Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18196 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2021, (ud. 02/03/2021, dep. 24/06/2021), n.18196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11957-2019 proposto da:

DITTA N. AUTO DI N.F., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 19, presso lo studio dell’avvocato SANDRO

PICCIOLINI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

FIDITALIA SPA, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA NAZIONALE, 204, presso lo studio

dell’avvocato LUDOVICA D’OSTUNI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FABIO COCO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6934/2018 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 20/06/2018.

 

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione del 10 novembre 2015, Fiditalia SPA esponeva di avere stipulato una convenzione con la ditta N. Auto, di N.F., con la quale si obbligava a mettere a disposizione somme di denaro per finanziare gli acquisti dei veicoli commercializzati dalla predetta ditta. Lamentava che quest’ultima aveva venduto un veicolo senza verificare l’identità del cliente, che si era reso inadempiente rispetto al pagamento del prezzo, aggiungendo che la convenzione prevedeva che, nel caso di riscontrata falsità della domanda di finanziamento di un cliente, la ditta avrebbe dovuto restituire l’importo alla società finanziaria. Pertanto, chiedeva il pagamento della somma di Euro 26.000 oltre interessi;

si costituiva la ditta N. Auto contestando la ricostruzione del fatto e rilevando di avere accertato l’identità del cliente con la conseguenza che il finanziatore avrebbe dovuto erogare, comunque, l’importo;

con sentenza dei 20 giugno 2018 il Tribunale di Milano accoglieva la domanda condannando N.F., quale titolare della ditta individuale N. Auto, al pagamento della somma richiesta, oltre alle spese. Secondo il Tribunale, l’attrice aveva dimostrato gli elementi costitutivi della domanda di restituzione, sulla base del contenuto della convenzione, ai sensi della quale la ditta aveva assunto l’onere di verificare le esatte generalità dei propri clienti e di restituire l’importo erogato in caso di “dati, firma o documentazione allegati, falsi o disconosciuti”. Nel caso di specie, era pacifico il disconoscimento della firma apposta in calce al contratto di finanziamento da parte del soggetto del quale era stata utilizzata l’identità;

avverso tale decisione proponeva appello N.F. e si costituiva Fiditalia SPA eccependo l’inammissibilità e, in subordine, l’infondatezza dell’appello;

la Corte d’Appello di Milano con ordinanza del 1 Febbraio 2019 dichiarava inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348 bis e ss. c.p.c., con condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione N.F., quale titolare della ditta individuale N. Auto e deposita memoria. Resiste con controricorso Fiditalia s.p.a..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 1336 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, Il Tribunale nel ricercare la volontà delle parti non avrebbe applicato correttamente l’art. 1336 c.c. e il criterio della centralità della buona fede, rispetto all’obbligo previsto nella convenzione di “accertare l’identità del richiedente… richiedendo l’esibizione di un documento d’identità e del codice fiscale – tessera sanitaria- validi, effettuare un controllo della firma autografa apposta sui relativi documenti allegati alla domanda di intervento finanziario… procedere all’acquisizione di valido documento di identificazione e del numero del codice fiscale e tessera sanitaria di ciascuno dei firmatari”. Il giudice avrebbe dovuto considerare che sarebbe stato sufficiente un controllo della validità e autenticità dei documenti, ricorrendo l’ipotesi di obbligazione di mezzi e non di risultato e che la ditta non disponeva di mezzi tecnici per confrontare le impronte digitali o il DNA. Sotto altro profilo, gli intermediari finanziari dispongono di strumenti di controllo superiori a quelli dei privati commercianti; preliminarmente, il ricorso è stato tempestivamente proposto. Come rilevato dalla ricorrente in memoria, è stato notificato in data 1 aprile 2019 e si riferisce all’ordinanza pubblicata il 1 Febbraio 2019, comunicata via Pec in pari data;

il ricorso è, però, inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, perchè la ricorrente avrebbe dovuto indicare la motivazione dell’ordinanza adottata dalla Corte territoriale, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c. e ciò al fine di consentire alla Corte di legittimità di verificare l’eventuale sussistenza di un giudicato interno (Cass. n. 26936 del 23 dicembre 2016);

opera nel caso di specie il principio reiteratamente affermato da questa Corte secondo cui “nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 3, l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3, è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa menzione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame” (principio costante, da Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10722 del 15/05/2014, Rv. 630702 – 01 a Cass. Sez. 1 n. 27703 del 03/12/2020);

inoltre, il ricorso difetta di ogni riferimento all’ordinanza della Corte territoriale di Milano, in termini di trascrizione, allegazione o localizzazione all’interno del fascicolo di legittimità di tale documento;

a prescindere da ciò, il motivo è inammissibile perchè, nella sostanza, censura l’interpretazione adottata dal primo giudice riguardo al contenuto della convenzione e del conseguente onere a carico della ditta N. Auto. Sotto tale profilo, secondo un altrettanto consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, la ricorrente avrebbe dovuto fare riferimento ai criteri ermeneutici, precisando in quale modo la sentenza impugnata avrebbe violato le norme. La censura, al contrario, è tutta incentrata sul disposto dell’art. 1336 c.c. (norma inconferente, in quanto relativa all’offerta al pubblico) e riguarda una trattazione teorica della disciplina della buona fede, verosimilmente, nell’esecuzione del contratto. In ogni caso, anche volendo qualificare la censura come riferita a taluna delle ipotesi previste dagli artt. 1362 e ss. c.c., il motivo non prospetta elementi idonei a far ritenere errata la valutazione ermeneutica operata dal giudice di merito, perchè si limita a suggerire un’interpretazione alternativa delle clausole, senza contrastare direttamente la motivazione del Tribunale secondo cui “la società convenzionata si è assunta l’onere di verifica e controllo delle esatte generalità dei propri clienti, dell’identità degli stessi, dell’esatta compilazione dei dati trasmessi, oltre che della verifica delle firme autografe”. Inoltre, non sono censurati direttamente i due profili ritenuti decisivi dal Tribunale e cioè quello dell’inidoneità della fotocopia del documento d’identità, tale da non consentire una verifica sulla eventuale contraffazione e quello dell’utilizzazione di “un certificato di rilascio” di codice fiscale;

si tratta di una valutazione assolutamente ragionevole, perchè secondo il Tribunale la convenzione si risolveva in un immediato vantaggio per la società convenzionata, la quale otteneva il risultato di vendere i propri prodotti tramite l’anticipazione del denaro in favore dei clienti, con la conseguenza che costituiva onere del tutto logico e proporzionato, oltre che in linea con le regole della buona fede nell’esecuzione del contratto, la previsione, a carico della medesima società convenzionata, di un obbligo specifico di cautela. Obbligo che si traduceva nella necessità di restituzione degli importi del finanziamento nel caso di domanda contenente dati, firme o documentazione allegata, falsa o alterata (in questi termini, Cass., 18 novembre 2013, n. 25861);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 2 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

 

 

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA