Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18197 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. II, 05/07/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 05/07/2019), n.18197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 20180 – 2016 R.G. proposto da:

B.F., – c.f. (OMISSIS) – rappresentato e difeso in virtù

di procura speciale in calce al ricorso dall’avvocato Giancarlo M.

Brioli ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via San Basilio,

n. 61, presso lo studio del professor avvocato Annalisa Di Giovanni;

– ricorrente –

contro

MINISTERO della GIUSTIZIA, – c.f. (OMISSIS) – in persona del Ministro

pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello

Stato, presso i cui uffici in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

domicilia per legge;

– controricorrente –

e

E.A., – c.f. (OMISSIS);

– intimato –

avverso l’ordinanza in data 18.5.2016 assunta dal tribunale di Rimini

nell’ambito del procedimento al n. 748/2014;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 17

gennaio 2019 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’avvocato Di Giovanni Pietro, per delega dell’avvocato

Giancarlo M. Brioli, per il ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto in data 18.12.2013 il tribunale di Rimini liquidava in favore dell’avvocato B.F., nominato difensore d’ufficio ex art. 97 c.p.p., comma 1 di E.A., imputato nel procedimento penale definito con sentenza del tribunale di Rimini n. 1326/2013, la somma di Euro 993,00, oltre i.v.a. e c.p.a., a titolo di onorari e competenze.

Con ricorso D.P.R. n. 115 del 2002, ex artt. 82 e 170 depositato in data 12.2.2014 l’avvocato B.F. proponeva reclamo.

Non si costituivano il Ministero della Giustizia ed E.A..

Con ordinanza in data 18.5.2016 il tribunale di Rimini rigettava il reclamo.

Esponeva il tribunale che non sussisteva il diritto del reclamante ad ottenere, quale difensore di ufficio di E.A., la liquidazione del compenso e delle spese a carico dell’Erario ai sensi dell’art. 116 ovvero D.P.R. n. 115 del 2002, art. 117.

Esponeva in particolare che il reclamo era stato ritualmente notificato ad E.A., sicchè costui non poteva considerarsi irreperibile al momento del deposito – da parte dell’avvocato B. – dell’istanza di liquidazione del compenso e delle spese.

Esponeva quindi che il primo giudice aveva erroneamente liquidato il compenso al reclamante e nondimeno risultava preclusa la revoca del provvedimento reclamato attesa la natura impugnatoria del reclamo.

Esponeva d’altra parte che l’avvocato B. aveva dedotto esclusivamente nel corso del procedimento di reclamo, a fondamento della sua pretesa, che E.A. era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato e tuttavia la natura di impugnazione del reclamo precludeva la possibilità di delibare siffatta circostanza.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’avvocato B.F.; ne ha chiesto sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

Il Ministero della Giustizia si è costituito ai soli fini della partecipazione alla pubblica udienza.

E.A. non ha svolto difese.

Con ordinanza interlocutoria dei 26.10/11.12.2017 è stato disposto rinvio alla pubblica udienza di questa sezione.

Il ricorrente ha depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione di norme di diritto.

Deduce che il tribunale non ha pronunciato in ordine alla inadeguatezza del quantum del compenso accordatogli dal primo giudice e quindi in ordine l’istanza di modifica in aumento il compenso riconosciutogli in prima istanza.

Deduce ulteriormente che il tribunale, statuendo ultra petitum, ha escluso “la fondatezza del diritto al compenso del difensore, già riconosciuta dal giudice penale” (così ricorso, pag. 11).

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

Deduce che il tribunale di Rimini ha omesso l’esame del fatto storico costituito dal provvedimento in data 31.8.2005, con cui il g.i.p. dello stesso tribunale ha ammesso E.A. al patrocinio a spese dello Stato.

Deduce che siffatto provvedimento è allegato al fascicolo penale acquisito al giudizio di reclamo con l’ordinanza dell’8.7.2014 di accoglimento delle istanze istruttorie, è stato oggetto di discussione con le memorie depositate il 28.9.2015 ed il 22.12.2015 ed ha carattere decisivo ove si ammetta che il giudice del reclamo possa estendere il giudizio oltre il devoluto.

Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione o falsa applicazione di norme di diritto.

Deduce che in sede di reclamo sul quantum liquidato il reclamante può indicare, in guisa di mera emendatio libelli, il corretto presupposto della sua pretesa risultante ab origine dagli atti di causa, qualora il giudice del reclamo estenda il giudizio al fatto costitutivo del diritto.

Il primo motivo è destituito di fondamento.

Evidentemente – in ordine al primo profilo di censura veicolato dal mezzo in disamina – il vizio di (asserita) omessa pronuncia non risulta formulato in maniera rituale.

Tanto specificamente alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 17931 del 24.7.2013 (nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge; cfr. altresì Cass. 29.11.2016, n. 24247).

Invero il mezzo di impugnazione in esame non solo non contiene alcun riferimento alla nullità della decisione, ma prospetta appunto, alla stregua dell’enunciazione di cui alla rubrica, la violazione di non meglio identificate norme di diritto.

In ogni caso – del pari in ordine al primo profilo di censura – la denunciata omissione di pronuncia non sussiste.

Invero il tribunale ha chiarito che, per giunta, il ricorrente non avrebbe avuto diritto ad alcun compenso (“(…), pertanto, erroneamente, il Tribunale penale in composizione monocratica ha liquidato il compenso all’avv. B.”: così ordinanza impugnata, pag. 2).

Per altro verso, del tutto ingiustificato è il secondo profilo di censura che lo stesso mezzo veicola.

Invero, contrariamente all’assunto del ricorrente, il tribunale ha lasciato impregiudicata la liquidazione di cui al provvedimento impugnato alla luce del rilievo per cui “la natura impugnatoria della presente procedura rende (…) applicabile il principio del divieto di reformatio in peius” (così ordinanza impugnata, pag. 2).

Il secondo motivo analogamente è destituito di fondamento.

Ovviamente l'”omesso esame circa un fatto decisivo” attiene al “giudizio di fatto” e riguarda, esattamente, un fatto vero e proprio e dunque un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo (al riguardo si veda Cass. 8.9.2016, n. 17761, seppur con riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5 come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2).

Ebbene, pur a ricondurre, in tesi, al paradigma testè enunciato l’omesso esame prospettato dal secondo mezzo, è innegabile tuttavia, nella specie, che omesso esame dell'”ammissione dell’imputato, E.A., al patrocinio a spese dello Stato” non vi è stato.

Invero il tribunale ha esplicitato che “il carattere di impugnazione dell’opposizione a decreto di liquidazione esclude (…) che tale fatto possa essere preso in esame, non essendo stato dedotto dinanzi al Giudice di prime cure” (così ordinanza impugnata, pag. 2).

Il terzo motivo parimenti è privo di fondamento.

Si prescinde dalla natura impugnatoria (o meno) dell’opposizione D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170.

Si rimarca piuttosto che si ha “mutatio libelli” quando la parte immuti l’oggetto della pretesa ovvero quando introduca nel processo, attraverso la modificazione dei fatti giuridici posti a fondamento dell’azione, un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, fondato su presupposti totalmente diversi da quelli prospettati nell’atto introduttivo e tale da disorientare la difesa della controparte e da alterare il regolare svolgimento del contraddittorio (cfr. Cass. (ord.) 13.8.2018, n. 20716; Cass. 28.1.2015, n. 1585).

D’altra parte, se è vero – siccome è vero – che il regime di preclusioni introdotto nel rito civile ordinario “riformato” (nel 1990) deve ritenersi inteso non solo a tutela dell’interesse di parte, ma anche dell’interesse pubblico al corretto e celere andamento del processo, cosicchè la tardività di domande, eccezioni, allegazioni e richieste deve essere rilevata d’ufficio dal giudice indipendentemente dall’atteggiamento processuale della controparte al riguardo (cfr. Cass. 7.4.2000, n. 4376), evidentemente ed a fortiori il regime delle preclusioni è destinato ad operare in relazione alla sequela procedimentale, scandita in passaggi strutturalmente, diacronicamente distinti, costituita dal decreto di pagamento D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 82 e dall’opposizione avverso il medesimo decreto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170

In ogni caso è innegabile che, allorquando l’avvocato B.F. ha, unicamente in sede di opposizione ex art. 170 cit. (e non già in precedenza), inteso ancorare la sua pretesa all’ammissione di E.A. al patrocinio a spese dello Stato, ha indiscutibilmente addotto un tema di indagine e di decisione completamente nuovo, idoneo ad incidere sullo sviluppo del contraddittorio, quale controparte aveva dapprima ragione di prefigurarsi.

Si sottolinea al contempo che la prerogativa sancita al D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, comma 5 – “il presidente può chiedere a chi ha provveduto alla liquidazione o a chi li detiene, gli atti, i documenti e le informazioni necessari ai fini della decisione” – e dal ricorrente richiamata in memoria, incidendo ben vero sul principio per cui iuxta alligata et probata iudex iudicare debet, vale a stemperare, solo ed unicamente, il regime delle preclusioni correlate in sede di cognizione ordinaria alla definizione del thema probandum.

E.A. non ha svolto difese. Nessuna statuizione in ordine alle spese va pertanto nei suoi confronti assunta.

Del pari, sostanzialmente, non ha svolto difese il Ministero della Giustizia. Pur nei confronti del Ministero perciò nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, B.F., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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