Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18194 del 29/07/2013

Civile Sent. Sez. L Num. 18194 Anno 2013

Presidente: LAMORGESE ANTONIO

Relatore: MAMMONE GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 7369-2011 proposto da:

MINISTERO DELL’ ECONOMIA E DELLE FINANZE 80415740580,

in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e

difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i

cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI,

12;

– ricorrente –

2013

contro

1131

AA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 6936/2010 della CORTE D’APPELLO

Data pubblicazione: 29/07/2013

di ROMA, depositata il 22/09/2010 r.g.n. 7130/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

udienza del 27/03/2013 dal Consigliere Dott. GIOVANNI

MAMMONE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

per l’accoglimento del ricorso.

Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Roma AA, dipendente del Ministero dell’Economia e delle Finanze,

chiedeva che fosse dichiarata la nullità delle determinazioni ministeriali

3.01.05 n. 189, con la quale egli era stato licenziato, e 20.01.06 n. 5383

con cui il licenziamento era stato revocato ed egli era stato

contestualmente sospeso dal servizio in via cautelare. Chiedeva, inoltre,

la reintegra nel posto di lavoro o, in caso di riconosciuta inabilità al

servizio, il collocamento in quiescenza, oltre il pagamento delle

retribuzioni non corrisposte ed il risarcimento dei danni subiti.

2.- Rigettata la domanda e proposto appello dal AA, la

Corte d’appello di Roma con sentenza in data 29.09.10 accoglieva

parzialmente l’impugnazione, condannando l’Amministrazione a

pagare al predetto la somma di € 28.000 pari alle retribuzioni non

percepite dal dipendente nel periodo ricompreso tra il licenziamento e

la ripresa del servizio conseguente alla revoca del licenziamento.

3.- Affermava la Corte, per quanto qui rileva, che il

procedimento disciplinare avviato nei confronti del dipendente, era

stato dapprima sospeso in pendenza di procedimento penale e

successivamente riavviato, sull’erroneo presupposto che la sentenza

della Corte di appello penale che aveva dichiarato la prescrizione del

reato fosse divenuta definitiva. Accertato, tuttavia, che era stato

proposto ricorso per cassazione contro detta sentenza e che pertanto

non esistevano i presupposti per il recesso, l’Amministrazione aveva

revocato il licenziamento ex tune (ovvero a decorrere dal momento

della sua originaria irrogazione) e contestualmente aveva disposto la

riammissione in servizio. Ritenuto, pertanto, il AA carente di

interesse alla declaratoria di nullità del provvedimento di

licenziamento, che era stato revocato già prima del ricorso, e affermata

la legittimità del provvedimento di sospensione, in quanto irrogato ai

sensi dell’art. 15, c. 3, del cali 2002-05 del comparto miniteri 12.06.03,

rigettava la richiesta di dichiarare la nullità delle due determinazioni

ministeriali e riteneva fondata solo la richiesta di corresponsione delle

competenze maturate tra il licenziamento (esecutivo dal febbraio 2005)

e la sua revoca (esecutiva dal marzo 2006), atteso che il provvedimento

di revoca del licenziamento, quantunque retroattivo, aveva ripristinato

il rapporto di lavoro e aveva fatto nascere il diritto del lavoratore alle

retribuzioni.

4.- Avverso questa sentenza propone ricorso il Ministero

dell’Economia e Finanze. Non svolge attività difensiva AA.

Motivi della decisione

Ministero Economia e Finanze c. AA(7369/11)

-1-

Ministero Economia e Finanze c. AA(7369/11)

-2-

5.- Con unico motivo parte ricorrente deduce violazione degli

artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1223, 1224 c.c. e 36 Cost., nonché

carenza di motivazione, evidenziando che l’Amministrazione aveva

ricevuto formale, quanto erronea, comunicazione che la sentenza della

Corte d’appello penale 30.01.04 era divenuta definitiva e, pertanto,

aveva riattivato il procedimento disciplinare, poi conclusosi con il

provvedimento di licenziamento 3.01.05, decorrente dal 28.02.05 (data

di notifica all’interessato). Il dipendente, pur coltivando diverse

iniziative giudiziarie contro il provvedimento, mai aveva comunicato di

aver impugnato la sentenza penale di appello, di modo che solo

quando era venuta a conoscenza (17.01.06) che la sentenza non era

definitiva l’Amministrazione aveva potuto revocare il licenziamento

(provvedimento 20.01.06, comunicato al dipendente il 3.03.06). In

ragione della tempestività della revoca e dell’atteggiamento omissivo

della controparte gli effetti del licenziamento e della sua revoca non

possono essere ascritti all’Amministrazione, cui l’inadempimento non

era imputabile, e quindi non avrebbe potuto porsi a carico della stessa

l’importo delle retribuzione maturate medio tempore.

In ogni caso, in favore del AA non avrebbe potuto

maturare alcuna retribuzione, in mancanza di corrispettività e di offerta

della prestazione da parte del lavoratore.

6.- Il ricorso non è fondato.

La revoca del licenziamento è idonea a ricostruire il rapporto di

lavoro atteso che, in base ai principi civilistici, la revoca di un negozio

ha efficacia retroattiva ripristinando la situazione giuridica precedente

di modo che, nel caso in esame, la revoca del licenziamento ebbe come

conseguenza il ripristino senza soluzione di continuità dell’originario

rapporto lavorativo. Da tale ricostruzione retroattiva deriva il diritto

del dipendente destinatario del revocato provvedimento espulsivo alla

corresponsione delle retribuzioni dovute per il periodo corrente dal

licenziamento fino alla sua revoca. Il ripristino comporta la persistenza

del rapporto di lavoro e quindi il diritto del lavoratore a riprendere il

suo posto o, qualora ciò non gli venga consentito, il diritto a percepire

comunque le retribuzioni contrattualmente previste per la persistenza

delle contrapposte obbligazioni fra cui quella datoriale del pagamento

della retribuzione (Cass. 9.03.09 n. 5638).

7.- Parte ricorrente sostiene che l’onere delle retribuzioni

maturate medio tempore non può essere posto a suo carico in ragione di

due argomenti: a) il comportamento dell’Amministrazione non può

essere considerato illecito, in quanto fu il dipendente a tacere che la

sentenza della Corte d’appello penale non era divenuta definitiva per

l’avvenuta proposizione del ricorso per cassazione; b) essendo il

rapporto di lavoro subordinato connotato dalla regola della

Ministero Economia e Finanze c. AA(7369/11)

corrispettività, per la quale non può esservi retribuzione senza la

prestazione lavorativa, non avrebbe potuto riconoscersi al dipendente

il diritto alle retribuzioni, atteso che il rapporto non poteva

considerarsi prestato in mancanza di prestazione effettiva.

8.- Le due censure debbono essere rigettate alla luce dei principi

che regolano i diritti del lavoratore conseguenziali all’accertamento

della perdurante sussistenza del rapporto, di riprendere il servizio, di

eseguire la prestazione lavorativa e di ricevere le prestazioni

patrimoniali. Non si tratta in questa situazione di accertare se una delle

parti del rapporto abbia tenuto un comportamento colposo, atteso che

gli effetti della revoca del licenziamento e del ripristino del rapporto

retroagiscono naturalmente (v. la già citata sentenza n. 5638 del 2009) e

prescindono, quindi, dai comportamenti tenuti dalle parti nella

specifica fattispecie.

Tuttavia, l’importo delle retribuzioni spettanti al lavoratore per il

ripristino del rapporto non può essere rapportato automaticamente alle

retribuzioni perdute dal momento dell’originario recesso, dato che

dalla regola generale della corrispettività delle prestazioni nel rapporto

di lavoro deriva che, al di fuori di espresse deroghe legali o contrattuali,

la retribuzione spetta soltanto se la prestazione di lavoro viene

eseguita, salvo che il datore-creditore della prestazione versi in una

situazione di mora accipiendi nei confronti del dipendente. Il

risarcimento del danno è, dunque, subordinato all’osservanza delle

disposizioni degli artt. 1206 e 1207 del codice civile, per le quali

l’obbligazione risarcitoria del creditore della prestazione nasce nel

momento in cui lo stesso è costituito in mora (ovvero quando “senza

motivo legittimo, non riceve il pagamento … o non compie quanto è

necessario affinché il debitore possa adempiere l’obbligazione”, art.

1206); trattandosi di obbligazione di fare, il datore-creditore è

costituito in mora mediante l’intimazione di ricevere la prestazione (art.

1217 c.c.) (v. Sezioni unite 8.10.02 n. 14381, a proposito di ripristino

del rapporto di lavoro per nullità del termine apposto all’assunzione,

nonché, tra le tante, Cass. civ. 27.03.08 n. 7979 e 13.04.07 n. 8903).

9.- Nel caso di specie deve riscontrasi che (come confermato

dallo stesso Ministero ricorrente, pag. 4-5 del ricorso) il AA

chiese in due occasioni al giudice del lavoro un provvedimento di

urgenza per ottenere la revoca del licenziamento dall’Amministrazione

disposto con il provvedimento 3.01.05 n. 189. Quantunque la

domanda cautelare sia stata in entrambi i casi rigettata, deve ritenersi

che con tale iniziativa processuale il AA avesse implicitamente

messo a disposizione di detta Amministrazione le proprie energie

lavorative, così ponendo a carico della stessa le conseguenze della

inutilizzazione della prestazione

Per questi motivi

La Corte rigetta il ricorso, nulla statuendo circa le spese del

giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma il 27 marzo 2013

Il Pres s ente

,

In considerazione del ripristino del rapporto di impiego e

l’offerta delle energie lavorative, consegue che al AA erano

dovute le retribuzioni maturate dalla data del licenziamento (28.02.05,

data di comunicazione del provvedimento all’interessato) sino a quella

della revoca del recesso e della contestuale sospensione dal servizio in

via cautelare (3.03.06, data della formale riassunzione delle funzioni da

parte del dipendente).

10.- In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Nulla deve statuirsi per le spese, non avendo il AA svolto attività

difensiva.

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