Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18181 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 24/06/2021), n.18181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

C.A.G., elettivamente domiciliato a Roma, presso la

Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e

difesa, per procura a margine del ricorso dall’Avv. Giovanni Iodice.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentata e difesa.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 10288/5/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania-Sezione staccata di Salerno,

depositata il 26 novembre 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 aprile 2021 dal relatore Consigliere Dott.ssa Crucitti Roberta.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.A.G. impugnò l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF, per l’anno d’imposta 2009, redditi non dichiarati, sulla base di un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che ascriveva alla contribuente (e al coniuge Ca.Da., quale cointestatario del medesimo conto corrente) disponibilità finanziarie presso la filiale ginevrina della banca HSBC – risultanti da una scheda di sintesi denominata “fiche” recante il profilo del cliente ed i suoi dati personali, tratta dalla c.d. “lista Falciani” – per le quali ella aveva omesso di compilare il quadro RW della dichiarazione dei redditi;

La Commissione tributaria provinciale di Avellino accolse il ricorso, annullando l’atto impositivo e la decisione, appellata dall’Agenzia delle entrate e incidentalmente,, sul capo relativo alla disposta compensazione delle spese, dalla contribuente, è stata integralmente riformata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Campania (sezione di Salerno).

La C.T.R. ha argomentato la decisione rilevando che, ai fini dell’accertamento dei redditi non dichiarati, fossero utilizzabili i documenti acquisiti dall’Amministrazione finanziaria legittimamente dall’Autorità francese mentre, di contro, la contribuente, in sede di verifica da parte della Guardia di finanza, non aveva offerto alcuna giustificazione credibile che potesse escludere la titolarità della scheda di sintesi individuale (fiche) allegata al p.v.c., omettendo di fornire giustificazioni in merito alle disponibilità detenute all’estero. Il Giudice di appello riteneva, inoltre, legittimo l’avviso di accertamento, benchè allo stesso non fosse stato allegato il processo verbale di constatazione in quanto questo ultimo atto era ben conosciuto dalla contribuente e, infine, inammissibile, in quanto privo di interesse, il motivo di appello riguardante la disposta compensazione delle spese

Avverso la sentenza C.A.G. ricorre per cassazione, con tre motivi, cui resiste, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c., alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità della quale la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.con il primo motivo- rubricato: Violazione dell’art. 240 c.p.p., violazione della Dir. 77/799/CE, violazione della Convenzione 5/10/1989, violazione del D.L. n. 259 del 2006 convertito, con modifiche, nella L. n. 281 del 2006, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, violazione del D.Lgs. n. 545 del 1992, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, violazione della L. n. 212 del 2000 Statuto del contribuente, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., violazione degli artt. 2723,2727,2728,2729 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere tenuto conto dei principi, espressi da alcuni giudici tributari di merito e dal giudice penale (che aveva archiviato il procedimento a carico della contribuente per i medesimi fatti che avevano condotto all’accertamento fiscale) circa l’inutilizzabilità di documenti illegittimamente raccolti, come la c.d. “lista Falciani”, ragion per cui essi non possono essere utilizzati per soddisfare l’interesse alla riscossione dei tributi di rango. Secondo la prospettazione difensiva, inoltre, aveva errato nel ritenere che la documentazione in atti comprovasse le “cospicue disponibilità” finanziarie della ricorrente laddove, al contrario, tale documentazione, oltre a essere inutilizzabile, non poteva, per le sue caratteristiche fisiche intrinseche, essere considerata documentazione bancaria originale nè tanto meno riferibile alla contribuente e nel non avere, in alcun modo, valutato le risultanze del procedimento penale.

2. Con il secondo motivo di ricorso -rubricato: Violazione dell’art. 111 Cost.; violazione degli artt. 1, 12 delle Disposizioni sulla legge in generale; violazione della L. n. 212 del 2000 – Statuto del contribuente; violazione degli artt. 113,115 e 116 c.p.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 -, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere tenuto conto dei principi del giusto processo e del fatto che i documenti illegittimamente raccolti, coma la c.d. “lista Falciani” debbono essere secretati e distrutti, ragion per cui essi non possono essere utilizzati per soddisfare l’interesse alla riscossione dei tributi di rango subordinato rispetto ai diritti fondamentali del cittadino (tutela del domicilio, della corrispondenza, etc.) che pongono un limite alle indagini fiscali.

3. Con il terzo motivo -rubricato: Violazione della Dir. 77/799/CE, violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, violazione del D.Lgs. n. 545 del 1992, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, violazione della L. n. 212 del 2000 – Statuto del contribuente, violazione della L. n. 241 del 1990, violazione degli artt. 113 e 116 c.p.c., violazione degli artt. 2727,2728,2729 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5″), il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto legittimo l’avviso di accertamento benchè motivato soltanto per relationem al processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di finanza, non allegato, ed altri elementi informativi genericamente indicati.

4. Tale ultimo motivo, da trattarsi per primo per la priorità logica giuridica delle questioni sollevate, è inammissibile, per inosservanza del principio d’autosufficienza, a causa del mancato assolvimento dell’onere di trascrivere, nel ricorso per cassazione, sia pure sinteticamente, nelle sue parti essenziali, ovvero di localizzare o altrimenti allegare, l’atto impositivo del quale si assume un deficit argomentativo.

Per altro verso, la censura -priva, comunque, di fondamento alla stregua del radicato indirizzo giurisprudenziale (Cass. 21/11/2018, n. 30039, cui dà continuità Cass. n. 6154/2021, cit.), per il quale “L’avviso di accertamento soddisfa l’obbligo di motivazione quando pone il contribuente nella condizione di conoscere esattamente la pretesa impositiva, individuata nel “petitum” e nella “causa petendi”, mediante una fedele e chiara ricostruzione degli elementi costitutivi dell’obbligazione tributaria, anche quanto agli elementi di fatto ed istruttori posti a fondamento dell’atto impositivo, in ragione della necessaria trasparenza dell’attività della Pubblica Amministrazione, in vista di un immediato controllo della stessa” – non attinge l’effettiva ratio decidendi sulla quale è fondata la sentenza impugnata, in linea con Cass. 10/07/2020, n. 14723: “In tema di avviso di accertamento, l’onere di allegazione di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 7 è limitato ai documenti non conosciuti nè ricevuti dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo al fine di evitare il pregiudizio del diritto di difesa di quest’ultimo.”) Nel caso in esame, infatti, la C.T.R., con una valutazione di fatto ad essa riservata, ha ritenuto inconsistente la denuncia di lesione del diritto di difesa del contribuente, il quale, testualmente (cfr. pag. 5 della sentenza impugnata) ha dato prova della piena conoscenza del p.v.c. quando riporta, a supporto della propria censura, estratti dello stesso pvc, come fa a pag. 13 del ricorso in primo grado.

5. Il primo e il secondo motivo, che pongono le medesime questioni di diritto e, perciò, possono essere esaminati insieme, nella loro complessa articolazione sono infondati.

5.1. Sul tema della c.d. “lista Falciani”, dalla quale è stata tratta la contestata “fiche”, attraverso la fitta trama delle pronunce di legittimità (ex aliis: Cass. 21/12/2018, n. 33223; 14/11/2019, n. 29632;28/11/2019, n. 31085; 29/11/2019, n. 31243; 05/12/2019, n. 31779; 19/12/2019, n. 33893; 25/02/2020, n. 4984; 05/03/2021, n. 6154), è possibile riprendere il filo dei principi di diritto, meticolosamente elaborati in questi anni, fin dalle ordinanze “gemelle” nn. 8605 e 8606 del 28/04/2015, secondo cui:

-in linea generale, il diritto interno, sia in materia di imposte dirette sia in materia di imposta sul valore aggiunto, consente l’acquisizione nel corso dell’accertamento fiscale e, successivamente, nel processo tributario, di elementi comunque acquisiti e, dunque, di prove atipiche, o di dati ottenuti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni tipici della prova per presunzioni; la prova per presunzioni può, pertanto, essere costituita anche da acquisizioni provenienti da una autorità straniera nell’àmbito di direttive comunitarie o di accordi bilaterali;

– nella fattispecie concreta, la fonte è costituita dalla Direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte; come ha chiarito la Corte di giustizia – Corte Giust., Grande Sezione, 22 ottobre 2013, causa C-276/12 – la Direttiva 77/799 non tratta del diritto del contribuente di contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima, dato che spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme. Ne discende che il contribuente può contestare le informazioni che lo riguardano trasmesse all’Amministrazione fiscale dello Stato membro richiedente secondo le norme e le procedure applicabili nello Stato membro interessato e spetta al giudice nazionale stabilire il valore probatorio che deve essere riconosciuto, nel caso specifico, all’informazione comunicata da uno Stato membro in base alla Direttiva 77/799;

– sebbene i dati costituenti il frutto di cooperazione informativa intracomunitaria restino contestabili dal contribuente, il quale può, dunque, mettere in discussione, nell’àmbito di un procedimento tributario nazionale, la correttezza delle informazioni fornite da altri Stati membri ai sensi dell’art. 2 della Direttiva 77/799, e seppure si debba negare che la mera acquisizione di informazioni mediante lo strumento di cooperazione comunitaria abbia la capacità di “purgare” gli elementi acquisiti da eventuali illegittimità o vizi per la sola derivazione da autorità estere, deve parimenti escludersi l’inutilizzabilità degli elementi trasmessi dall’autorità fiscale francese in ragione della loro provenienza illecita, ossia dal trafugamento dei dati bancari da parte di un ex dipendente della banca svizzera HSBC, H.F.;

-si è, anche, chiarito (v.Cass.n. 8605/15) che “la giurisprudenza di questa Corte è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio – sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari (D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, successivamente confermato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20), ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale” (Cass. nn. 22984, 22985 e 22986 del 12/11/2010; n. 13121 del 25/7/2012). Si riconosce quindi, generalmente, che “…non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sè, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.) – cfr. Cass. n. 24923 del 2011 -. Tale prospettiva si collega al principio per cui nell’ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 191 c.p.p., a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate””;

-per le ragioni che precedono non può ritenersi illegittima l’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale interna su impulso di quella francese, in forza della Direttiva 77/799, tenuto conto che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma ci sono solo interessi patrimoniali ed istituzioni economiche. Al riguardo questa Sezione tributaria (Cass. n. 33893/2019, cit.) ha riconosciuto il valore indiziario della c.d. “lista Falciani” e la sua utilizzabilità, anche se acquisita in modo irrituale, non venendo in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rangocostituzionale, dei quali, in fattispecie analoghe, s’è ritenuta l’insussistenza (sul punto, nella detta ordinanza, sempre in relazione alla documentazione bancaria ottenuta dall’autorità italiana nel quadro degli strumenti di cooperazione comunitaria, si menzionano: “Cass. sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16950, in tema di c.d. “lista Vaduz” e n. 16951, in pari data, ancora riguardo alla c.d. “lista Falciani”; Cass. sez. 5, 26 agosto 2015, n. 17183, con riferimento alla c.d. “lista Pessina”; la già citata Cass. n. 33223/18, in tema di “lista Falciani””);

-neppure potrebbe farsi discendere l’inutilizzabilità degli elementi desunti dalla c.d. “lista Falciani” dalla condotta illecita a monte dell’azione dell’ufficio fiscale francese, essendo essa riferibile personalmente al solo H.F.. Sotto questo profilo le (menzionate) ordinanze “gemelle” nn. 8605 e 8606/2015 hanno precisato che “l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v. art. 7 c.p. rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero) -e comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi – v. sul punto, la pronunzia della Cassazione penale francese del novembre 2013 (Cour de Cassation criminelle, 27.11.2013, ric. 13-85042) che ha espressamente riconoscfluto l’utilizzazione -addirittura in àmbito penale – della “lista Falciani” sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubblica.”;

-si è altresì stabilito (Cass. 19/08/2015, n. 1695) che “In tema di accertamento tributario, l’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto dell’evasione fiscale, può avvalersi di ogni elemento di valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda dalla legge tributaria o dalla violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili, anche nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari, ottenuti mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, dal dipendente di una banca residente all’estero, il quale li abbia acquisiti trasgredendo i doveri di fedeltà verso il datore di lavoro e di riservatezza, privi di copertura costituzionale e tutela legale nei confronti del fisco italiano.”;

-con specifico riferimento all’asserita violazione, da parte della C.T.R., delle norme sulle presunzioni (artt. 2727,2728, c.c., D.L. n. 78 del 2009, art. 12), di cui all’unico motivo del ricorso, questa Corte (Cass. n. 33893/2019, cit.,) è giunta alla conclusione che “In tema di accertamento tributario, sebbene la presunzione di evasione sancita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non sia suscettibile di essere applicata retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (prevista dal 1 luglio 2009), stante la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni, l’ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) “sub specie” di presunzione semplice.”;

questa Corte (Cass. 26/08/2015, n. 17183) ha affermato che, al fine di apprezzare la corretta applicazione dell’art. 2729 c.c., anche successivamente alla modifica del vizio di motivazione nel giudizio di cassazione, occorre verificare che il giudice di merito abbia valutato i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza di tutti gli elementi offerti in giudizio attraverso un esame non parcellizzato, posto che la scorretta valutazione degli elementi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità, anche in esito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 9760/2015, in tema di “lista Falciani”; conf.: Sez. U. 8054/2014 e Cass. 19894/2005). Compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729, c.c., oltre ad essere applicata a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 17535/2008). Inoltre, se è sicuramente devoluta al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729, c.c., per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’invocato art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 9760/2015 e 19894/2005). Le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza solo ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità (Cass. 6220/2005). A tal fine, il giudice di merito non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è giunto al finale giudizio. Il procedimento che si deve necessariamente seguire in tema di prova per presunzioni, per non incorrere in vizi di legittimità della decisione (Cass. 13819/2003), si articola in due momenti valutativi: (i) prima, occorre che il giudice esamini ognuno degli elementi indiziari per eliminare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; (ii) successivamente, occorre che egli proceda a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati e accerti se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova logicamente valida, in rapporto di vicendevole completamento (Cass. 9108/2012) e secondo crismi di ragionevole probabilità e non necessariamente di certezza (Cass. 4306/2010).

5.2. Così composto il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, tornando all’esame dei motivi di ricorso, il giudice d’appello bene ha fatto ad affermare l’utilizzabilità e il valore indiziario della “fiche” tratta dalla c.d. “lista Falciani”, in punto di giacenza presso la banca elvetica di capitali non dichiarati dal contribuente, per poi concludere, nel pieno rispetto delle regole di un ragionamento presuntivo, che le somme depositate presso l’istituto di credito ginevrino erano redditi della ricorrente sottratti a tassazione, anche in considerazione del fatto che l’interessata nè in fase amministrativa nè in fase contenziosa aveva fornito giustificazioni circa le disponibilità finanziarie detenute sul conto corrente svizzero.

5.3 Infine, sono inammissibili, le doglianze, articolate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Al ricorso, invero, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 26 novembre 2014, si applica il nuovo disposto della norma invocata che, secondo l’interpretazione delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza del 7.4.2014 n. 8053), “introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”. Nel caso in esame, in seno ai due motivi di ricorso, non viene indicato nessun fatto storico il cui esame sia stato omesso dalla Commissione tributaria d’appello. Anche a voler considerare “fatto” nell’accezione rilevante di cui al citato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la valutazione di provvedimenti giudiziari penali che hanno interessato la contribuente, la censura rimane inammissibile per la radicale genericità della relativa prospettazione.

6. In conclusione, alla stregua delle complessive considerazioni che precedono, il ricorso va rigettato.

7. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e vanno liquidate, sulla base dell’attività difensiva spiegata e del valore della controversia.

PQM

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali liquidate in complessivi Euro 3.800,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

 

 

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