Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18179 del 24/07/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 24/07/2017, (ud. 15/02/2017, dep.24/07/2017),  n. 18179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8945-2015 proposto da:

R.U., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato SIMONE CICCOTTI,

che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MORRICO

ENZO, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6972/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 30/09/2014 r.g.n. 2362/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/02/2017 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SIMONE CICCOTTI;

udito l’Avvocato CAMILLA NANNETTI per delega verbale Avvocato ENZO

MORRICO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 6972/2014, depositata il 30 settembre 2014, la Corte di appello di Roma respingeva il gravame di R.U. e confermava la sentenza del Tribunale di Roma che aveva dichiarato inammissibile la domanda diretta all’accertamento del carattere discriminatorio e ritorsivo del licenziamento intimato al ricorrente da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. con lettera del 24/10/2005, stante l’intervenuta formazione di giudicato sulla illegittimità, per difetto di giustificazione, del medesimo recesso.

1.1. Premesso che la società aveva espressamente e ritualmente formulato nel giudizio di primo grado eccezione di giudicato, la Corte osservava che vizi diversi del negozio solutorio non dedotti ma deducibili nel ricorso per impugnazione di un licenziamento – non possono essere poi proposti con successiva iniziativa giudiziaria.

2. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il lavoratore con unico, articolato motivo; la società ha resistito con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo proposto il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., artt. 24 e 111 Cost., artt. 104,152 e 324 c.p.c., censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte ha escluso la proponibilità, con altra e successiva iniziativa giudiziaria, di vizi diversi del licenziamento non dedotti (ma deducibili) con il ricorso per impugnazione, ciò implicando l’affermazione di una decadenza non prevista da alcuna norma di legge o di contratto e contrastante sia con il diritto di azione, sia con la mera facoltà (e non l’obbligo) della parte di proporre nel medesimo processo una pluralità di domande contro lo stesso convenuto; nè, ad avviso del ricorrente, poteva avere rilievo, ai fini di una diversa conclusione, il precedente di legittimità richiamato nella sentenza (Cass. n. 21032/2006), nella specie ponendosi la questione non dell’ammissibilità di una successiva impugnazione per ragioni formali di un licenziamento già (definitivamente) oggetto di accertamento nella sua validità sostanziale ma della proposizione in via autonoma di una domanda volta all’accertamento di un ulteriore vizio dell’atto negoziale impugnato: accertamento non in conflitto con la precedente statuizione, in quanto avente oggetto diverso (licenziamento ritorsivo e discriminatorio) e tale da non comportare la negazione dei precedenti logici e giuridici della prima pronuncia (recesso datoriale in assenza di giusta causa).

2. Il ricorso deve essere respinto.

3. Il giudice di merito ha fatto, invero, esatta applicazione del consolidato principio, per il quale il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, e cioè il principio, per il quale il risultato di un processo, che si sia concluso con sentenza passata in giudicato, non può essere ulteriormente posto in discussione, in altro e successivo giudizio, mediante ragioni o argomentazioni che in quel medesimo processo l’interessato avrebbe potuto far valere.

3.1. D’altra parte, non può ritenersi, in sede di verifica dell’estensione oggettiva del giudicato, che la domanda svolta nel successivo giudizio rivesta i tratti di una domanda nuova rispetto alla prima.

Al riguardo, è anzitutto da rilevare, oltre all’identità dei soggetti, il fatto che tanto nel primo, come nel secondo (e inammissibile) giudizio, il lavoratore ha richiesto nei confronti della controparte RFI il medesimo bene della vita, e cioè l’applicazione della tutela reale L. n. 300 del 1970, ed art. 18 in dipendenza della nullità del recesso (oggetto di esplicita domanda sia nell’uno che nell’altro giudizio, sia pure, nel secondo, in relazione alla dedotta natura discriminatoria e ritorsiva del provvedimento datoriale).

A proposito, poi, della determinazione della causa petendi e del giudizio di identità o diversità di essa rispetto ad altra già fatta valere in giudizio, si osserva come non rilevi la fattispecie legale astratta, dedotta dall’attore a fondamento della pretesa esercitata, posto che il fatto costitutivo, che funge da elemento identificatore della domanda, non è l’accadimento storico nella sua rilevanza normativa, vale a dire qualificato giuridicamente come integrativo di una determinata volontà espressa dal legislatore al ricorrere di determinati presupposti, ma il fatto materiale, considerato nella sua esclusiva struttura storica e cioè come definito dalle concrete circostanze di tempo e di luogo in cui si è svolto.

In conseguenza, il mutamento del titolo giuridico prospettato (la nullità del recesso in quanto discriminatorio e ritorsivo, in luogo della sua illegittimità, in quanto non sostenuto da adeguata giustificazione) non viene a incidere sulla individualità dell’azione, ove resti non modificato il fatto storico che funge da ragione giustificatrice della domanda (e cioè, nella specie, il recesso datoriale estintivo del rapporto di lavoro).

3.2. Ne consegue che il passaggio in giudicato della sentenza che, come nella specie, accerti la illegittimità del licenziamento, perchè privo di giustificazione, preclude la proposizione della domanda intesa ad ottenere la declaratoria di nullità del medesimo licenziamento, sotto il profilo del suo carattere discriminatorio e ritorsivo.

4. Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2017

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