Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18186 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2019, (ud. 27/03/2019, dep. 05/07/2019), n.18186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 970-2015 proposto da:

P.M., elettivamente domiciliato in ROMA, V.F. DE SANCTIS 15,

presso lo studio dell’avvocato PIER PAOLO POLESE, rappresentato e

difeso dall’avvocato CARLO ZAULI;

– ricorrente –

contro

U.G.L. – UNIONE GENERALE DEL LAVORO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1215/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 01/10/2014 R.G.N. 1497/2012.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 1.10.2014, per quanto qui rileva, ha respinto l’appello proposto dal P. confermando la sentenza del Tribunale di Ravenna N. 462/2012, con la quale il giudice di primo grado, in sede di opposizione, aveva revocato il decreto ingiuntivo concesso al P. (contenente la condanna di UGL al pagamento di somme di denaro relative all’attività dal primo svolta nei confronti della sigla sindacale);

che la corte d’appello, in particolare, dopo aver riaffermato la legittimazione passiva dell’UGL convenuto (poichè il capo di sentenza di primo grado che tale legittimazione affermava era passato in giudicato e risultava improcedibile il relativo motivo di appello), e rilevato che la sentenza di primo grado aveva omesso ogni motivazione sul merito della controversia, aveva accertato l’infondatezza della pretesa creditoria;

In tal senso, secondo la corte, assumevano rilievo, per un verso, le caratteristiche della prova documentale invocata dal P. a sostegno della propria pretesa (documento n. 5) che inducevano il dubbio circa la sua provenienza (in quanto non coerente con la progressività dei numeri di protocollo, privo di timbro e recante una firma non leggibile e diversa da quella apposta in calce ad altra lettera in atti), per altro verso la circostanza che il P. per ben cinque anni non avesse rivendicato alcun compenso per l’attività svolta, che il teste G. avesse escluso di avere consegnato il documento, che non fosse stata fornita prova della natura onerosa della attività, tenuto conto dello Statuto del sindacato in base al quale tutte le cariche sindacali sono svolte a titolo gratuito;

che avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione P.M., affidato a diciotto motivi; che UGL è rimasto intimato;

che il P.G. non ha formulato richieste scritte.

Diritto

CONSIDERATO

che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si formulano le seguenti censure: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 432,434,436 c.p.c. in relazione agli artt. 2099,2225,2909 c.c., art. 324 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte territoriale non rilevando che l’accertamento svolto in primo grado circa la natura del rapporto di lavoro tra il P. e il sindacato UGL fosse passato in giudicato, e che, pertanto, non potesse, la corte, nuovamente procedere all’accertamento di tale rapporto, per escluderne la natura onerosa; 2) la nullità sentenza per violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., ove non accolta la censura sub 1), in cui sarebbe incorsa la corte, poichè erroneamente si sarebbe pronunciata sul merito, non rilevando come si fosse formato il giudicato interno circa l’an e il quantum pretesa; 3) la violazione art. 2909 c.c., in cui sarebbe incorsa la corte omettendo di rilevare il passaggio in giudicato circa l’accertamento del rapporto di lavoro tra P.M. e l’UGL, 4) la nullità sentenza per violazione artt. 112 e 324 c.p.c., ove non accolta la censura sub 3), in cui sarebbe incorsa la corte, pronunciandosi nonostante si fosse formato il giudicato interno circa l’an e il quantum di cui al dedotto rapporto lavoro; 5) la nullità della sentenza per violazione art. 112 e 324 c.p.c., per il riflesso del giudicato interno, formatosi sull’accertamento della tipologia di rapporto (lavorativo subordinato dal dicembre 2002 al marzo 2006) tra le parti, sulla domanda retributiva in via riconvenzionale formulata dal P., in riferimento ad una liquidazione equitativa di compenso indipendente dal doc. 5, che non era stata oggetto di impugnazione in appello; 6) la nullità della sentenza, in subordine dedotta in caso di omesso accoglimento del motivo sub. 5) la violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte pronunciandosi nonostante la formazione del giudicato interno circa l’an e il quantum della pretesa; 7) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2225 c.c., art. 432 c.p.c. e la violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte ritenendo erroneamente che l’attività fornita dal ricorrente fosse riconducibile ad una finalità solidale anzichè lucrativa, senza accertare alcuna rinuncia al compenso retributivo da parte del P., che peraltro sarebbe stata incompatibile con l’azione svolta; 8) la nullità della sentenza per violazione art. 111 Cost., artt. 113 e 116 c.p.c., per la manifesta illogicità ed il mancato accertamento delle circostanze indicate al settimo motivo; 9) l’omesso esame di un fatto decisivo, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 5, quale la circostanza riferita dal teste E. in ordine alla consegna del doc. 5 e la sua conformità al contenuto del dialogo tra il P. e il teste G., avvenuto presso sede Roma UGL; 10) l’omesso esame di un fatto decisivo, rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 5, quale la circostanza riferita dal teste L. sulla attività quotidianamente svolta dal P. presso la sede UGL Ravenna; 11) la violazione degli artt. 116 e 113 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte ammettendo l’escussione del teste G., che era invece inammissibile, per la sua inattendibilità (rectius incapacità a testimoniare), in quanto coinvolto nella redazione del documento n. 5 rilevante per i fatti di causa, e responsabile diretto della consegna dello stesso e quindi legittimato ad essere, a sua volta, parte in causa; 12) la violazione e falsa applicazione degli artt. 2099 e 2225 c.c., art. 432 c.p.c. in riferimento all’art. 116 c.p.c., in cui sarebbe incorsa la corte omettendo la liquidazione delle somme dovute a P. a titolo retributivo; 13 e 14) la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 e 111 Cost. nonchè art. 414 e 420 c.p.c. nonchè la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per non avere la corte rilevato l’erroneità della escussione del teste G., che risultava subordinata all’escussione degli testi della parte opposta; 15) la violazione e falsa applicazione art. 2729 c.c., per avere erroneamente la corte presunto la gratuità della attività prestata dal ricorrente, dal fatto che questi per cinque anni non si fosse fatto pagare e per non avere correttamente considerato la deposizione dell’ E. nonostante questi fosse imparziale; 16) l’omesso esame di un elemento di fatto decisivo, quale i dati di prova della consegna del documento n. 5; 17) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., per erronea presunzione dell’inesistenza o gratuità del rapporto di lavoro tra le parti per mancata richiesta spettanze per un certo periodo; 18) la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. per erronea presunzione dell’inesistenza o gratuità del rapporto di lavoro tra le parti sulla base di un generico articolo dello statuto dell’UGL e non sulle caratteristiche concrete del rapporto;

che i primi sei motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, poichè con essi il ricorrente sostanzialmente – si duole del fatto che la Corte di appello abbia proceduto all’esame del merito della vicenda, escludendo la sussistenza del rapporto di collaborazione coordinata nonostante lo stesso fosse stato accertato in primo grado, e che, per ciò solo, non risultando impugnata la relativa statuizione, l’accertamento fosse divenuto irretrattabile, sono infondati;

che, infatti deve essere esclusa la configurabilità di alcun giudicato, poichè la Corte territoriale, nell’esaminare il merito della controversia, ha evidenziato chiaramente come tale aspetto non fosse stato esaminato dalla sentenza di 1 grado (avendo la corte sul punto affermato testualmente che la sentenza del Tribunale di Ravenna: “nulla dice in ordine al merito” (cfr. ultimo cpv a p. 10 della sentenza impugnata), aspetto del resto emergente anche dal terzo motivo di ricorso in appello (riportato a pag. 6 della sentenza impugnata) ove l’appellante, dopo aver detto la nullità della sentenza per omessa motivazione circa il diritto del P. ad ottenere somme in relazione al rapporto di lavoro, ha chiesto alla Corte territoriale di pronunciarsi al riguardo;

che, pertanto, sussistendo il potere-dovere della corte di pronunciarsi, deve escludersi che possa essere calato il giudicato sul punto (mentre correttamente la corte ha ritenuto coperta dal giudicato la pronuncia relativa alla legittimazione passiva dell’UGL, contro la quale il ricorrente principale non aveva spiegato appello ed era stato dichiarato improcedibile dalla stessa corte l’appello incidentale, cfr. 2cpv, p. 11 sentenza di appello);

che, pertanto deve escludersi la illegittimità della pronuncia della corte circa l’accertamento del rapporto di prestazione di attività di collaborazione tra le parti nè possono essere ravvisati riflessi di tale pronuncia sulla domanda retributiva (di cui al quinto motivo);

che, del pari infondati sono i motivi dal settimo al dodicesimo e dal quindicesimo al diciottesimo, che possono essere esaminati congiuntamente, poichè il ricorrente, con essi, nel dedurre il vizio di violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si limita alla mera indicazione delle norme di diritto asseritamente violate, sfuggendo all’onere di indicare specificamente le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina; per tal via il ricorrente, esprimendo un mero disaccordo con l’interpretazione fornita delle norme asseritamente violata non propone criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, precludendo a questa corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (cfr. ex multis, Sent. n. 287 del 12/01/2016; Ord. n. 25419 del 01/12/2014, ord. n. 16038 del 26.6.13); con le suddette doglianze, il ricorrente, in concreto denuncia e contesta la valutazione delle risultanze istruttorie, formulando censure inammissibili in sede di legittimità, qualora come nel caso di specie la sentenza sia congruamente argomentata (cfr. da pag. 11 p. 14 della sentenza, ove la corte si diffonde nella analitica valutazione dei fatti di causa, esaminando approfonditamente e criticamente le circostanze di produzione e le caratteristiche oggettive del documento posto dal ricorrente a fondamento della propria pretesa, per porne in dubbio la provenienza e il valore probatorio, evidenziando le contraddizioni tra le deposizioni dei testi, per escluderne la sufficienza al fine di sostenere la stessa, ed anche valutando il contenuto del documento per pervenire, nell’ambito anche della considerazione generale circa le caratteristiche che il rapporto tra le parti ha assunto negli anni, al rigetto della pretesa);

che l’infondatezza delle suddette censure è evidente, vieppiù, alla luce del novellato testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. s.u. 7.4.2014 n. 8053; Cass. s.u. 22.9.2014 n. 19881; Cass. 21.10.15, n. 21439) e degli specifici oneri di allegazione che la norma impone, nella nuova formulazione, come interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014 (principi costantemente ribaditi dalle stesse Sezioni unite v. n. 19881 del 2014, n. 25008 del 2014, n. 417 del 2015, oltre che dalle Sezioni semplici), cui sono riconducibili nella sostanza i vizi prospettati, anche quando denuncino la formale denuncia di violazione e falsa applicazione di legge;

che appaiono, del pari, inammissibili le censure relative alla valutazione di attendibilità teste G., che è adeguatamente e congruamente giustificata dalla sentenza di appello che non solo ha valutato l’intrinseca congruenza delle dichiarazioni del teste, ma la convergenza delle stesse con gli altri elementi di prova acquisiti, (cfr.p. 12 della sentenza, ove la corte, per corroborare tale deposizione, valorizza la sua congruenza con l’andamento del rapporto nel tempo, improntato alla gratuità e quindi argomenta anche dalle caratteristiche oggettive del documento), e che, pertanto, risulta insindacabile in questa sede (Cass. 5.10.06, n. 21412; Cass. 10.6.14, n. 13054; Cass. 27.1.15, n. 1547);

che, allo stesso modo deve escludersi che la denunciata violazione della norma relativa alla capacità a testimoniare, non avendo neppure chiarito, il ricorrente, da quali elementi discendesse tale incapacità, non emergendo l’allegazione di un interesse del teste all’esito del giudizio (nel caso di specie insussistente) che sarebbe alla base dell’incapacità a testimoniare ex art. 246 c.p.c. (Cass. 19.1.07, n. 1188) e risultando coerente e logica la valutazione svolta dalla corte di appello in termini di attendibilità;

che, del pari sono infondati il tredicesimo e il quattordicesimo motivo, con i quali il ricorrente si duole che la corte non abbia considerato inammissibile la deposizione del teste G. poichè tardivamente indicato in prova contraria;

– ed infatti, i suddetti motivi, sono inammissibili per la loro genericità, nonchè in ragione della novità della questione, che non appare trattata dalla sentenza impugnata, neppure avendo il ricorrente indicato specificamente, nè trascritto gli atti nei quali l’avrebbe posta nei gradi di merito; ciò viola, altresì, il principio per il quale il ricorrente ha l’onere di sufficiente specificazione dei motivi di ricorso, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 (Cass. 11.1.07, n. 324; 18.10.13, n. 23675; Cass. 24.8.16, n. 17315); non solo, dunque, il ricorrente non ha provato di avere proposto una specifica censura al riguardo, ma dalla stessa lettura del motivo di ricorso si evince che fu sollecitato il potere officioso di audizione presso il giudice di primo grado (cfr 3 cpv del corpo del tredicesimo motivo a p. 39 del ricorso);

che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato;

che non va adottata alcuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio dal momento che UGL è rimasta solo intimata;

che ricorrono i presupposti di legge per la condanna della ricorrente al pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 27 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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