Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18191 del 16/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 16/09/2016, (ud. 21/06/2016, dep. 16/09/2016), n.18191

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29606/2014 proposto da:

COMUNE NAPOLI C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso

lo studio dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FABIO MARIA FERRARI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.R. C.F. (OMISSIS), P.M.R. C.F. (OMISSIS),

elettivamente domiciliate in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo

studio dell’avvocato NUNZIO RIZZO, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BENEDETTO MIGLIACCIO, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

e contro

V.M.S., CI.FI.;

– intimate –

avverso la sentenza n. 4951/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 08/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/06/2016 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato CORDEDDA GIUSEPPE per delega Avvocato FERRARI FABIO

MARIA;

udito l’Avvocato RIZZO NUNZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza della Corte d’Appello di Napoli n. 4951/14, depositata l’8 luglio 2014, oggetto del presente ricorso per cassazione proposto dal Comune di Napoli nei confronti degli avv.ti C.R., P.M.R., V.M.S. e Ci.Fi., è stata pronunciata in relazione a due giudizi riuniti.

2. 11 primo prende origine dal ricorso promosso dinanzi al Tribunale di Napoli da Ci.Fi., C.R., P.M.R., N.A., V.M.S., A.D.L.G., S.N. e R.A., in riassunzione del procedimento già iniziato dinanzi al Giudice amministrativo, che aveva declinato la propria giurisdizione, avente ad oggetto l’impugnazione della delibera n. 4561 del 2005 della Giunta comunale del Comune di Napoli e della relativa procedura di mobilità.

2.1. I ricorrenti esponevano:

di essere dipendenti del Comune di Napoli con contratto a tempo indeterminato, quali vincitori di concorso, con la qualifica di “avvocato funzionario” di ruolo dell’Avvocatura municipale del Comune di Napoli;

che con sentenza del Tribunale di Napoli n. 1392/2003, era stato loro riconosciuto il diritto ad essere inquadrati nel profilo dirigenziale di avvocato dal 1 luglio 1978, con annesso trattamento economico e normativo, nonchè al pagamento delle differenze retributive;

che detta sentenza aveva operato il riconoscimento del diritto al profilo dirigenziale sulla scorta della nuova legge professionale, la quale, abolendo la figura del procuratore legale, aveva unificato le funzioni di rappresentanza e difesa in giudizio nella figura dell’avvocato;

che avevano adito il giudice amministrativo per l’esecuzione della suddetta sentenza passata in giudicato;

che il TAR Campania, con la sentenza n. 5024/05, aveva nominato il Commissario ad acta, il quale, con la delibera n. 1 del 26 settembre 2005, aveva disposto l’inquadramento dei ricorrenti nel profilo dirigenziale di avvocato dal I luglio 1998, in soprannumero rispetto alla dotazione organica, allora vigente, del Comune di Napoli, nonchè il riconoscimento e la corresponsione del trattamento economico e normativo, anche con riferimento alla differenze economiche maturate;

che a fronte dell’inerzia del Comune, il Commissario ad acta aveva proceduto al suddetto inquadramento;

che il Comune di Napoli, nel prendere atto della delibera del Commissario ad acta, aveva dichiarato i ricorrenti in eccedenza rispetto al fabbisogno, in tal modo eludendo il giudicato intervenuto;

che avverso tale dichiarazione di eccedenza, essi ricorrenti avevano adito il TAR, ottenendo in via cautelare la sospensione del provvedimento, anche se, successivamente, il TAR aveva declinato la propria giurisdizione, con sentenza confermata dal Consiglio di Stato;

che, pertanto avevano adito in riassunzione il Tribunale di Napoli per sentire dichiarare la inesistenza, inefficacia, nullità ed illegittimità della deliberazione n. 4561 del 28 novembre 2005 e della procedura di mobilità disposta dal Comune nei loro confronti.

2.2. Il Tribunale di Napoli, con sentenza del 12 febbraio 2009, n. 4418, rigettava il ricorso.

3. Il secondo ricorso è stato proposto dinanzi al Tribunale di Napoli da C.R. e P.M.R..

Lo stesso era volto ad ottenere, previa reintegra nelle mansioni e funzioni di avvocato dell’Ente, la condanna del Comune di Napoli al pagamento delle differenze retributive dovute sulla retribuzione di posizione di fatto erogata, e degli interessi sulle somme tardivamente corrisposte, atteso che, a seguito del collocamento in disponibilità, esse ricorrenti avevano percepito il solo assegno di disponibilità pari all’80 per cento dello stipendio tabellare in godimento.

3.1. Anche questo ricorso veniva rigettato dal Tribunale con sentenza del 29 ottobre 2012, n. 26798.

4. Le suddette sentenze venivano impugnate con separati ricorsi dinanzi alla Corte d’Appello di Napoli che procedeva alla riunione e pronunciava in ordine agli stessi con la sentenza n. 4951 del 2014.

5. Nel corso dei giudizi di merito interveniva transazione giudiziale tra il Comune di Napoli e N.A., A.D.L.G.P., S.N. e R.A., mentre Ci.Fi. e V.M.S. venivano poste in quiescenza.

Pertanto, il giudizio di appello proseguiva nei confronti di Ci.Fi. e V.M.S., nonchè di C.R. e P.M., per queste ultime anche con riferimento alla richiesta di reintegra nella posizione dirigenziale.

6. La Corte d’Appello, quindi dichiarava la cessazione della materia del contendere nei confronti di A.D.L.G., S.N., R.A. e N.A..

Dichiarava nei confronti delle restanti appellanti ( C.R., P.M., Ci.Fi. e V.M.S.) la illegittimità della delibera della Giunta comunale del Comune di Napoli, n. 4561/2005, nella parte in cui dichiarava l’eccedenza di C.R., P.M., Ci.Fi. e V.M.S. in quanto collocate quali dirigenti in soprannumero, e degli atti da tale dichiarazione dipendenti, in particolare, nei confronti di C.R. e P.M. della disposizione dirigenziale n. 128 dell’11 maggio 2011, di collocazione delle stesse in disponibilità, e conseguentemente dichiarava nei confronti delle appellanti C.R. e P.M. la sussistenza dello status quo ante alla messa in disponibilità, con reintegra delle suddette appellanti nella posizione di dirigenti e condannava il Comune di Napoli al pagamento delle differenze economiche tra lo stipendio in godimento nel mese di giugno 2011 e l’assegno di disponibilità percepito a far tempo dal mese di luglio 2011 e fino all’effettiva reintegra delle mansioni, il tutto maggiorato dagli interessi legali, dalla maturazione di ciascun credito al saldo, e con conseguente regolarizzazione della posizione contributiva e previdenziale del periodo in questione.

7. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il Comune di Napoli, prospettando tre motivi di ricorso.

8. Resistono con controricorso C.R. e P.M.R..

9. V.M.S. e Ci.Fi. sono rimaste intimate.

10. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Occorre premettere che la Corte d’Appello di Napoli affermava che l’intervenuto giudicato sulla statuizione della sentenza n. 1393 del 2003 del Tribunale di Napoli, che dichiarava il diritto dei ricorrenti all’inquadramento nel profilo dirigenziale di avvocato dal 1 luglio 1998 ed al corrispondente trattamento economico, comportava il diritto degli stessi alla sua esecuzione con conseguente riconoscimento del diritto che ne costituiva l’oggetto.

Assumeva, quindi, rilievo la sentenza emessa dal Consiglio di Stato in sede di ottemperanza, n. 4767 del 10 settembre 2012, che confermava la sentenza del TAR Campania n. 5024 del 2005.

Nella stessa, come richiamato dal giudice di secondo grado, si affermava che la difesa comunale tornava a presentare un ipotetico vizio della decisione del 2003 che era ormai passata, però, in cosa giudicata: “Come ha esattamente osservato il T.A.R., infatti, l’Amministrazione avrebbe potuto opporre la circostanza della carenza di posti di organico vacanti nella qualifica superiore giù nel giudizio di primo grado dinanzi al Giudice del lavoro, o quantomeno in sede di appello avverso la relativa pronuncia n. 1392/2003. Non avendo però essa assolto nè l’uno, nè l’altro onere, anche sul punto si è formato il giudicato, che, tanto più in un rapporto (ormai) privatizzato, fa stato ad ogni effetto tra le parti, giusta l’art. 2909 c.c., e perciò copre senz’altro, oltre che il dedotto, anche il deducibile.

Giova poi sottolineare che il proprium del giudicato della cui esecuzione si tratta si concretizza specificamente nel riconoscimento agli originari ricorrenti della qualifica superiore, sicchè il motivo di appello in trattazione non è inteso semplicemente a propiziare una certa interpretazione del giudicato a preferenza di altre o magari a pone dei meri confini alla potenzialità espansiva dei giudicato in discorso, bensì avrebbe l’anomalo, quanto dirompente, effetto di svuotare quest’ultimo di qualsiasi portata, ponendolo nel nulla, ed in pari tempo produrrebbe l’ulteriore conseguenza, altrettanto inedita, di sanare la decadenza processuale in cui l’Amministrazione è incorsa omettendo di opporre a tempo debito la relativa eccezione”.

Tanto premesso, la Corte d’Appello affermava che con la delibera impugnata e con i successivi atti scaturiti dalla stessa, il Comune aveva cercato di vanificare gli effetti del giudicato ormai intervenuto, arrivando ad esautorare, per quanto riguardava le appellanti C. e P., le stesse dalle funzioni professionali svolte, ponendole in disponibilità con corresponsione di un assegno nella misura dell’80% dello stipendio tabellare in godimento, e la possibilità di risoluzione del rapporto decorso il biennio senza ricollocazione o reintegra.

Il TAR Campania, con la sentenza numero 5027 del 2005, non aveva inteso modificare il contenuto della decisione del giudice del lavoro, quanto piuttosto tenuto conto del disagio organizzativo prospettato all’amministrazione derivante in quel frangente nel provvedere ad un ampliamento della pianta organica, aveva affermato che gli esponenti potevano essere collocati in soprannumero rispetto alla dotazione organica.

Si trattava di una sorta di suggerimento strumentale, in quanto diretto ad individuare una semplice misura di attuazione del dictum da eseguire.

L’indicazione del TAR di porre in soprannumero gli istanti, lungi dal costituire una sorta di giudicato, altro non rappresentava che un rimedio contingente per attuare la statuizione del giudice del lavoro.

Cosi interpretata la pronuncia di ottemperanza, la delibera della G.C. n. 4561 del 2005, consequenziale alle delibere del Commissario ad acta, costituiva un atto di gestione del rapporto sottoposto al vaglio del giudice ordinario.

Per quanto riguardava la posizione dirigenziale, la Corte d’Appello affermava di non condivideva quanto affermato dal Tribunale e cioè che tale posizione non sarebbe stata fungibile al di fuori dell’ambito dell’area legale, atteso che nel sistema di lavoro privatizzato alle dipendenze di pubbliche amministrazioni la posizione dirigenziale non costituisce una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera, ma sostanziava l’idoneità professionale del dipendente a svolgere tale qualifica.

2. Nella sostanza la Corte d’Appello ha ritenuto illegittima la messa a disposizione dei ricorrenti atteso che l’Amministrazione, non avendo le statuizioni del giudice amministrativo integrato il giudicato della sentenza del giudice del lavoro, non poteva ritenere adempiuto quest’ultimo con il mero collocamento in soprannumero, rispetto al quale veniva poi ad operare con gli ordinari strumenti organizzatori. Tale collocamento in soprannumero costituiva una modalità provvisoria suggerita dal G.A., in vista della compiuta attuazione del giudicato, che sanciva il diritto ad essere inquadrati nel profilo dirigenziale di avvocato, e non poteva, dunque, allo stesso conseguire il collocamento in disponibilità.

3. Tanto premesso può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

3.1. Con il primo motivo di ricorso il Comune di Napoli, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, deduce il vizio di erronea interpretazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 132 e 324 c.p.c., nonchè del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 33 e 34, del D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 33, comma 2, art. 112, comma 1, lett. c), e art. 117, comma 4, e succ. modifiche e integrazioni. Violazione del divieto del ne bis in idem.

3.2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettata, in relazione all’art. 360, n. 5, cpc, l’omesso esame di elementi di fatto decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti.

3.3. I suddetti motivi sono esposti attraverso un unico percorso argomentativo.

Assume il ricorrente che la statuizione del giudice amministrativo avrebbe conformato il giudicato della sentenza del Tribunale di Napoli, con l’ordine del collocamento in soprannumero dei ricorrenti, nè, nel fare ciò, la stessa avrebbe modificato il giudicato civile, in quanto la sentenza del Tribunale di Napoli faceva riferimento solo all’inquadramento nella qualifica di dirigente avvocato.

L’ordine di immissione in soprannumero non era nè provvisorio, nè strumentale, in quanto rispondeva alla consapevolezza, da parte del G.A., della impossibilità giuridica di imporre al Comune una modifica della propria pianta organica.

Pertanto, la Corte d’Appello interpretava erroneamente la regola di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 33, comma 1, ravvisando nella normale applicazione di tale meccanismo normativo un’elusione del giudicato scaturente dalla sentenza n. 1293 del 2003, nonostante il giudice dell’ottemperanza prima e il Commissario ad atta poi avessero dato puntuale attuazione a tale sentenza, disponendo il collocamento in soprannumero delle ricorrenti, che aveva poi dato causa al procedimento di collocamento in disponibilità.

4. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta un’ulteriore violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, con riguardo al fatto, decisivo per il giudizio e oggetto di discussione tra le parti, della fungibilità del profilo di dirigente avvocato.

Quanto esposto dalla Corte d’Appello circa il sistema unico di accesso alla dirigenza, non potrebbe trovare applicazione nel caso in esame, poichè, nella specie, l’accesso alla qualifica dirigenziale non era da imputare ad un concorso, ma derivava da una sentenza, ragione per cui le ricorrenti non potevano essere utilmente collocate nella dotazione organica dei dirigenti amministrativi.

Tali argomenti, già spesi nel corso del giudizio, non erano stati vagliati dalla Corte d’Appello.

5. 1 suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

Gli stessi sono fondati e devono essere accolti.

5.1. Occorre premettere che il D.Lgs. n. 165 del 2001, agli artt. 33, 34 e 34 bis, disciplina la cd. mobilità d’ufficio (già regolata dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 35), distinta da quella volontaria di cui all’art. 30 del medesimo D.Lgs..

La mobilità d’ufficio tende al riassorbimento del personale in eccedenza attraverso una procedura che si conclude – ove il personale in esubero non possa essere impiegato diversamente nell’ambito della medesima amministrazione ovvero presso altre amministrazioni – con il collocamento in disponibilità (art. 33, comma 7) per la durata massima di ventiquattro mesi durante i quali esso percepisce un’indennità pari all’80 per cento dello stipendio e dell’indennità integrativa speciale (art. 33, comma 8), fermo restando che, decorsi infruttuosamente detti ventiquattro mesi, “il rapporto di lavoro si intende definitivamente risolto” (art. 33, comma 4).

Il collocamento in disponibilità del lavoratore pubblico che non sia possibile impiegare diversamente nell’ambito della medesima amministrazione o ricollocare presso altre amministrazioni presuppone il provvedimento di definizione della dotazione organica, che il giudice ordinario deve disapplicare, se illegittimo, ancorchè sia divenuto inoppugnabile (cfr., Cass., n. 16175 del 2004).

Nella fattispecie in esame rilevano anche altre disposizioni del D.Lgs. n. 165 del 2001, e segnatamente l’art. 1, comma 1, e l’art. 6.

Quest’ultimo stabilisce al comma I “Nelle amministrazioni pubbliche l’organizzazione e la disciplina degli uffici, nonchè la consistenza e la variazione delle dotazioni organiche sono determinate in funzione delle finalità indicate all’articolo 1, comma 1, previa verifica degli effettivi fabbisogni e previa informazione delle organizzazioni sindacali rappresentative ove prevista (…)”.

L’art. 1, comma 1, a sua volta stabilisce che la disciplina dell’organizzazione degli uffici e dei rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, è finalizzata a:

a) accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e servizi dei Paesi dell’Unione Europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

b) razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

e) realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, assicurando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti, applicando condizioni uniformi rispetto a quelle del lavoro privato, garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori nonchè l’assenza di qualunque forma di discriminazione e di violenza morale o psichica.

L’attuazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 34, commi 1, 2 e 3, riguardante la rideterminazione delle dotazioni organiche delle pubbliche amministrazioni, e più in generale il passaggio dalla nozione di pianta organica a quella di dotazione organica, ha reso evidente che la fissazione della dotazione organica nella pubblica amministrazione deve essere effettuata in relazione alle effettive esigenze di funzionamento degli enti, e, quindi è volta ad integrare un effettivo strumento di gestione del personale.

Il citato D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 6, che costituisce espressione dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione ai sensi dell’art. 97 Cost., come si è accennato, dà due importanti indicazioni alle amministrazioni pubbliche: stabilire dotazioni organiche perseguendo efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, razionalizzando i costi e ottimizzando le risorse umane; tendere alla migliore distribuzione delle risorse umane attraverso una attuazione coordinata dei processi di mobilità e di reclutamento del personale.

Naturalmente, presupposto della definizione della dotazione organica è la verifica degli effettivi fabbisogni, nonchè l’informazione alle organizzazioni sindacali rappresentative.

Quanto alla individuazione da parte delle amministrazioni delle proprie effettive esigenze, viene in rilievo un’attività complessa, funzionalmente discrezionale.

Ed infatti, i provvedimenti della pubblica amministrazione, in tenia di formazione e revisione della pianta organica configurano espressione di potere discrezionale.

L’amministrazione, nell’esercitare la propria discrezionalità, non può procedere ad una mera ricognizione numerica dell’organico in dotazione ma deve dare corso ad una ricognizione completa delle risorse umane e delle professionalità necessarie per i propri fini istituzionali, avendo riguardo alle attività esercitate direttamente.

5.2. Quanto precede pone in evidenza come il giudicato della sentenza del Tribunale di Napoli, non poteva avere esecuzione mediante una forzatura della dotazione organica dell’Ente, la cui determinazione è rimessa allo stesso nei termini sopra esposti, ma, come avvenuto, mediante il collocamento in soprannumero, sottoposto poi alla disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 33 e segg., con la conseguente legittimità della procedura di collocamento in disponibilità.

Nè, con riguardo alla fattispecie, sono conferenti le affermazioni della Corte d’Appello circa il cd. ruolo unico della dirigenza.

Non assume rilievo, quindi, la portata delle decisioni assunte in sede di ottemperanza dal giudice amministrativo, atteso che, anche qualora l’ordine contenuto nelle stesse (di collocamento in soprannumero) non si ritenga coperto da giudicato, costituendo una mera modalità attuativa, come affermato dalla Corte d’Appello, comunque, il giudicato sulla sentenza n. 1392 del 2003 non poteva determinare altro che il collocamento in soprannumero.

Ciò in ragione della inesistenza dei posti in pianta organica nella superiore qualifica riconosciuta, e delle specifiche attribuzioni rimesse dalla legge alle Amministrazioni pubbliche per la determinazione della propria dotazione organica.

Pertanto, come dedotto dal ricorrente, non potendo disporsi, nella specie, in attuazione del giudicato l’aumento della dotazione organica, il collocamento in soprannumero tale rimaneva, con l’applicazione della relativa disciplina di legge.

In proposito occorre, altresì, considerare, in particolare, che la sentenza del Tribunale di Napoli da cui prende origine l’odierna controversia, prescindendo da qualsiasi statuizioni sulla consistenza della dotazione organica, faceva discendere il diritto all’inquadramento nel profilo dirigenziale in questione, dalla mera intervenuta abrogazione della figura del procuratore legale.

La Corte d’Appello, quindi, non ha fatto corretta applicazione della disciplina sopra richiamata in materia di dotazioni organiche della pubblica amministrazione e procedura di mobilità d’ufficio, nè risulta introdotta nel giudizio circostanziata questione di disapplicazione della dotazione organica (di cui, peraltro, emerge solo, in modo pacifico, l’incapienza rispetto alle posizioni dei ricorrenti, ma non la consistenza, le modalità di determinazione o altri dati).

6. Il ricorso deve essere accolto. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Napoli in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016

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