Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18193 del 16/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 16/09/2016, (ud. 05/07/2016, dep. 16/09/2016), n.18193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27305/2011 proposto da:

P.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA

DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato STEFANO VITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIACOMO CRESCI,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

– I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS) – successore ex art. 21, primo comma d.l. 6 dicembre 2011,

n. 201 dell’Istituto Nazionale di Previdenza ed Assistenza per i

Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica – in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA n. 29 presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli avvocati LUIGI CALIULO, DARIO MARINUZZI

e ANTONELLA PATTERI giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 584/2011 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 26/05/2011, R.G. N. 1061/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

05/07/2016 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito l’Avvocato STEFANO VITI;

udito l’Avvocato DARIO MARINUZZI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 26.5.2011, la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale del medesimo luogo, ha ritenuto insussistente il diritto dell’attuale ricorrente, P.M., già dipendente dell’Università degli studi di Firenze, Area tecnico-scientifica, categoria EP, al computo della retribuzione di posizione nelle competenze di fine rapporto corrisposte dall’INPDAP.

La Corte territoriale ha ritenuto di escludere la suddetta voce retributiva dalla base di computo dell’indennità di buonuscita in considerazione della impossibilità di modifiche alla disciplina legale di riferimento da parte delle clausole del contratto collettivo, considerato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in ordine alla tassatività delle voci retributive da considerare nella base di computo dell’indennità di buonuscita.

Avverso la detta sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.. Resiste l’Inpdap con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, del CCNL comparto Università 2002-2005, del T.U. n. 165 del 2001 nonchè della L. n. 335 del 1995, art. 2, censura – con tre motivi – la sentenza impugnata per avere, la Corte di appello, trascurato la natura retributiva dell’emolumento in questione, nonchè la previsione del CCNL (art. 38) che considera la retribuzione di posizione come parte del trattamento economico del dipendente. Rileva, inoltre, che la retribuzione di posizione viene inclusa – da parte dello stesso ente previdenziale Inpdap – nella quota A della pensione, determinandosi, di conseguenza, una inaccettabile divergente valutazione di questa voce retributiva ai fini del computo del trattamento di fine servizio (ai sensi del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38) e ai fini della elaborazione della pensione (ai sensi dell’art. 43 T.U. n. 1092 del 1973). Segnala, infine, questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, avendo, la retribuzione di posizione, natura retributiva.

2. I suddetti motivi, che essendo strettamente connessi possono trattarsi congiuntamente, non sono fondati.

Gli stessi non sono fondati in ragione dei principi enunciati da questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 10413 del 2014, che si condividono e ai quali si intende dare continuità, di seguito riportati. L’orientamento è stato, inoltre, successivamente ribadito da Cass. nn. 10614/2015 e 17891/2015.

3. L’indennità di buonuscita per i dipendenti civili e militari dello Stato è prevista dal D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, artt. 3 e 38, recante il testo unico delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato.

L’art. 3 stabilisce che gli iscritti al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, che cessino dal servizio, conseguono, dopo almeno un anno di iscrizione al Fondo, il diritto alla indennità di buonuscita che è pari a tanti dodicesimi della base contributiva di cui all’art. 38, quanti sono gli anni di servizio computabili ai sensi delle disposizioni contenute nel successivo capo 3. Per la determinazione della base contributiva si considerano “l’ultimo stipendio o l’ultima paga o retribuzione integralmente percepiti”; a ciò si aggiungono “gli assegni che concorrono a costituire la base contributiva” ossia i trattamenti retributivi accessori ed integrativi dei quali sia prevista l’inclusione nella suddetta base contributiva. Questo criterio è poi specificato nell’art. 38, che definisce la base contributiva come costituita dall’80 per cento dello “stipendio, paga o retribuzione annui”, nonchè di assegni specificamente individuati ed elencati: indennità di funzione per i dirigenti superiori e per i primi dirigenti: l’assegno perequativo per gli impiegati civili, di ruolo e non di ruolo, e per gli operai dello Stato: ed altre indennità previste per particolari settori del pubblico impiego. Quindi risulta testualmente dalla lettera delle due citate disposizioni (artt. 3 e 38) il carattere tassativo degli elementi retributivi che valgono a definire la base di calcolo dell’indennità di anzianità e che sono quelli inquadragli nella nozione di “stipendio” oppure in quella di uno degli assegni dell’elenco del cit. art. 38.

4. Tale prescritto carattere tassativo degli emolumenti computabili non contrasta con la natura retributiva di trattamenti eccedenti lo “stipendio” e comunque non inquadrabili in alcuno degli assegni di cui all’art. 38 cit. Ciò emerge innanzi tutto dalla fondamentale sentenza n. 243 del 1993 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quelle norme disciplinanti i trattamenti di fine servizio, nella parte in cui non prevedevano meccanismi legislativi di computo dell’indennità integrativa speciale (contemplata dalla L. 27 maggio 1959, n. 324), al pari di quanto già previsto per i dipendenti degli enti locali (L. 7 luglio 1980, n. 289, ex art. 3).

La Corte da una parte ha riconosciuto la (progressivamente affermatasi) natura retributiva dei vari trattamenti di fine servizio nel pubblico impiego, quali l’indennità di buonuscita e l’indennità premio di servizio, parlando a tal proposito di “natura di retribuzione differita con funzione previdenziale”; d’altra parte dalla pacifica natura retributiva dell’indennità integrativa speciale, introdotta con la L. n. 324 del 1959, a favore di tutti i dipendenti pubblici, la Corte non ha fatto discendere la sua computabilità nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita (da cui la prima era esclusa in quanto non prevista nel citato art. 38). Il giudice delle leggi è pervenuto alla pronuncia di incostituzionalità in quanto ha ravvisato la violazione del principio di eguaglianza (perchè in alcuni settori del pubblico impiego, quale quello dei dipendenti degli enti locali, l’indennità integrativa speciale era invece computabile) e della retribuzione proporzionata e sufficiente (perchè per le fasce retributive più basse, per le quali l’indennità integrativa speciale era diventata una parte cospicua del trattamento retributivo complessivo, l’indennità di buonuscita si era progressivamente “svalutata” nel tempo). Quindi la computabilità dell’indennità integrativa speciale nell’indennità di buonuscita, affermata dalla Corte peraltro non già con una pronuncia autoapplicativa di incostituzionalità, bensì con una pronuncia cd. di meccanismo che lasciava ampio spazio al legislatore per modulare in concreto tale computabilità, non discende affatto dalla comune natura retributiva dell’indennità, bensì da discrasie progressivamente aggravatesi nel tempo fino alla rottura del principio di eguaglianza e a quello della retribuzione proporzionata e sufficiente.

Come è noto, a seguito di tale pronuncia è stata emanata la L. 29 gennaio 1994, n. 87, che ha previsto – in continuità quindi con il canone di tassatività di cui all’art. 38 cit. – l’espressa inclusione dell’indennità integrativa speciale nella base di computo dell’indennità di buonuscita. Ma la tassatività dell’elencazione dell’art. 38 risulta anche da un’altra pronuncia della Corte costituzionale, la sentenza n. 278 del 1995, che ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale proprio degli artt. 3 e 38 cit., sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui non consentivano di comprendere una determina indennità – la cd. indennità operativa per il personale militare in speciali situazioni di impiego – nella base di computo dell’indennità di buonuscita. Ha affermato la Corte in termini di grande chiarezza: “… come non è sufficiente addurre la natura retributiva di un trattamento economico aggiuntivo per ritenere costituzionalmente illegittima la non pensionabilità, così, reciprocamente, il principio di adeguatezza della retribuzione non implica che un emolumento in quanto pensionabile debba essere anche necessariamente incluso nella buonuscita”.

5. In piena sintonia con la giurisprudenza costituzionale si è espressa quella di legittimità.

Con riferimento al trattamento di fine rapporto dei dipendenti della società Poste Italiane spa, già appartenenti al comparto del personale dello Stato prima della “privatizzazione” del rapporto di impiego, questa Corte (Cass., sez. lav. 23 luglio 2004, n. 16596) ha affermato che, all’atto della cessazione dal servizio, essi hanno diritto al trattamento di fine rapporto, liquidato secondo i criteri di cui all’art. 2120 c.c., limitatamente al periodo del rapporto di lavoro successivo alla trasformazione dell’ente Poste Italiane in società per azioni, ai sensi della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 2, comma 27; per il periodo anteriore hanno invece diritto all’indennità di buonuscita liquidata secondo le norme dettate per i dipendenti dello Stato e, in applicazione del D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 3, la base contributiva cui tale indennità deve essere commisurata non può includere emolumenti diversi da quelli espressamente menzionati dal medesimo D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, la cui elencazione ha carattere tassativo, o” da leggi speciali, restando, pertanto, esclusa ogni possibilità di interpretare le locuzioni “stipendio”, “paga” o “retribuzione” nel senso generico di retribuzione omnicomprensiva, riferibile a tutto quanto ricevuto dal lavoratore in modo fisso e continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione lavorativa; come il compenso annuale di fine esercizio, il compenso annuale di incentivazione o la quattordicesima mensilità.

Sul carattere tassativo dell’elencazione degli emolumenti indicati dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 38, si è espressa questa Corte anche successivamente; cfr. ex plurimis Cass., nn. 22125/2011, 2259/2012, 709/2012 n. 709,10614/2015, 17891/2015. In particolare, nella sentenza n. 709/2012 si sottolinea come, in ogni caso, la regola per cui la indennità di anzianità viene calcolata su una base non onnicomprensiva ossia limitata allo stipendio base, con esclusione di altre indennità, conduce comunque ad un trattamento più favorevole rispetto al trattamento di fine rapporto spettante ai dipendenti privati, giacchè i dipendenti pubblici ai quali trova applicazione l’art. 38 cit., hanno il vantaggio di moltiplicare l’ultimo stipendio per il numero degli anni di servizio prestati, in luogo del sistema del trattamento di fine rapporto, che si compone della somma di accantonamenti annuali, che riproducono, non già i più alti compensi percepiti al termine della carriera, ma solo la quota di quelli ricevuti anno per anno (conf. Cass., n. 11605/2008).

Per completezza, va rilevato che analogo principio è stato affermato con riferimento all’indennità premio di servizio per i dipendenti di enti locali: Cass., S.U. 29 aprile 1997, n. 3673, ha ritenuto che la retribuzione contributiva, a cui per i dipendenti degli enti locali si commisura, a norma della L. 8 marzo 1968, n. 152, art. 4, l’indennità premio di servizio, è costituita solo dagli emolumenti testualmente menzionati dalla legge cit., art. 11, comma 5, la cui elencazione ha carattere tassativo e la cui dizione “stipendio o salario” richiede un’interpretazione restrittiva, alla luce della specifica menzione, come componenti di tale voce, degli aumenti periodici, della tredicesima mensilità e del valore degli assegni in natura; conseguentemente non può assumere rilievo, ai fini della determinazione di tale indennità, un assegno ad personam, anche se costituente parte fissa del globale trattamento retributivo del lavoratore, in quanto lo stesso non fa parte degli emolumenti specificatamente indicati dalla norma e non può considerarsi come componente dello stipendio, nella locuzione usata dalla citata norma di previsione.

Le Sezioni Unite si sono espresse in termini analoghi anche con riferimento al trattamento di fine servizio dei dipendenti degli enti pubblici non economici previsto dalla L. 20 marzo 1975, n. 70; il personale del cd. parastato rispetto al quale la giurisprudenza della Corte, in un primo momento, aveva ritenuto la computabilità delle voci retributive fisse e continuative ulteriori rispetto allo stipendio in senso stretto: cfr. Cass., sez. un., 25 marzo 2010, n. 7154; 25 marzo 2010, n. 7158; conf. Cass., nn. 11478/2010; 4749/2011; 6768/2016.

Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato è nel senso di ritenere soggetta ad una vera e propria riserva di legge l’individuazione, con il carattere della tassatività, degli elementi che compongono la base di calcolo dell’indennità di buonuscita (Cons. Stato, sez. 6, 20 dicembre 2011, n. 6736; 4 aprile 2011, n. 2075; 12 giugno 2009, n. “3717; sez. 6,18 aprile 2009, n. 3049; 28 gennaio 2009, n. 482).

6. In conclusione va ribadito che nella base di calcolo dell’indennità di buonuscita del dipendente non possono comprendersi emolumenti diversi da quelli previsti dal combinato disposto del D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38, non potendo in particolare interpretarsi le locuzioni “stipendio”, “paga” o “retribuzione”, nel senso generico di retribuzione omnicomprensiva riferibile a tutto quanto ricevuto dal dipendente in modo fisso o continuativo e con vincolo di corrispettività con la prestazione.

7. Pertanto il ricorso va rigettato. Sussistono giustificati motivi (in considerazione dell’evoluzione giurisprudenziale sulle questioni dibattute e della problematicità delle stesse nel contesto del progressivo assetto del diritto vivente) per compensare tra le parti le spese di questo giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 5 luglio 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016

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