Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18184 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. lav., 05/07/2019, (ud. 07/02/2019, dep. 05/07/2019), n.18184

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24575-2017 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA

11, presso lo studio dell’avvocato MANLIO ABATI, che lo rappresenta

e difende unitamente all’avvocato VITTORIO PERRIA;

– ricorrente –

contro

SAMOKAY S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 19, presso lo

studio dell’avvocato RICCARDO RAMPIONI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARIA ASSUNTA LUCIANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 213/2017 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 02/08/2017 R.G.N.

230/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/02/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MANLIO ABATI;

udito l’Avvocato MARIA ASSUNTA LUCIANO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con ricorso depositato il 29 settembre 2012 R.M. – premesso di essere stato assunto in data 21/4/2011 dalla Samokay S.r.l. in forza di un contratto a termine avente scadenza il 31/8/2011 – chiedeva all’adito Tribunale di Tempio Pausania di accertare la illegittimità del licenziamento intimatogli il 17/8/2011 per assenza ingiustificata; chiedeva inoltre di essere reintegrato nel posto di lavoro, con le conseguenze di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 previo accertamento che il rapporto doveva ritenersi a tempo indeterminato per nullità del termine ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001.

2. Il Tribunale, disposta la separazione della domanda avente ad oggetto l’accertamento della nullità del termine, dichiarava con ordinanza del 22 gennaio 2016 – confermata con sentenza n. 264/2016 – l’inefficacia del licenziamento, con la condanna della società al pagamento, a titolo risarcitorio, della somma di Euro 499,27 pari alla retribuzione non versata fino alla scadenza naturale del rapporto a tempo determinato.

3. Con altra sentenza (n. 261/2016) il Tribunale dichiarava la nullità del termine apposto al contratto e conseguentemente il permanere del rapporto di lavoro, condannando la società a riammettere in servizio il lavoratore e a corrispondergli l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32 nella misura di 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto.

4. Entrambe le sentenze erano oggetto di impugnazione: la n. 264/2016 di reclamo da parte del lavoratore nonchè di reclamo incidentale; la n. 261/2016 di appello da parte della società.

5. Con sentenza n. 213/2017, depositata il 2 agosto 2017, la Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, riuniti i giudizi: a) rigettava l’impugnazione principale e dichiarava inammissibile l’impugnazione incidentale proposte nei confronti della sentenza n. 264/2016; b) accoglieva, invece, il gravame della società nei confronti della sentenza n. 261/2016, sul rilievo della omessa impugnazione da parte del lavoratore – nel termine stabilito dalla L. n. 604 del 1966, art. 6, comma 2, (come sostituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32) di duecentosettanta giorni decorrenti ex art. 32, comma 1 bis, dal 31 dicembre 2011 della comunicazione in data 19 ottobre 2011, con la quale la datrice di lavoro lo aveva informato dell’intervenuto annullamento del licenziamento, precisando che il rapporto era da intendersi cessato alla sua naturale scadenza del 31 agosto 2011: con la conseguenza di dichiarare inammissibile, in riforma della sentenza n. 261/2016, l’impugnazione così (tardivamente) proposta.

6. Avverso detta sentenza n. 213/2017 proponeva ricorso per cassazione il R., con tre motivi, assistiti da memoria, cui la società resisteva con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve, in primo luogo, essere disatteso il rilievo di improcedibilità del ricorso, formulato in relazione alle pronunce di questa Corte n. 18313/2017 e n. 24422/2017 per non avere il ricorrente provveduto ad estrarre copie cartacee del messaggio di PEC pervenutogli dalla Cancelleria della Corte di appello e attestato con la propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali delle copie analogiche formate, non essendo contestata la data di comunicazione della sentenza, ai fini del rispetto del termine per impugnare, e, pertanto, risolvendosi il rilievo in esame nella deduzione di una mera irregolarità estranea al campo di applicazione dell’art. 369 c.p.c..

2. Con il primo motivo, deducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 436 e 346 c.p.c., il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere accolto l’eccezione di decadenza dall’impugnazione della nullità del termine senza rilevare che tale eccezione era stata già proposta nel reclamo incidentale della società nei confronti della sentenza n. 264/2016, reclamo peraltro dichiarato inammissibile poichè tardivamente proposto; con la conseguenza che, una volta consumato il termine di costituzione entro cui la società avrebbe dovuto riproporre le eccezioni di decadenza, proprio l’autonomia dei giudizi, alla quale la Corte territoriale si era richiamata, avrebbe dovuto indurla a non tenere conto delle identiche eccezioni avanzate nell’atto di appello avverso la sentenza n. 261/2016.

3. Con il secondo, deducendo la violazione e falsa applicazione della L. n. 604 del 1966, art. 6 sia nella formulazione anteriore alla L. n. 183 del 2010, sia in quella posteriore, nonchè la violazione e falsa applicazione della L. n. 10 del 2011, art. 2, comma 54, e degli artt. 11 e 12 disp. gen., il ricorrente si duole che la Corte di appello avesse accolto l’eccezione di decadenza dalla facoltà di esperire l’azione di nullità del termine L. n. 183 del 2010, ex art. 32, comma 3, lett. d) trascurando di considerare che la lettera della società in data 19/10/2011 non costituiva un recesso (ma un atto meramente ricognitivo) e che la tempestiva impugnazione del licenziamento disciplinare aveva già consumato ogni relativo onere a carico del lavoratore; trascurando altresì di valutare che, all’epoca del licenziamento, era ancora in vigore la L. n. 604 del 1966, art. 6 nella sua versione originale e che di conseguenza permaneva il solo onere di impugnativa stragiudiziale.

4. Con il terzo, deducendo la violazione e falsa applicazione di norme di diritto nonchè vizio di motivazione, il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere la Corte di appello, pronunciando la decadenza dall’impugnazione del termine, ritenuto assorbite le doglianze relative al regime di tutela applicabile al licenziamento, regime da individuarsi, alla stregua del ricorso introduttivo, nelle previsioni di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18: con la conseguenza che, non occorrendo ulteriori accertamenti in fatto, anche per non avere la società assolto il proprio onere probatorio con riferimento al requisito dimensionale, bene avrebbe potuto la Corte di cassazione pronunciare nel merito ex art. 384 c.p.c..

5. li primo motivo di ricorso è infondato.

6. Premesso, infatti, che risultano impugnate, con i mezzi previsti per ciascuno dei relativi procedimenti, due diverse sentenze del giudice di primo grado (la n. 261/2016, con la quale il Tribunale ha dichiarato la nullità del termine e pronunciato, sulla base della persistenza del rapporto, la riammissione in servizio del lavoratore e il pagamento a suo favore della indennità risarcitoria L. n. 183 del 2010, ex art. 32; e la n. 264/2016, con cui il Tribunale, come già in esito alla fase sommaria, ha condannato la società al pagamento, a titolo risarcitorio, della retribuzione non corrisposta dal giorno del licenziamento fino al 31/8/2011), si deve rilevare che la Corte si è uniformata al pacifico orientamento, per il quale la riunione di cause connesse lascia sostanzialmente inalterata l’autonomia dei giudizi per tutto quanto concerne la posizione assunta dalle parti in ciascuno di essi, con la conseguenza che gli atti e le statuizioni riferiti ad un processo non si ripercuotono nell’ambito dell’altro processo solo perchè questo sia stato riunito al primo (cfr., fra le molte conformi, Cass. n. 19652/2004).

7. Ne segue che correttamente la Corte ha proceduto ad esaminare il motivo di gravame concernente la decadenza dall’azione di nullità del termine, oggetto della impugnazione proposta nei confronti della sentenza n. 261/2016, essendo inidonea a riflettersi sulla necessità di tale accertamento la rilevata e dichiarata inammissibilità del reclamo svolto in via incidentale nei confronti della sentenza n. 264/2016.

8. Parimenti infondato è il secondo motivo.

9. La L. n. 604 del 1966, art. 6 così come sostituito dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 stabilisce, al comma 1, che “il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso”; stabilisce inoltre, al comma successivo, che “l’impugnazione è inefficace se non è seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte ella richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato”.

10. L’art. 32 prevede poi che le disposizioni di cui alla L. n. 604 del 1966, art. 6 quale risultante dalle modifiche anzidette, si applichino anche, fra altre ipotesi: “… d) all’azione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, artt. 1, 2 e 4 con termine decorrente dalla scadenza del medesimo” (comma 3).

11. Con la L. n. 10 del 2011, art. 2, comma 54, è stato infine inserito, nel testo dell’art. 32, il comma 1 bis e, con esso, la previsione che “in sede di prima applicazione, le disposizioni di cui alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 6, comma 1, come modificato dal comma 1 del presente articolo, relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, acquistano efficacia a decorrere dal 31 dicembre 2011”.

12. In tale quadro normativo è stato precisato che “la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 1 bis, introdotto dal D.L. n. 225 del 2010, conv. con modif. dalla L. n. 10 del 2011, ratione temporis operante, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui alla L. n. 604 del 1966, novellato art. 6 e, dunque, non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa, prevista dallo stesso art. 6, comma 2, anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato” (cfr., fra altre, Cass. n. 23865/2016).

13. Di tale principio ha fatto applicazione la sentenza impugnata, là ove ha rilevato che il lavoratore non aveva impugnato in via stragiudiziale, ex art. 32, comma 3, lett. d), la comunicazione del 19/10/2011, con la quale era stata ribadita la cessazione del rapporto, per sua naturale scadenza, al 31 agosto 2011, data del termine apposto al contratto; ma aveva proposto il solo ricorso giurisdizionale e peraltro, depositando il relativo atto il 29 settembre 2012, oltre il previsto termine di duecentosettanta giorni decorrenti dal 31 dicembre 2011.

14. Nè può ritenersi che con la (tempestiva) impugnazione del licenziamento disciplinare, a mezzo lettera raccomandata del 12/9/2011, il ricorrente avesse consumato ogni onere relativo, così da rendere irrilevante la comunicazione successiva del 19/10/2011, avendo egli dedotto, fin dal ricorso introduttivo, e in seguito ribadito in tutte le fasi in cui si è sviluppata la vicenda processuale, la nullità del termine di durata apposto al contratto, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1 ss. e per l’effetto richiesto, previa conversione del rapporto, l’applicazione della tutela prevista dalla disciplina all’epoca vigente.

15. E’ consequenziale alle considerazioni che precedono l’assorbimento del terzo motivo.

16. In conclusione, il ricorso deve essere respinto, con la condanna del R. alle spese del presente giudizio, come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 7 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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