Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18179 del 16/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 16/09/2016, (ud. 14/06/2016, dep. 16/09/2016), n.18179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7947/2015 R.G. proposto da:

C.S.C. – c.f. (OMISSIS) – rappresentata e difesa

congiuntamente e disgiuntamente giusta procura speciale a margine

del ricorso dall’avvocato Enzo Daniele Ranno e dall’avvocato Silvio

Motta ed elettivamente domiciliata in Roma, alla via Stoppani, n. 1,

presso lo studio dell’avvocato Carmelo Barreca;

– ricorrente –

contro

Z.E. – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata

in Roma, alla via Del Casale Strozzi, n. 31, presso lo studio

dell’avvocato Giuliano Siniscalchi, che la rappresenta e difende

giusta procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Catania n. 1499 dei

10/11.11.2014,

Udita la relazione all’udienza in Camera di consiglio del 14 giugno

2016 del Consigliere Dott. Luigi Abete;

Letta la relazione ex art. 380 bis c.p.c., comma 1, del Dott. Luigi

Abete.

Fatto

RILEVA IN FATTO

Con atto notificato il 7.2.2002 Z.E., proprietaria di un immobile in (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al tribunale di Catania C.S.C., proprietaria dell’immobile confinante.

Deduceva che la convenuta aveva trasformato la preesistente veranda in struttura precaria in un solaio calpestabile da adibire a terrazza; che il nuovo manufatto era posizionato a distanza dal confine inferiore a quella legale e dava vita ad una servitù di veduta e di affaccio ai danni della proprietà di ella attrice.

Chiedeva che la convenuta fosse condannata al ripristino dello status guo ante. Costituitasi, C.S.C. instava per il rigetto dell’avversa domanda; deduceva in particolare che trattavasi di ristrutturazione – manutenzione della struttura preesistente.

Disposta ed espletata consulenza tecnica d’ufficio, disposta ed espletata una seconda c.t.u., con sentenza dei 19/25.9.2008 il giudice adito rigettava la domanda.

Interponeva appello Z.E..

Resisteva C.S.C..

Disposta ed espletata nuova consulenza tecnica, la corte d’appello di Catania con sentenza n. 1499 dei 10/11.11.2014 accoglieva il gravame e condannava l’appellata a rimuovere la struttura “meglio descritta nella c.t.u. di primo grado alla pagina 5” (così sentenza d’appello, pag. 4); condannava altresì l’appellata alle spese del doppio grado.

Premetteva la corte di merito che lo strumento urbanistico locale, per la zona in questione, prevedeva “una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate; tra pareti cieche metri 6 o in aderenza; una distanza minima dal confine pari alla metà di quella minima prevista tra i fabbricati” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Indi esplicitava che “la costruzione sul confine potrebbe essere ammessa solo se realizzata dal preveniente, ove non esistesse altra costruzione frontistante” (così sentenza d’appello, pag. 3); che, tuttavia, tale ipotesi non si configurava nel caso di specie, poichè si era al cospetto di costruzione realizzata ex novo, “quando già dal lato opposto esisteva altra costruzione del vicino” (così sentenza d’appello, pag. 3); che, al contempo, neppure si configurava l’ipotesi della costruzione in aderenza, giacchè alla stregua degli esiti degli accertamenti espletati dal c.t.u. nominato in seconde cure, non si era riscontrata l’esistenza di una parete cieca; che, più esattamente, “dal lato del confine di essa appellante esiste, per un tratto, una veranda in alluminio con pareti scorrevoli (non qualificabile fabbricato a parete cieca) e, per altro tratto, il muretto divisorio e il giardino” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Esplicitava dunque che aveva errato il primo giudice allorchè aveva reputato che si era al cospetto di una “costruzione in aderenza a parete cieca” (così sentenza d’appello, pag. 3) ed allorchè aveva disconosciuto la novità del manufatto, giacchè il c.t.u. aveva chiarito “che trattasi di struttura di più ampie dimensioni rispetto alla precedente veranda precaria, superandola in altezza” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso C.S.C.; ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

Z.E. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (così ricorso, pag. 8).

Adduce che la corte di merito ha erroneamente considerato nuovo il preesistente manufatto di ella ricorrente; che, segnatamente, si tratta di “un edificio costruito nei limiti del preesistente (…), che nessun tecnico incaricato nei precedenti gradi di giudizio, in seno alle relazioni depositate in atti ha mai descritto una nuova costruzione, nè aperture a finestre sulla linea di confine tra le due proprietà” (così ricorso, pag. 10); che i lavori da ella eseguiti “sono stati volti a mettere in sicurezza la preesistente struttura precaria, non avendo avuto come scopo alcun genere di ampliamento” (così ricorso, pagg. 12 – 13).

Adduce al contempo che non vi è stata violazione alcuna delle norme in tema di distanze legali, “atteso che la riscontrata natura di parete cieca posta al confine tra le due proprietà ha consentito (…) di realizzare e rinforzare il manufatto, già esistente (…), in aderenza al muro di confine” (così ricorso, pag. 10).

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e/o falsa applicazione degli artt. 873 c.c. e segg., nonchè dell’art. 28, punto 2 – zona B del regolamento urbanistico del comune di Gravina di Catania.

Adduce che “nella planimetria allegata alla consulenza tecnica e resa in secondo grado (…), la parete di confine (…) è posta sul lato nord – ovest e non presenta alcun genere di apertura (è pertanto cieca (…)); al contrario, la Corte prende in considerazione la parete situata sul versante sud – est, la quale non coincide con quella confinante fra le due proprietà” (così ricorso, pagg. 13 – 14); che la corte territoriale ha errato una seconda volta, allorquando ha qualificato il manufatto da ella realizzato nuova costruzione e “non ha applicato il principio della prevenzione temporale” (così ricorso, pag. 14).

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto respinto.

Entrambi i motivi comunque sono strettamente connessi; il che ne giustifica la disamina congiunta.

Si rappresenta innanzitutto che pur il secondo motivo si specifica e si qualifica in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Occorre tener conto, da un lato, che la ricorrente censura sostanzialmente il giudizio di fatto cui la corte distrettuale ha atteso (“chiaro ed evidente l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello, la quale non individuando correttamente la parete de qua, (…)”: così ricorso, pag. 14; “il Collegio Giudicante avrebbe dovuto qualificare il muro di confine come cieco (…)”: così ricorso, pag. 14; “la Corte, ritenendo erroneamente l’opera di nuova costruzione (…)”: così ricorso, pag. 14).

Occorre tener conto, dall’altro, che è propriamente il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054; cfr. Cass. 11.8.2004, n. 15499, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione).

Si rappresenta altresì che, in ossequio al canone di cosiddetta “autosufficienza” del ricorso per cassazione (cfr. Cass. sez. lav. 4.3.2014, n. 4980), quale positivamente sancito all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), ben avrebbe dovuto la ricorrente, onde consentire a questa Corte il compiuto riscontro, il compiuto vaglio dei suoi assunti, riprodurre più o meno integralmente nel corpo del ricorso il testo delle relazioni di consulenza tecnica d’ufficio, segnatamente il testo della relazione a firma del geom. T.A..

E ciò tanto più chè la controricorrente ha categoricamente puntualizzato che “artatamente controparte confonde lo stato dei luoghi, in quanto adiacente la costruzione della C. (…) non vi è una parete cieca, ma permane nella proprietà Z. una struttura precaria con ante e vetri scorrevoli e la copertura a falda inclinata (vedasi la C.T.U. 2^ grado, pag. 3)” (così controricorso, pag. 3); che “con la C.T.U. di 2^ grado (…) fu esclusa (pag. 3) la presenza di corpo di fabbrica alcuno nella proprietà Z.” (così controricorso, pag. 4); che “non può essere controverso sulla base delle risultanze istruttorie in atti – pag. 5 C.T.U. 1^ grado; pag. 3 C.T.U. 2^ grado, del geom. T. A. – che in aderenza al confine, sul lato Z., non esiste una parete cieca, ma è provato ed accertato che si ha soltanto ed esclusivamente una semplice struttura precaria in profilati di alluminio anodizzato, con vetri ed ante scorrevoli, che non può considerarsi fabbricato a parete cieca” (così controricorso, pag. 6).

Si rappresenta al contempo che del tutto ingiustificata si prospetta la deduzione della ricorrente secondo cui la corte d’appello avrebbe omesso la valutazione del materiale probatorio esistente ed, in particolare, della planimetria, da cui “si evince chiaramente che la parete cieca, coincidente con il muro di confine fra le due proprietà è posta a nord – ovest, mentre la veranda in alluminio con pareti scorrevoli in realtà è situata a sud – est” (così ricorso, pag. 12).

Tanto, propriamente, al cospetto del rilievo della controricorrente a tenor del quale “in 2^ grado, a parte una stringata difesa in sede costitutiva, la difesa Cardi è rimasta totalmente assente, non prestandosi censura alcuna alla C.T.U. di 2^ grado, nè all’ordinanza istruttoria della Corte di Appello” (così controricorso, pag. 4).

Si rappresenta comunque che l’iter motivazionale che sorregge il dictum della corte di merito risulta in toto ineccepibile sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente esaustivo e coerente sul piano logico-formale.

In particolare si evidenzia, per un verso, che, ai fini dell’osservanza della norma generale sulle distanze di cui all’art. 873 c.c., la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi opera non completamente interrata avente i requisiti della solidità, della immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso con una preesistente fabbrica, e ciò indipendentemente dal livello di posa e di elevazione, dai caratteri del suo sviluppo aereo, dall’uniformità e continuità della massa e dal materiale impiegato per la sua realizzazione (cfr. Cass. 5.11.1990, n. 10608); per altro verso, che costituisce nuova costruzione qualsiasi modifica della volumetria di un fabbricato, derivante sia dall’aumento della sagoma di ingombro, sia da qualsiasi sopraelevazione, ancorchè di dimensioni ridotte (cfr. Cass. 5.7.2000, n. 8954; cfr. Cass. sez. un. (ord) 19.10.2011, n. 21578, secondo cui in presenza di aumenti della volumetria si verte in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima); per altro verso ancora, che la corte etnea ha debitamente richiamato gli esiti della seconda c.t.u. e, quindi, ha posto in risalto che “trattasi di struttura di più ampie dimensioni rispetto alla precedente veranda precaria, superandola in altezza” (così sentenza d’appello, pag. 3).

Si rappresenta in ogni caso ed a rigore che con ambedue i motivi addotti la ricorrente null’altro prospetta se non un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti (“l’errore in cui è incorsa la Corte d’Appello, generato dal non aver attenzionato le risultanze processuali e tecniche emerse nel precedente grado di giudizio e nell’avere preso un palese abbaglio da quanto riferito dal C.T.U. in secondo grado”: così ricorso, pag. 11; “dall’errore di valutazione commesso dalla Corte discende (…)”: così ricorso, pag. 14).

I motivi dunque involgono gli aspetti del giudizio – interni al discrezionale ambito di valutazione degli elementi di prova e di apprezzamento dei fatti – afferenti al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di siffatto convincimento rilevanti nel segno dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

I motivi de quibus pertanto si risolvono in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

Si rappresenta ancora che la motivazione è inappuntabile tanto più nel segno dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte di legittimità (il riferimento è a Cass. sez. un. 7.4.2014, n. 8053), secondo cui la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), c.p.c. (disposta dal D.Lgs. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione) deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, sicchè, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; e secondo cui, propriamente, tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Si rappresenta da ultimo che la ricorrente non ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2 e, dunque, nulla ha controdedotto alla relazione predisposta a norma dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1.

In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare alla controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità.

La liquidazione segue come da dispositivo.

Si dà atto che il ricorso è stato notificato in data 19.3.2015.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (comma 1 quater introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, a decorrere dall’1.1.2013), si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, C.S.C., a rimborsare alla controricorrente, Z.E., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nel complesso in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, I.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016

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