Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1819 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1819

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18135-2019 proposto da:

JU. SPA, non in proprio ma in nome e per conto della BANCA MONTE

PASCHI SIENA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO BOSIO 2, presso lo

studio dell’avvocato MASSIMO LUCONI, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati CARLOTTA CORSANI, TOMMASO NIDIACI;

– ricorrente –

contro

PE. ITALIA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

G.A., G.E., P.F., GO.EV.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 12, presso lo

studio dell’avvocato FIAMMETTA FIAMMERI, che li rappresenta e

difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza N. R.G. 1237/2018 della CORTE D’APPELLO di

FIRENZE, depositata l’08/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA

FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

– che viene proposto dalla Banca Monte dei Paschi di Siena e dalla Ju. s.p.a. quale procuratore della predetta Banca, affidandolo a tre motivi, ricorso avverso la sentenza n. 288/19, depositata in data 8 febbraio 2019, con la quale la Corte d’Appello di Firenze, in parziale accoglimento sia dell’appello principale che dell’appello incidentale proposti avverso la sentenza del Tribunale di Firenze n. 96/2018 del 11 gennaio 2018, ha rideterminato il saldo definitivo dei rapporti intercorrenti tra MPS e la Pe. Italia s.r.l. in Euro 22.677,93 a credito di quest’ultima società, così determinato:

Euro 156.529,34 (di cui Euro 88.040,42 al 30.06.2009 per il c/c n. (OMISSIS) ed Euro 68.488,92 al 30.9.2011 per il c/c (OMISSIS)) quale saldo attivo dei c/c intestati alla Pe. Italia s.r.l., da cui è stata, in primo luogo, scomputata la somma di Euro 46.302,72 dovuta a titolo di rate insolute del mutuo n. (OMISSIS) (oggetto di domanda riconvenzionale della banca accolta in primo grado), e poi scomputata la somma di Euro 87.548,69, relativa alle operazioni di n. 37 effetti Ri.BA. tornati insoluti (oggetto di domanda riconvenzionale non accolta in primo grado);

che, pertanto, la Corte d’Appello, oltre a rideterminare il saldo nei termini di cui sopra, ha riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui la società debitrice e i suoi garanti erano stati condannati in solido al pagamento della somma di Euro 46.302,72, dovuta a titolo di rate insolute del mutuo sopra indicato;

– che la Pe. Italia s.r.l., Go.Ev., P.F., G.A., G.E. si sono costituiti in giudizio con controricorso;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

– che con il primo motivo la Banca ha dedotto violazione di legge in relazione alla violazione/falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e, in ogni caso, in violazione del principio judex peritus peritorum, sul rilievo che il giudice d’appello, nel riformare la sentenza del giudice primo grado, si era limitato ad asserire che quest’ultimo aveva errato nel non attenersi alle conclusioni del CTU, senza specificare minimamente, neppure in modo conciso, le ragioni per le quali il giudice di primo grado sarebbe incorso in errore nel discostarsi dalle conclusioni del CTU, così omettendo totalmente di indicare le ragioni di fatto e di diritto della decisione;

– che il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente colto la ratio decidendi;

che, in particolare, da un attento esame della sentenza impugnata, non emerge affatto che il giudice di appello avesse riformato la sentenza del giudice di primo grado per il solo rilievo che quest’ultimo si era discostato dalle conclusioni del CTU – in realtà, di tale asserita motivazione non vi è alcuna traccia – avendo invece affermato il giudice di secondo grado che l’errore del primo giudice era consistito ” nel ritenere che il saldo attivo rideterminato dal CTU per ciascun conto corrente non fosse un credito per la correntista PE. ITALIA, in quanto pur in difetto di una proposizione di ripetizione dell’indebito, la domanda di accertamento svolta ben può avere ad oggetto un credito se accertato” (pag. 5 sentenza impugnata);

che, in relazione a tale ragionamento, la Corte d’Appello ha rilevato che l’importo di Euro 46.302,72, relativo alle rate insolute del mutuo, non doveva essere oggetto di una pronuncia di condanna a favore della banca, bensì di un’operazione di compensazione con il maggior credito di 156.529,34 accertato dal CTU (dopo aver depurato i conti dalle somme non dovute), relativo al saldo attivo dei c/c correnti della Pe. Italia s.r.l.;

– che non vi è dubbio, peraltro, che la motivazione della Corte d’Appello, nei termini sopra riportati, soddisfi ampiamente il requisito del “minimo costituzionale” richiesto dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte, (vedi Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; più recentemente Sez. n. 16502 del 05/07/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);

– che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione/falsa applicazione del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 120, comma 2, così come modificato dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 2, sul rilievo che la Banca, in ottemperanza alla Delib. CICR 9 febbraio 2000, aveva provveduto, con decorrenza dal 1/07/2000, ad adeguare le condizioni applicate ai conti correnti della propria clientela, applicando la capitalizzazione degli interessi sia attivi che passivi con la stessa periodicità trimestrale, con avviso pubblicato su Gazzetta Ufficiale del 28/06/2000, con la conseguenza che la capitalizzazione operata dalla Banca, nel caso di specie, era del tutto legittima;

– che il motivo è inammissibile;

che, in particolare, la Corte d’Appello ha ritenuto illegittima la capitalizzazione degli interessi passivi operata dalla Banca sul rilievo che non era stata fornita dalla medesima la prova della pattuizione di una pari periodicità di capitalizzazione degli interessi attivi e passivi, non potendo valere come prova in senso tecnico, in un ordinario giudizio di cognizione, l’estratto conto di cui all’art. 50 TUB;

che tale motivazione non è stata censurata dalla Banca, la quale non ha fatto altro che svolgere delle censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione del fatto ed una diversa valutazione del materiale probatorio rispetto a quella operata dalla Corte d’Appello;

– che con il terzo motivo è stata la violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, sul rilievo che il giudice d’appello aveva erroneamente disposto la compensazione solo parziale e non totale delle spese di lite, nonostante la soccombenza reciproca pronunciata;

– che il motivo è inammissibile;

che, in particolare, questa Corte ha affermato che, in tema di condanna alle spese processuali, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese stesse, con la conseguenza che, in ordine al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare solo che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, mentre esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nell’ipotesi di concorso con altri giusti motivi, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613 del 04/08/2017);

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese delle spese di lite, che liquida in Euro 2.900,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

 

 

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