui impugnata, per come esposti dal ricorso stesso ed alla luce della sentenza impugnata, evidenzierebbe che cio’ di cui si lamenta la ricorrente e’, in buona sostanza, la violazione dell’art. 342 c.p.c., la’ dove il terzo motivo di appello e’ stato ritenuto carente di specificita’.

La sentenza, infatti, ha: a) rigettato, perche’ infondato, il primo motivo di appello, che afferiva ad un problema di notificazione della sentenza di primo grado, dando atto che l’impugnazione era stata tempestivamente proposta; b) rigettato, perche’ infondato, il secondo motivo di appello, relativo ad una violazione dell’art. 132 c.p.c., per omessa riproduzione delle conclusioni della qui ricorrente; c) dichiarato inammissibile il terzo motivo, afferente alla declaratoria del difetto di jus postulandi della societa’ ricorrente.

5.1. Ora, nella lunga illustrazione di cui si e’ detto la ricorrente, quanto alla decisione sul primo motivo, che tratta sotto il paragrado intitolato “Le decisioni marginali contenute nella sentenza n. 97/06”, esclude essa stessa che quanto ne venne ritenuto oggetto integrasse un motivo ed addebita alla sentenza impugnata di averlo considerato tale e rigettato, postulando (pagina ventitre) che se fosse stata altrimenti vi sarebbe stata una ricaduta sulle spese dell’appello, che non avrebbero dovuto essere poste a suo carico completamente.

Questo assunto, oltre a non venire spiegato e, quindi, ad essere inidoneo ad assolvere la funzione del motivo di ricorso per cassazione per la sua assoluta genericita’, appare anche logicamente incomprensibile: se quello che sarebbe stato erroneamente considerato motivo (e che fra l’altro non si riproduce in violazione del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, alludendosi del tutto oscuramente al fatto che aveva costituito ragione di una non meglio specificata istanza ai sensi dell’art. 184 c.p.c., comma 6, n. 5) non era tale, non si comprende come la sua considerazione appunto come un non – motivo di gravame avrebbe potuto incidere sull’esito dell’appello e, quindi, sulle spese, tenuto conto del rigetto del secondo motivo e della declaratoria di inammissibilita’ del secondo motivo.

5.2. Quanto al rigetto del secondo motivo, ci si duole (pagine ventiquattro – venticinque) che la sentenza impugnata, a proposito di esso abbia osservato che le conclusioni di primo grado della qui ricorrente, della cui omessa trascrizione essa si era lamentata con detto motivo, erano state dalla sentenza di primo grado “considerate per l’esplicito richiamo ai punti da 9.1. a 9.4. a pagg. 12 e 13 della sentenza, senza tuttavia loro esame nel merito siccome assorbito dalla pregiudiziale pronuncia della nullita’ del ricorso”, e si addebita alla sentenza di appello di non avere rilevato la nullita’ ai sensi dell’art. 132 c.p.c. nonostante abbia riconosciuto che il detto esame non era stato compiuto.

Anche tale assunto e’ logicamente incomprensibile: se il Tribunale ebbe a censurare il difetto della jus postulandi della ricorrente, l’esistenza della relativa questione di rito impediente precludeva ogni esame delle ragioni poste al base della richiesta di tutela della ricorrente stessa.

5.3. Quanto alla valutazione di inammissibilita’ del terzo motivo di appello si osserva quanto segue.

La critica svolta nel ricorso, oltre a muovere del tutto infondatamente alla sentenza impugnata (stante il rigetto del primo e del secondo motivo) l’appunto (pagina dieci del ricorso) d’avere dichiarato inammissibile l’appello e non il motivo ritenuto aspecifico, viene svolta con assoluta inosservanza del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, che, quando riguarda la sentenza di merito nel punto in cui ha ritenuto un motivo di appello inosservante della prescrizione dell’art. 342 c.p.c. in punto di requisito di specificita’, esige che il ricorrente in cassazione individui nel ricorso il motivo di cui trattasi, trascrivendo le espressioni le quali evidenziavano a suo dire che esso era specifico. Al contrario, il ricorso non solo non riproduce le espressioni che a dire della ricorrente costituivano la deduzione del terzo motivo di appello, ma alle pagine quattordici e quindici si limita a rinviare a varie pagine dell’atto di appello, cosi’ demandando a queste Corte la lettura di esse e l’individuazione di cio’ che poteva o non poteva assolvere all’onere di specificita’, compito che, invece, e’ rimesso all’attivita’ del ricorrente in cassazione, competendo alla Corte solo di verificare se l’assunto del ricorrente risulti fondato oppure no. Ne’ – lo si osserva per completezza – l’onere di autosufficienza puo’ dirsi assolto da quanto e’ riprodotto alla pagina undici del ricorso in fine fino all’inizio della pagina dodici, atteso che, per un verso lo stesso ricorso non contiene nessuna asserzione della ricorrente diretta ad individuare tale breve riproduzione come sostanziante la specificita’ del terzo motivo (venendo la relativa questione trattata solo alla pagina quattordici), e, per altro verso – ma lo si rileva ad abundantiam – il passo risulta anche di per se’ del tutto inidoneo a far comprendere quale fosse il motivo di appello: infatti, la parte virgolettata esordisce con un “Infine va detto che, a tutto voler concedere, e’ destituita di fondamento la conseguenza che la sentenza 5020/03 trae dalle sue precedenti argomentazioni …”, di modo che resta sottinteso per il lettore il contesto in cui la parte riprodotta si inseri’.

Viene, pertanto, in rilievo il seguente principio di diritto:

“L’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimita’ ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilita’ del motivo di censura, onde il ricorrente non e’ dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilita’) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di autosufficienza di esso. Pertanto, ove il ricorrente censuri la statuizione di inammissibilita’, per difetto di specificita’, di un motivo di appello, ha l’onere di specificare, nel ricorso, le ragioni per cui ritiene erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non puo’ limitarsi a rinviare all’atto di appello, ma deve riportarne il contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa specificita’” (Cass. n, 20405 del 2006; in senso conforme: Cass. n. 21621 del 2007).

6. Il ricorso dev’essere, dunque, conclusivamente dichiarato inammissibile per l’inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4.

Le spese seguono la soccombenza a favore di ciascuna delle parti resistenti e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione al resistente Condominio ed ai resistenti C. delle spese del giudizio di cassazione, liquidate a favore sia del primo che dei secondi in Euro tremila/00, di cui duecento/00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 25 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

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