Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18188 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 24/06/2021, (ud. 16/04/2021, dep. 24/06/2021), n.18188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7643-2020 proposto da:

O.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 1 (FAX. (OMISSIS) – TEL. (OMISSIS)), presso lo studio

dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE, rappresentata e difesa dall’avvocato

SALVATORE STARA;

– ricorrente –

contro

MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositato il

03/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/04/2021 dal Consigliere ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

O.R. ha proposto ricorso articolato in quattro motivi avverso il decreto della Corte di appello di Cagliari n. 1454/2019, depositato il 3 luglio 2019.

L’intimato Ministero della Giustizia resiste con controricorso.

Con ricorso depositato in data 26 marzo 2019 presso la Corte di appello di Cagliari, O.R. chiese la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio civile, svoltosi a far tempo dal 2005 davanti al Tribunale di Cagliari, poi davanti alla Corte d’appello di Cagliari ed alla Corte di cassazione, che rigettò il ricorso di O.R. con sentenza dell’11 maggio 2015. Di seguito, O.R. propose anche ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c., che venne respinto con ordinanza del 26 settembre 2018.

Il magistrato designato presso la Corte di appello di Cagliari, con decreto del 10 aprile 2019 dichiarò inammissibile la domanda per tardività. Il collegio della Corte d’Appello respinse poi l’opposizione ai sensi della L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter, evidenziando la tardività della domanda, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 4, con riferimento alla sentenza che aveva pronunciato sul ricorso per cassazione, e non alla successiva pronuncia resa sulla revocazione.

Il primo motivo di ricorso di O.R. censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e dell’art. 111Cost., comma 6, dell’art. 132 Cost., comma 4, e dell’art. 277 c.p.c., per difetto di motivazione, invocando il giudicato discendente dal decreto reso il 4 novembre 2016 dalla Corte d’appello di Roma, la quale, adita inizialmente con la domanda di equa riparazione, aveva dichiarato la stessa inammissibile per la pendenza del ricorso per revocazione.

Il secondo motivo di ricorso censura la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, lett. c), degli artt. 391-bis e 327 c.p.c., dell’art. 124 disp. att. c.p.c. e 324 c.p.c., ed ancora dell’art. 111Cost., comma 6, dell’art. 132 Cost., comma 4, e dell’art. 277 c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c., difetto di motivazione, illogicità e contrarietà.

Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, lett. c), degli artt. 391- bis e 327 c.p.c., dell’art. 124 disp. att. c.p.c. e dell’art. 324 c.p.c., ed ancora degli artt. 111 Cost. comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 4, dell’art. 277c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c..

Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 3, comma 3, lett. c), dell’art. 391-bis e 327 c.p.c., dell’art. 124 disp. att. c.p.c. e dell’art. 324 c.p.c., ed ancora dell’art. 111Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 4, e dell’art. 277c.p.c., e dell’art. 112 c.p.c..

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

Va premesso che l’erronea indicazione del ricorrente nell’epigrafe del ricorso (” M.P.C.”, anzichè O.R.) non preclude, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 1, l’identificabilità con certezza della parte in base al contenuto complessivo del ricorso stesso, al decreto impugnato ed agli atti delle pregresse fasi del giudizio (Cass. Sez. 3, 10/01/2017, n. 240; Cass. Sez. 2, 02/02/2016, n. 1989; Cass. Sez. 3, 27/10/ 2015 n. 21786).

Il primo motivo di ricorso è inammissibile per plurime ragioni. Innanzitutto, non viene specificato quale fosse il contenuto del decreto reso il 4 novembre 2016 dalla Corte d’appello di Roma, ovvero il testo del “giudicato” che si assume erroneamente interpretato, facendo richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo del provvedimento, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Lo stesso contenuto può desumersi soltanto dalla pronuncia della Corte d’appello di Cagliari qui impugnata. Sembra intuibile che il magistrato designato presso la Corte d’appello di Roma, facendo applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, come sostituito dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, lett. d), (poi dichiarato incostituzionale da Corte Cost. 26 aprile 2018, n. 88, proprio nella parte in cui non prevede che la domanda di equa riparazione potesse essere proposta in pendenza del procedimento presupposto), avesse dichiarato la inammissibilità della domanda per la permanente pendenza del giudizio presupposto, nella fase della revocazione ex art. 391-bis c.p.c. Si consideri allora anche come la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 3, comma 3, come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, art. 55, comma 1, lett. c, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, stabilisce che, unitamente al ricorso contenente la domanda di equa riparazione, debba essere depositata copia autentica dei seguenti atti: a) l’atto di citazione, il ricorso, le comparse e le memorie relativi al procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata; b) i verbali di causa e i provvedimenti del giudice; c) il provvedimento che ha definito il giudizio, ove questo si sia concluso con sentenza od ordinanza irrevocabili. Opera comunque l’art. 3, comma 6, sicchè, quando il ricorso sia stato respinto, la domanda non può essere riproposta, ma la parte può fare opposizione a norma dell’art. 5-ter. Quella statuizione di improponibilità della domanda di equa riparazione per la pendenza del giudizio presupposto, emessa peraltro inaudita altera parte dal magistrato designato presso la Corte d’appello di Roma, aveva valore meramente processuale e non sostanziale e da essa non può fondatamente farsi discendere nè una preclusione derivante dalla mancata impugnazione per la dichiarata inammissibilità, nè una preclusione da giudicato sulla non definitività della sentenza di cassazione dell’11 maggio 2015.

II. Secondo, terzo e quarto motivo di ricorso possono esaminarsi congiuntamente in quanto connessi e si rivelano ugualmente inammissibili. Le tre censure denunciano la violazione o falsa applicazione di una pluralità di norme di diritto, ma il vizio del decreto della Corte d’appello di Cagliari non viene poi dedotto mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella pronuncia gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie asseritamente violate o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità. Inoltre, nel vigore del testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di illogica o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza, la quale resta configurabile solo nelle ipotesi di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”. Il decreto della Corte d’appello di Cagliari contiene, invece, le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione adottata. D’altro canto, secondo, terzo e quarto motivo di ricorso non superano lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, (cfr. Cass. Sez. U, 21/03/2017, n. 7155). La Corte di appello di Cagliari ha deciso la questione di diritto inerente al termine di proponibilità della domanda di equa riparazione per l’irragionevole durata del giudizio civile conclusosi innanzi alla Corte di cassazione con statuizione di rigetto, inammissibilità ovvero decisione nel merito del ricorso in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame del ricorso non offre elementi per mutare tale orientamento.

Si è più volte affermato, e va qui ribadito, che, in tema di equa riparazione da irragionevole durata di un processo civile conclusosi innanzi alla Corte di cassazione con una decisione di rigetto del ricorso o di inammissibilità o di decisione nel merito, ai fini della decorrenza del termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4 – il cui “dies a quo” è segnato dalla definitività del provvedimento conclusivo del procedimento nell’ambito del quale si assume verificata la violazione – occorre avere riguardo alla data di deposito della decisione della Corte, quale momento che determina il passaggio in giudicato della sentenza, a ciò non ostando la pendenza del termine per la revocazione ex art. 391 bis c.p.c., nè la stessa proposizione del ricorso per revocazione della sentenza conclusiva del processo presupposto, come avvenuto nella specie, trattandosi di un mezzo di impugnazione straordinario, non legato da “rapporto di unicità” con il giudizio di cognizione concluso con sentenza passata in giudicato (Cass. Sez. 6 – 2, 03/05/2019, n. 11737; Cass. Sez. 6 – 2, 03/01/2017, n. 63; Cass. Sez. 6 – 2, 05/12/2012, n. 21863). Le considerazioni della ricorrente sono smentite dallo stesso testo dell’art. 391-bis c.p.c., che, al comma 5, inequivocamente chiarisce: “La pendenza del termine per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione non impedisce il passaggio in giudicato della sentenza impugnata con ricorso per cassazione respinto”.

La sentenza dell’11 maggio 2015, che rigettò il ricorso per cassazione di O.R., segnò, pertanto, la definitività del provvedimento conclusivo del procedimento nell’ambito del quale si assume verificata la violazione della ragionevole durata, ai fini della decorrenza del termine di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4.

Il ricorso va perciò dichiarato inammissibile, regolandosi secondo soccombenza le spese del giudizio di cassazione nell’ammontare liquidato in dispositivo.

Essendo il procedimento in esame esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 16 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

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