Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18185 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2017, (ud. 29/03/2017, dep.24/07/2017),  n. 18185

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 16498-2015 proposto da:

INI ISTITUTO NEUROTRAUMATOLOGICO ITALIANO S.P.A., P.I. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLE TRE MADONNE 8, presso lo studio

dell’avvocato MARCO MARAZZA, che lo rappresenta e difende unitamente

all’avvocato DOMENICO DE FEO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA FRANCESCO DENZA 27, presso lo studio dell’avvocato UGO

BIAGIANTI, rappresentata e difesa dagli avvocati VALENTINA BRAVI,

VINCENZO RETICO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 492/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 16/04/2015 R.G.N. 1201/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

29/03/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARAZZA MAURIZIO per delega verbale Avvocato MARAZZA

MARCO;

udito l’Avvocato RETICO VINCENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso al Tribunale di Avezzano del 15.2.2012 P.G., dipendente della società INI-Istituto Neurotraumatologico Italiano (in prosieguo: INI) spa impugnava il licenziamento disciplinare intimatole con lettera dell’11 agosto 2011, deducendone la nullità, illegittimità e comunque la carenza di proporzionalità.

Il giudice del lavoro, con sentenza del 28.10.2014 (nr. 76/2014), accoglieva la domanda.

La Corte d’appello di L’AQUILA, con sentenza del 16.4.2015 (nr. 492/2015), rigettava l’appello proposto della società INI spa.

Riteneva fondata la statuizione di genericità della contestazione disciplinare; l’addebito faceva riferimento a rapporti intimi intrattenuti con un superiore, durante l’orario di lavoro ed all’interno degli uffici aziendali, senza precisare il periodo e la frequenza con cui le condotte sarebbero state poste in essere nè la fonte e l’epoca di conoscenza delle stesse condotte. Ciò impediva la difesa della dipendente, che atteneva non solo alla verità storica dei fatti ma anche alla eventuale individuazione di cause di esclusione della responsabilità ed alla possibilità di eccepire la tardività della contestazione, anche sotto il profilo del superamento del termine di trenta giorni dall’effettiva conoscenza delle condotte contestate previsto dall’ art. 41 CCNL SANITA’ PRIVATA.

Restavano assorbite tutte le questioni relative alla responsabilità della dipendente per le condotte contestate ed alla proporzionalità della sanzione.

Erano infondate le censure relative alla mancata detrazione dell’aliunde perceptum; nessuna disposizione processuale imponeva il rinnovo dell’interrogatorio formale; la richiesta dell’ordine di esibizione degli eventuali certificati di lavoro ex art. 210 c.p.c. era inammissibile perchè generica e per la mancanza di prova della esistenza dei documenti. La società avrebbe potuto chiedere alla Agenzia delle Entrate l’accesso alle dichiarazioni dei redditi della lavoratrice perchè funzionale alla tutela giudiziaria.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la società INI spa, articolato in due motivi, illustrati con memoria.

Ha resistito con controricorso P.G..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società INI spa ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, 4 e 5 – violazione dell’art. 2119 c.c. e della L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7.

Ha censurato la statuizione di genericità della contestazione per la mancata collocazione nel tempo dei fatti contestati.

Ha esposto che il giudice dell’appello aveva fondato la statuizione sulla impossibilità per la lavoratrice di opporre eventuali esoneri da responsabilità ovvero la mancanza di immediatezza della contestazione; ha dedotto che la P. non aveva mai prospettato un esonero da responsabilità e che la conoscenza dei fatti contestati era stata acquisita da parte del dott. F. negli uffici della Procura della Repubblica di Avezzano in data 14.6.2011 sicchè vi era immediatezza della contestazione, avvenuta in data 11.7.2011.

Il fatto materiale era stato accertato in causa attraverso la acquisizione (alla udienza del 15.1.2013) del verbale della testimonianza resa dal dott. F. nel procedimento promosso contro INI spa dal dipendente L.G.G..

Del resto la commissione del fatto non era stata contestata specificamente dalla lavoratrice nè in causa nè al momento della consegna della lettera di contestazione. I fatti costituivano giusta causa di licenziamento anche alla luce della specifica previsione dell’art. 41 CCNL, che indicava come condotta sanzionabile con il licenziamento la commissione di atti di libidine all’interno della struttura.

Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.

E’ inammissibile nella parte in cui sottopone all’esame diretto di questa Corte questioni non esaminate dal giudice del merito – ed in particolare la responsabilità della lavoratrice per il fatto disciplinare e la integrazione della giusta causa di licenziamento – rimaste assorbite dal preliminare rilievo di genericità della contestazione disciplinare.

Stante il carattere meramente impugnatorio di questo grado, non possono essere sottoposte alla Corte questioni su cui il giudice del merito non si sia pronunziato, dovendo essere censurate unicamente specifiche statuizioni della sentenza (ex plurimis: Cassazione civile, sez. trib., 05/11/2014, n. 23558).

Quanto all’unica statuizione resa dal giudice dell’appello, relativa alla genericità della contestazione disciplinare, il motivo è infondato.

La contestazione, per quanto accertato in sentenza, si riferiva a rapporti di natura intima intrattenuti “più volte” dalla P. in orario lavorativo e nell’ufficio del dott. L.G.G. senza evidenziare, tuttavia, alcun riferimento temporale nè quanto al momento di commissione dei fatti nè quanto al momento del loro accertamento.

La gravità del fatto contestato e la asserita immediatezza della contestazione non elidono il preliminare rilievo della Corte di merito, sotto il profilo della mancanza di specificità della contestazione, della necessità di collocare nel tempo i fatti contestati – anche in ordine alla eventuale reiterazione – onde consentire alla lavoratrice una adeguata difesa.

La denunzia del vizio della motivazione resta poi preclusa in questa sede dalla disciplina dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, applicabile ratione temporis (il ricorso in appello è dell’11.12.2014) per la conformità dell’accertamento di fatto nei due gradi di merito.

2. Con il secondo motivo la società ricorrente ha dedotto – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 420 c.p.c..

Il motivo ha ad oggetto la statuizione relativa all’aliunde perceptum. La società ha censurato la sentenza nella parte in cui affermava che non era prevista dal codice di rito la reiterazione dell’interrogatorio formale già assunto deducendo la mancata applicazione dell’art. 117 c.p.c., prevedente la possibilità del giudice di disporre la comparizione delle parti per interrogarle liberamente.

Ha inoltre dedotto di non avere possibilità di accesso ai dati fiscali della lavoratrice.

Il motivo è infondato.

Per consolidata giurisprudenza di questa Corte (Cassazione civile sez. lav. 11 marzo 2015 n. 4884,. 29 dicembre 2014 n. 27424, 04 dicembre 2014, n. 25679), cui in questa sede si intende assicurare continuità, il datore di lavoro, onerato a provare l’aliunde perceptum da detrarre dall’ammontare del risarcimento del danno dovuto in base alla L. n. 300 del 1970, art. 18 non può esonerarsi chiedendo al giudice di voler disporre generiche informative o di attivare poteri istruttori con finalità meramente esplorative.

La censura mossa sotto il profilo del mancato esercizio del potere officioso di cui all’art. 117 c.p.c. è inammissibile, in quanto non pertinente ai contenuti della decisione – che si riferisce alla irripetibilità dell’interrogatorio formale (e non dell’interrogatorio libero) – e comunque, infondata, non essendo stato allegato alcun significativo elemento di indagine che avrebbe imposto al giudice del merito un approfondimento attraverso l’esercizio dei poteri officiosi.

Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza.

Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17 (che ha aggiunto il comma 1 quater al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 4.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 29 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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