Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18197 del 05/08/2010

Cassazione civile sez. III, 05/08/2010, (ud. 23/06/2010, dep. 05/08/2010), n.18197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VARRONE Michele – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – rel. Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

INPS GESTIONE IMMOBILIARE IGEI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE (OMISSIS)

in persona dei suoi liquidatori Ing. G.G.B. e

PROF. AVV. A.A. in qualità di mandataria dell’INPS,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONDRAGONE 10, presso lo

studio dell’avvocato MASTRANGELI FRANCO, che la rappresenta, e

difende unitamente all’avvocato D’AMICO MICHELE ANTONIO giusta delega

in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

ALER AZIENDA LOMBARDA PER L’EDILIZIA RESIDENZIALE MILANO (già IACP –

ISTITUTO AUTONOMO PER LE CASE POPOLARI) (OMISSIS);

– intimata –

e sul ricorso n. 1446/2007 proposto da:

ALER AZIENDA LOMBARDA EDILIZIA RESIDENZIALE DI MILANO in persona del

Presidente Arch. N.L. e del Direttore Generale Avv.

I.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO

GONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato NAVAZIO GABRIELLA

giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

INPS GESTIONE IMMOBILIARE IGEI S.P.A. IN LIQUIDAZIONE in persona dei

suoi liquidatori, Ing. G.G.B. e Prof. Avv.

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONDRAGONE

10, presso lo studio dell’avvocato MASTRANGELI FRANCO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato D’AMICO MICHELE ANTONIO

giusta delega in calce al ricorso notificato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2776/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 30/11/2005, depositata il 19/01/2006,

R.G.N. 3101/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2

3/06/2010 dal Consigliere Dott. UCCELLA Fulvio;

udito l’Avvocato FRANCO MASTRANGELI;

udito l’Avvocato CARLO ALBINI per delega dell’Avvocato LUIGI MANZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso previa riunione:

inammissibilità ricorso incidentale, accoglimento ricorso principale

limitatamente ai motivi 2^, 3^ e 5^ ricorso principale, rigetto degli

altri.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 19 gennaio 2006 la Corte di appello di Milano, decidendo sul gravame proposto dall’ ALER – Azienda lombarda per l’edilizia residenziale (già IACP di Milano) – avverso la sentenza non definitiva del Pretore di Monza del 27 settembre 1996 e definitiva del Tribunale di Monza del 17 luglio 2002, nel giudizio vertente tra essa ALER (conduttore) e la Cassa speciale di previdenza ATM (cui subentrava l’INPS – Gestione immobiliare I.G.E.I. s.p.a. in liquidazione – locatore), rigettava l’appello proposto dalla ALER nei confronti dell’INPS avverso la sentenza non definitiva; accoglieva l’appello proposto dalla ALER nei confronti dell’INPS avverso la sentenza definitiva e, per l’effetto, rigettava la domanda di risoluzione e di rilascio formulata dall’INPS, compensando integralmente le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Avverso siffatta decisione propone ricorso in via principale l’INPS – Gestione immobiliare – IGEI s.p.a. – in liquidazione, affidandosi a cinque motivi.

Resiste con controricorso la ALER, che propone ricorso incidentale, articolato in tre motivi.

Al ricorso incidentale dell’ALER resiste con controricorso l’INPS – Gestione Immobiliare.

Le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due ricorsi vanno riuniti ex art. 335 c.p.c..

Questione centrale del ricorso principale è quella sulla gravità dell’inadempimento da parte dell’ALER, ritenuta insussistente dal giudice dell’appello, mentre il ricorso incidentale dell’ALER riguarda la riconosciuta applicabilità nel rapporto tra le parti del regime normativo in tema di locazione del codice civile e non già della disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978.

Nel ricorso incidentale si pone anche il problema della rappresentanza giuridica degli enti pubblici ed in particolare dell’INPS. 1.- Osserva il Collegio che per una migliore comprensione della vicenda vanno posti in rilievo alcuni dati processuali.

Con citazione notificata il 14 gennaio 1994 la soc. INPS – IGEI intimava allo IACP di Milano (ora ALER) lo sfratto per morosità di un immobile sito in (OMISSIS).

Costituendosi, lo IACP affermava che il contratto di locazione triennale del 18 gennaio 1964 era stato tacitamente rinnovato fino al 29 dicembre 1969, allorchè le parti sottoscrissero una scrittura privata meramente riproduttiva della precedente, con la sola diminuzione dell’importo del canone, che passava dai 50 milioni annui da versare in due rate semestrali a 40 milioni annui.

Una volta entrata in vigore la L. n. 392 del 1978 le parti definivano l’entità dei canoni dei singoli appartamenti che l’ALER aveva locato agli assegnatari, in base alla suddetta legge e in conformità degli accordi intercorsi l’ALER aveva integralmente corrisposto i canoni dovuti.

La richiesta di pagamento e aggiornamento retroattivo dei canoni fatta dall’INPS – IGEI allo IACP era stata respinta perchè non effettuata L. n. 392 del 1978, ex art. 24, comma 2.

Dopo il mutamento del rito, sulle conclusioni delle parti, il Pretore di Monza, con sentenza non definitiva del 27 settembre 1996, dichiarava che il contratto corrente tra le parti era soggetto alle norme del codice civile e, ritenuta la controversia non matura per la decisione sui residui capi della domanda principale dell’INPS, rimetteva la causa in istruttoria.

Avverso questa sentenza lo IACP formulava riserva di appello ex art. 340 c.p.c..

Soppresso l’ufficio del Pretore e trasformato lo IACP in ALER il Tribunale di Monza, con sentenza definitiva del 17 luglio 2002, dichiarava risolto il contratto di locazione per inadempimento dell’ALER. Proposto appello dall’ALER, che evidenziava la erroneità della sentenza non definitiva quanto alla disconosciuta – in sentenza – volontà bilaterale espressa dalle parti di assoggettare il rapporto alla disciplina speciale e che deduceva che nel suo comportamento non si sarebbe concretato alcun inadempimento, l’INPS sosteneva che il rapporto era soggetto alla disciplina codicistica.

Il giudice dell’appello confermava che il rapporto tra le parti era soggetto alle norme del codice civile, ma riformava la sentenza definitiva di primo grado, respingendo la domanda di risoluzione del contratto e di condanna dell’ALER al rilascio dell’immobile.

2.- Poste queste premesse, osserva il Collegio che in ordine logico vanno esaminati, in primis, due dei tre motivi del ricorso incidentale dell’ALER e, precisamente, quello di cui al terzo motivo circa la rappresentanza giuridica degli enti pubblici non economici e quello di cui al primo motivo circa la disciplina applicabile al rapporto de quo.

2.1.- La censura di cui al terzo motivo, sopra indicato, tende a dimostrare che le comunicazioni intercorse tra gli enti avevano natura negoziale, mentre, secondo il giudice del gravame, provenivano da soggetti non abilitati ad esprimere la volontà degli enti di riferimento o almeno non vi era prova del conferimento e del contenuto dei poteri ad essi soggetti conferiti e neppure, tra questi del potere di stipulare un atto contrattuale, avente peraltro, consistente contenuto economico senza una preventiva deliberazione degli organi sociali (p. 9 – 10 sentenza impugnata).

La doglianza è proposta:

1) sotto il profilo dell’errore di diritto, atteso che con riferimento specifico ai dirigenti INPS la L. n. 72 del 1985, art. 2 ha esteso ai dirigenti degli enti pubblici non economici. tra cui l’INPS le norme sullo statuto giuridico dei dipendenti dello Stato di cui al D.P.R. n. 748 del 1972, il quale all’art. 2, comma 2 riconosce la rappresentanza giuridica delle amministrazioni nei confronti dei terzi;

2) sotto il profilo del soggetto cui incombeva l’onere della prova.

Infatti, ad avviso della ricorrente incidentale, non vi sarebbe alcun onere da parte sua di provare che i dirigenti firmatari delle note redatte su carta intestata INPS fossero forniti del potere di rappresentanza dell’ente, ma semmai sarebbe spettato all’INPS, in via di eccezione, provare eventuali limitazioni ovvero l’inesistenza di un tale potere.

2.2.- La censura va disattesa.

Di vero, il giudice dell’appello, da un lato, ha condiviso la motivazione del giudice di primo grado, secondo il quale dall’esame analitico della corrispondenza intercorsa tra le parti in un arco di tempo quasi decennale le stesse non giunsero mai a concludere uno dei detti negozi, per cui non era necessario affrontare la questione dell’eventuale sussistenza dei poteri rappresentativi dell’INPS circa la conclusione dei cennati negozi in coloro che, come suoi funzionari, tennero la corrispondenza esaminata, posto che tali negozi non furono conclusi.

Dall’altro, tale convincimento viene ulteriormente ribadito, nel rispondere in merito al gravame dell’ALER, inquadrando la fattispecie nella normativa di cui all’art. 1326 c.c., comma 5 (con il conforto della giurisprudenza di questa Corte che richiama) ed esaminando il carteggio tra le parti, che, come già rilevato dalle stesse, portava solo ad una sicura disponibilità dell’INPS per giungere ad una intesa sulla disciplina applicabile.

Il che certamente non equivale a ritenere espressa una volontà di accettazione.

La “apertura” dell’INPS non muta con le lettere e le note da esso istituto inviate dal 25 giugno 1991 fino al 14 settembre 1992, anche se poi, sottolinea il giudice dell’appello,” a prescindere dal valore negoziale di dette comunicazioni non è superfluo evidenziare (aspetto questo che, diversamente da quanto asserito dal primo giudice questa Corte considera preliminare ai fini della decisione) che esse provengano da soggetti non abilitati o almeno non vi è prova che essi fossero abilitati o quale fosse il contenuto dei poteri conferiti, soprattutto in riferimento alla stipula di un contratto dal rilevante valore economico” (p. 9 – 10 sentenza impugnata).

Dalle considerazioni emergenti nella motivazione di rigetto della censura dell’ALER si evince che non si può parlare di errore di diritto (come da costante giurisprudenza: tra le tante Cass. n. 6468/05; Cass. n. 7525/97) nè di inversione dell’onere della prova, perchè, come è noto, una volta che l’intimante abbia eccepito il difetto dei poteri rappresentativi in capo ai suoi funzionar in riferimento al rapporto de quo , incombeva all’intimato – lo IACP – fornire la prova dell’esistenza dei poteri in questione.

In estrema sintesi, era onere dello IACP provare che la volontà negoziale fosse stata ritualmente manifestata dai suoi organi muniti di poteri di rappresentanza (Cass. n. 1894/87; Cass. n. 8876/06), anche se, non essendo stata accertata la esistenza di alcun accordo, la questione perde ogni rilevanza.

3. – Il primo motivo del ricorso incidentale (circa la disciplina applicabile), prospettato come omessa e insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5 va anch’esso disatteso.

Da una parte, come fa rilevare l’INPS, esso è generico in quanto non riproduce esattamente il tenore delle risultanze processuali il cui omesso o inadeguato esame sarebbe da censurare (giurisprudenza costante).

Dall’altra, nella parte in cui ritiene errato il convincimento del giudice del merito sulla disciplina applicabile – quella codicistica e non quella della legge speciale – va detto che, pur essendo ammissibile, tuttavia è infondato.

Di vero, dall’esame della lunga corrispondenza prodotta dall’ALER il giudice dell’appello ha potuto dedurre la insussistenza di ogni accordo sull’assoggettamento del rapporto alla disciplina del regime speciale.

Nell’inquadrare dogmaticamente quel rapporto il giudice a quo ha, infatti, affermato che “sebbene le parti abbiano qualificato il rapporto come locazione, il contratto tra loro stipulato non corrisponde esattamente al corrispondente tipo legale che è caratterizzato sempre dalla detenzione qualificata dell’immobile da parte dello stesso contraente (conduttore) ovvero, se previsto, da un terzo a titolo di sublocatario”.

Infatti, è rimasto documentato che “con il contratto originario l’ente proprietario (l’INPS) concesse il godimento di un immobile non già per specifiche esigenze abitative dell’ALER, ma invece al fine di consentire a questo di perseguire le sue finalità statutarie dirette alla realizzazione di programmi di politica sociale”.

Nè l’ALER era pressata da proprie esigenze abitative, ma intendeva solo soddisfare, attraverso la stipula del contratto originario, le sue finalità statutarie, peraltro note al locatore (l’INPS) a seguito di quanto contenuto nel contratto stesso, per cui la disciplina della legge speciale avrebbe regolato non già il contratto tra i due enti, bensì i singoli rapporti con gli assegnatari.

Questo passaggio argomentativo è appagante sotto ogni profilo.

Infatti, il giudice dell’appello non si è fermato alla individuazione nominalistica del contratto, ma ha tenuto presente, in riferimento anche alla natura giuridica dei due istituti contraenti e allo scopo statutario dello IACP, che lo stesso si era obbligato con l’INPS, onde realizzare le sue finalità sociali, ben note all’istituto locatore.

La previsione di un corrispettivo unitario da parte dello IACP non implicava nè implica necessariamente che quel rapporto, come poi è accaduto, si estendesse ai contratti di assegnazione di alloggi a soggetti per così dire legittimati dalla legge ad abitare un alloggio di edilizia residenziale pubblica.

L’INPS, che conosceva la esigenza dello IACP e l’interesse concreto che lo aveva indotto a stipulare quel contratto nella reciproca autonomia contrattuale, sapeva anche che i rapporti sublocativi sarebbero stati regolati, a partire dalla data di entrata in vigore della legge speciale, dalle disposizioni protettive sia in tema di durata che di calcolo e aggiornamento del corrispettivo, per cui solo da tale entrata in vigore sorse un problema di compatibilità tra il canone stabilito nel contratto de quo a carico dell’ALER e quello da essa ricavato nell’ambito dei distinti rapporti di assegnazione, obbligatoriamente adeguati alla normativa speciale nel frattempo intervenuta.

Da qui l’esigenza, condivisa anche dall’INPS, di rendere uniforme la disciplina delle due fonti negoziali, individuando per entrambe la regola contrattuale nella L. n. 392 del 1978: esigenza che, come detto, non riuscì mai, malgrado l’intensa corrispondenza, ad essere soddisfatta.

Peraltro, la destinazione dell’immobile locato dallo IACP, diretta a soddisfare esigenze di natura sociale, non può soggiacere alla disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 42, non essendo lo IACP un ente pubblico territoriale, per cui, data la loro autonomia contrattuale, è corretta la sentenza impugnata laddove ritiene applicabile al caso in esame la normativa ordinaria e non già quella speciale.

Ne consegue che resta assorbito il secondo motivo del ricorso principale dell’INPS. 4. – Passando all’esame del ricorso principale dell’INPS – IGEI osserva il Collegio che il primo, il terzo e il quarto motivo (il primo: violazione e falsa applicazione dell’art. 1456 c.c. e omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia) vanno esaminati congiuntamente, perchè riguardano la erronea, ad avviso del ricorrente Istituto, valutazione della non gravità dell’inadempimento addebitato all’ALER, in quanto il giudice dell’appello avrebbe ignorato la esistenza nel rapporto contrattuale inter partes della clausola risolutiva espressa e che la stessa INPS – IGEI aveva dichiarato nell’atto introduttivo del giudizio di volersene avvalere.

In sintesi, l’INPS – IGEI afferma che erroneamente il giudice dell’appello non avrebbe dichiarato la risoluzione ipso iure del contratto.

5. – Osserva il Collegio che la censura, di cui al primo motivo, non coglie nel segno, anche se sembra che essa, sotto il profilo dell’art. 1456 c.c. non risulti essere stata trattata nel corso del giudizio di merito.

Tuttavia, va posto in rilievo che, riformando la sentenza definitiva di primo grado, il giudice dell’appello, dopo aver applicato i criteri ermeneutici di questa Corte e richiamati anche dall’INPS all’epoca appellato, ha affermato che nel caso concreto l’ALER, con il corrispondere un canone inferiore a quello contrattuale ma in. linea con quello “equo”, atteso che comunque nella corrispondenza tra le parti si era fatto riferimento alla L. n. 392 del 1978 in modo specifico e ripetuto, si era resa obbiettivamente inadempiente, ma tale inadempimento era privo del contenuto della volontarietà.

Questa ultima caratteristica va intesa”come percezione della contrarietà ad una regola della propria condotta”, richiesta “per la qualificazione del fatto come inadempimento secondo l’accezione tecnica” (p. 13 sentenza impugnata).

Argomentando in tal senso il giudice dell’appello ha escluso ogni inadempimento anche colposo e, quindi, non ha ritenuto operativa, pur in presenza di quella clausola, la presunzione di cui all’art. 1218 c.c. e della cui violazione tratta il terzo motivo, sotto il profilo della sua violazione e falsa applicazione.

Oltre quanto sopra esposto, e specificamente affrontando la tematica di cui fu investito, il giudice dell’appello pone in rilievo “l’ulteriore circostanza che l’INPS non avanza alcuna pretesa di pagamento nè di condanna dell’ALER al corrispondente pagamento dei canoni pregressi e neppure formula una domanda di risarcimento dei danni, che per legge è soggetta alle limitazioni previste per l’applicazione del rimedio risolutorio” (p. 14 sentenza impugnata).

Il che altro non significa che, ad avviso del giudice del gravame, il comportamento obbiettivamente inadempiente dell’ALER era risultato privo di ogni connotato non solo doloso, ma anche colposo, con l’effetto che tale valutazione si manifesta immune da ogni vizio denunciato, perchè congruamente e logicamente motivato.

Disattesi, quindi, i motivi primo, terzo, non merita diversa sorte il quarto (sulla non ritenuta gravità dell’inadempimento).

Infatti, nel dissentire dal convincimento del primo giudice, la Corte territoriale ha correttamente affermato che la gravità non ha mai carattere di genericità, ma va commisurata, come espressamente previsto dall’art. 1455 c.c. all’interesse della controparte a ricevere la prestazione e, dunque, all’interesse economico alle controprestazioni, che non sempre può ritenersi violato nella ipotesi di sottodimensionamento dell’obbligazione di pagamento (ontologicamente differente da quello di violazione integrale di esso) (p. 13 sentenza impugnata) (cfr. Cass. 4753/05).

Resta, quindi, assorbito il quinto motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3; nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia).

6. – Infine, resta da esaminare il secondo motivo del ricorso incidentale dell’ALER (violazione delle regole dell’ermeneutica negoziale dell’art. 1326 c.c. – art. 360 c.p.c., n. 3; difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia:art. 360 c.p.c., n. 5).

Al riguardo, va osservato che dell’art. 1326 c.c. tratta la decisione impugnata nelle premesse logico – giuridiche come impostazione da tener presente onde affrontare i motivi dell’appellante principale, ovvero dell’ALER. Ciò detto, si deve consentire con l’INPS che il motivo è carente del requisito dell’autosufficienza.

Infatti, la ricorrente incidentale si limita ad indicare le note dell’INPS e dello IACP senza riportarne integralmente il contenuto e, sebbene la censura rechi il richiamo ad eventuale errore di diritto, in realtà il testo, così come redatto, configura una erronea interpretazione di quei documenti, che non sono integralmente trascritti, per cui il Collegio non è in grado di valutare se essi siano stati correttamente interpretati dal giudice del gravame.

Conclusivamente i ricorsi vanno respinti, ma sussistono giusti motivi, data la complessità della vicenda e le alterne fasi di merito, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010

 

 

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