Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18177 del 24/06/2021

Cassazione civile sez. trib., 24/06/2021, (ud. 28/04/2021, dep. 24/06/2021), n.18177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 preso gli

Uffici dell’Avvocatura Generale di Stato dalla quale è

rappresentata e difesa.

– ricorrente –

contro

C.A.G., elettivamente domiciliata a Roma, presso la

Cancelleria della Corte Suprema di Cassazione, rappresentata e

difesa, per procura a margine del controricorso dall’Avv. Giovanni

Iodice.

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 5929/12/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania-Sezione staccata di Salerno,

depositata il 13 giugno 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28 aprile 2021 dal relatore Consigliere Dott.ssa Crucitti Roberta.

 

Fatto

RILEVATO

che:

C.A.G. impugnò l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione IRPEF, per l’anno d’imposta 2008, redditi non dichiarati, sulla base di un processo verbale di constatazione della Guardia di finanza che ascriveva alla contribuente (e al coniuge Ca.Da., quale cointestatario del medesimo conto corrente) disponibilità finanziarie presso la filiale ginevrina della banca HSBC – risultanti da una scheda di sintesi denominata “fiche” recante il profilo del cliente ed i suoi dati personali, tratta dalla c.d. “lista Falciani” – per le quali ella aveva omesso di compilare il quadro RW della dichiarazione dei redditi;

La Commissione tributaria provinciale di Avellino accolse il ricorso, annullando l’atto impositivo e la decisione -appellata dall’Agenzia delle entrate e incidentalmente, sul capo relativo alla disposta compensazione delle spese, dalla contribuente- è stata confermata, con la sentenza indicata in epigrafe, dalla Commissione tributaria regionale della Campania (sezione di Salerno).

La C.T.R. ha argomentato la decisione rilevando che malgrado, ai fini dell’accertamento dei redditi non dichiarati, fossero utilizzabili i documenti acquisiti dall’Amministrazione finanziaria, la scheda clienti tratta dalla c.d. “lista Falciani”, tuttavia, per i suoi limiti intrinseci di autenticità e provenienza, poteva costituire soltanto un principio di prova per avviare ulteriori approfondimenti investigativi, nella specie mancanti, con la conseguenza che ciò non consentiva di ritenere dimostrato l’accertato ricarico reddituale, stante l’assunto argomentativo incompleto, parziale e presuntivo su cui esso si basa.

Avverso la sentenza l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione, con unico motivo, cui resiste, con controricorso, la contribuente.

Il ricorso è stato avviato, ai sensi dell’art. 380 bis-1 c.p.c., alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità della quale il P.G. ha depositato requisitoria, concludendo per l’accoglimento del ricorso, e la controricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.con l’unico motivo di ricorso – rubricato: Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, e del D.L. n. 78 del 2009, art. 12 comma 2, e dei principi generali in materia di onere della prova in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3- l’Agenzia delle entrate, premesso che, ai sensi del detto D.L. n. 78 del 2009, art. 12, in deroga alle disposizioni di legge, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato ai soli fini fiscali si presumono costituiti, salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione, censura la sentenza impugnata per avere la C.T.R. negato la fondatezza della pretesa erariale, fondata sui dati contenuti nella “fiche” tratta dalla c.d. “lista Falciani”, sul rilievo che gli elementi in possesso dell’ufficio non avessero i caratteri della certezza, univocità e precisione, e che valessero esclusivamente come mera “fonte di innesco” dell’attività di controllo, senza considerare gli altri elementi circostanziali che corroboravano l’atto impositivo. Deduce in proposito che, in fase endoprocedimentale, la contribuente e il coniuge, cointestatari del medesimo conto corrente, non avevano affatto negato di detenere disponibilità presso la HSBC di Ginevra, nè che il conto corrente fosse a loro (co)intestato, ma avevano addotto che tali giacenze erano il frutto di attività di lavoro dipendente produttive d’un reddito già tassato all’estero.

Secondo la prospettazione difensiva questo elemento confermava la tesi della veridicità dell’intestazione del menzionato conto corrente anche se, come precisato dalla ricorrente, la contribuente, in un secondo motivo, e cioè in sede contenziosa, aveva ritrattato le precedenti ammissioni, sostenendo che, in realtà, quel conto apparteneva a una società panamense (costituita il 09/05/2005), amministrata da soggetti terzi (e non dai coniugi Ca./ C.), come confermato dall’attestazione della banca che aveva negato che Ca. fosse un suo cliente.

2.La censura è fondata. Sul tema della c.d. “lista Falciani”, dalla quale è stata tratta la contestata “fiche”, attraverso la fitta trama delle pronunce di legittimità (ex aliis: Cass. 21/12/2018, n.

33223; 14/11/2019, n. 29632;28/11/2019, n. 31085;29/11/2019, n. 31243;05/12/2019, n. 31779;29711/2019 n. 31243; 19/12/2019, n. 33893;25/02/2020, n. 4984; 05/03/2021, n. 6154), è possibile riprendere il filo dei principi di diritto, meticolosamente elaborati in questi anni, fin dalle ordinanze “gemelle” nn. 8605 e 8606 del 28/04/2015, secondo cui:

-in linea generale, il diritto interno, sia in materia di imposte dirette sia in materia di imposta sul valore aggiunto, consente l’acquisizione nel corso dell’accertamento fiscale e, successivamente, nel processo tributario, di elementi comunque acquisiti e, dunque, di prove atipiche, o di dati ottenuti in forme diverse da quelle regolamentate, secondo i canoni tipici della prova per presunzioni; la prova per presunzioni può, pertanto, essere costituita anche da acquisizioni provenienti da una autorità straniera nell’àmbito di direttive comunitarie o di accordi bilaterali;

-la fonte è costituita dalla Direttiva 77/799/CEE del Consiglio, del 19 dicembre 1977, relativa alla reciproca assistenza fra le autorità competenti degli Stati membri nel settore delle imposte; come ha chiarito la Corte di giustizia – Corte Giust., Grande Sezione, 22 ottobre 2013, causa C-276/12 – la Direttiva 77/799 non tratta del diritto del contribuente di contestare l’esattezza dell’informazione trasmessa e non impone alcun obbligo particolare quanto al contenuto di quest’ultima, dato che spetta solo agli ordinamenti nazionali fissare le relative norme. Ne discende che il contribuente può contestare le informazioni che lo riguardano trasmesse all’Amministrazione fiscale dello Stato membro richiedente secondo le norme e le procedure applicabili nello Stato membro interessato e spetta al giudice nazionale stabilire il valore probatorio che deve essere riconosciuto, nel caso specifico, all’informazione comunicata da uno Stato membro in base alla Direttiva 77/799;

sebbene i dati costituenti il frutto di cooperazione informativa intracomunitaria restino contestabili dal contribuente, il quale può, dunque, mettere in discussione, nell’àmbito di un procedimento tributario nazionale, la correttezza delle informazioni fornite da altri Stati membri ai sensi dell’art. 2 della Direttiva 77/799, e seppure si debba negare che la mera acquisizione di informazioni mediante lo strumento di cooperazione comunitaria abbia la capacità di “purgare” gli elementi acquisiti da eventuali illegittimità o vizi per la sola derivazione da autorità estere, deve parimenti escludersi l’inutilizzabilità degli elementi trasmessi dall’autorità fiscale francese in ragione della loro provenienza illecita, ossia dal trafugamento dei dati bancari da parte di un ex dipendente della banca svizzera HSBC, H.F.;

si è anche chiarito (Cass. n. 8605/15) che “la giurisprudenza di questa Corte è orientata a mantenere una netta differenziazione fra processo penale e processo tributario, secondo un principio – sancito non soltanto dalle norme sui reati tributari (D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, successivamente confermato dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 20), ma altresì desumibile dalle disposizioni generali dettate dagli artt. 2 e 654 c.p.p., ed espressamente previsto dall’art. 220 disp. att. c.p.p., che impone l’obbligo del rispetto delle disposizioni del codice di procedura penale, quando nel corso di attività ispettive emergano indizi di reato, ma soltanto ai fini della “applicazione della legge penale” (Cass. nn. 22984, 22985 e 22986 del 12/11/2010; n. 13121 del 25/7/2012). Si riconosce quindi, generalmente, che “…non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale comporta, di per sè, la inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso ed esclusi, ovviamente, i casi in cui viene in discussione la tutela dei diritti fondamentali di rango costituzionale (quali l’inviolabilità della libertà personale, del domicilio, ecc.) – cfr. Cass. n. 24923 del 2011 -. Tale prospettiva si collega al principio per cui nell’ordinamento tributario non si rinviene una disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 191 c.p.p., a norma del quale “le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate””;

-per le ragioni che precedono non può ritenersi illegittima l’attività posta in essere dall’Amministrazione fiscale interna su impulso di quella francese, in forza della Direttiva 77/799, tenuto conto che alla base della riservatezza dei rapporti tra banche e clienti non ci sono valori della persona umana da tutelare, ma ci sono solo interessi patrimoniali ed istituzioni economiche. Al riguardo questa Sezione tributaria (Cass.n. 31243/19; n. 33893/2019, cit.) ha riconosciuto il valore indiziario della c.d. “lista Falciani” e la sua utilizzabilità, anche se acquisita in modo irrituale, non venendo in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, dei quali, in fattispecie analoghe, s’è ritenuta l’insussistenza (sul punto, nelle dette ordinanze, sempre in relazione alla documentazione bancaria ottenuta dall’autorità italiana nel quadro degli strumenti di cooperazione comunitaria, si menzionano: “Cass. sez. 5, 19 agosto 2015, n. 16950, in tema di c.d. “lista Vaduz” e n. 16951, in pari data, ancora riguardo alla c.d. “lista Falciani”; Cass. sez. 5, 26 agosto 2015, n. 17183, con riferimento alla c.d. “lista Pessina”; la già citata Cass. n. 33223/18, in tema di “lista Falciani””);

– neppure potrebbe farsi discendere l’inutilizzabilità degli elementi desunti dalla c.d. “lista Falciani” dalla condotta illecita a monte dell’azione dell’ufficio fiscale francese, essendo essa riferibile personalmente al solo H.F.. Sotto questo profilo le (menzionate) ordinanze “gemelle” nn. 8605 e 8606/2015 hanno precisato che “l’eventuale responsabilità penale dell’autore materiale della lista – questione che esula dalla vicenda processuale odierna, non risultando la condotta nemmeno posta in essere in Italia (v. art. 7 c.p., rispetto alle ipotesi delittuose per le quali è astrattamente profilabile una competenza del giudice italiano in relazione a condotte commesse all’estero) -e comunque, l’illiceità della di lui condotta nei confronti dell’istituto bancario presso il quale operava non è in grado di determinare l’inutilizzabilità della documentazione anzidetta nel procedimento fiscale a carico del contribuente utilizzata dal Fisco italiano al quale è stata trasmessa dalle autorità francesi – v. sul punto, la pronunzia della Cassazione penale francese del novembre 2013 (Cour de Cassation criminelle, 27.11.2013, ric. 13-85042) che ha espressamente riconosciuto l’utilizzazione – addirittura in àmbito penale – della “lista Falciani” sul presupposto che al confezionamento eventualmente illecito delle prove non aveva cooperato l’autorità pubblica.”;

si è, altresì, stabilito (Cass. 19/08/2015, n. 1695) che “In tema di accertamento tributario, l’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto dell’evasione fiscale, può avvalersi di ogni elemento di valore indiziario, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda dalla legge tributaria o dalla violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Ne consegue che sono utilizzabili, anche nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari, ottenuti mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria, dal dipendente di una banca residente all’estero, il quale li abbia acquisiti trasgredendo i doveri di fedeltà verso il datore di lavoro e di riservatezza, privi di copertura costituzionale e tutela legale nei confronti del fisco italiano.”;

con specifico riferimento all’asserita violazione, da parte della C.T.R., delle norme sulle presunzioni (artt. 2727,2728, c.c., D.L. n. 78 del 2009, art. 12), di cui all’unico motivo del ricorso, questa Corte (Cass.n. 31243/19; id n. 33893/2019, cit.,) è giunta alla conclusione che “In tema di accertamento tributario, sebbene la presunzione di evasione sancita dal D.L. n. 78 del 2009, art. 12, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 102 del 2009, con riferimento all’omessa dichiarazione di investimenti e attività di natura finanziaria negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non sia suscettibile di essere applicata retroattivamente agli anni di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore (prevista dal 1 luglio 2009), stante la natura sostanziale e non procedimentale delle presunzioni, l’ufficio può ricorrere ai medesimi fatti oggetto della suddetta presunzione legale (redditi non dichiarati occultamente detenuti in Paesi a fiscalità privilegiata) “sub specie” di presunzione semplice.”;

-questa Corte (Cass. 26/08/2015, n. 17183) ha affermato che, al fine di apprezzare la corretta applicazione dell’art. 2729 c.c., anche successivamente alla modifica del vizio di motivazione nel giudizio di cassazione, occorre verificare che il giudice di merito abbia valutato i requisiti della gravità, della precisione e della concordanza di tutti gli elementi offerti in giudizio attraverso un esame non parcellizzato, posto che la scorretta valutazione degli elementi, in quanto operata senza il rispetto dei criteri di legge, non integra un giudizio di fatto, ma una vera e propria valutazione in diritto soggetta al controllo di legittimità, anche in esito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 9760/2015, in tema di “lista Falciani”; conf.: Sez. U. 8054/2014 e Cass. 19894/2005). Compete alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729, c.c., oltre ad essere applicata a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino o no ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 17535/2008). Inoltre, se è sicuramente devoluta al monopolio del giudice di merito la valutazione della ricorrenza dei requisiti enucleabili dagli artt. 2727 e 2729, c.c., per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, tale giudizio, tuttavia, non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’invocato art. 360 c.p.c., n. 3 (Cass. 9760/2015 e 19894/2005). Le circostanze sulle quali la presunzione si fonda devono essere tali da lasciare apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza solo ragionevolmente probabile del fatto noto, dovendosi ravvisare una connessione fra i fatti accertati e quelli ignoti secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità (Cass. 6220/2005). A tal fine, il giudice di merito non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, ma deve impegnarsi anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è giunto al finale giudizio. Il procedimento che si deve necessariamente seguire in tema di prova per presunzioni, per non incorrere in vizi di legittimità della decisione (Cass. 13819/2003), si articola in due momenti valutativi: (i) prima, occorre che il giudice esamini ognuno degli elementi indiziari per eliminare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e, invece, conservare quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; (ii) successivamente, occorre che egli proceda a una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati e accerti se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una prova logicamente valida, in rapporto di vicendevole completamento (Cass. 9108/2012) e secondo crismi di ragionevole probabilità e non necessariamente di certezza (Cass. 4306/2010).

2.1 Così composto il quadro normativo e giurisprudenziale di riferimento, tornando all’esame del motivo di ricorso, il giudice d’appello, pur avendo correttamente riconosciuto l’utilizzabilità e il valore indiziario, idoneo ad integrare una presunzione semplice, della “fiche” tratta dalla c.d. “lista Falciani”, in punto di giacenza presso la banca elvetica di capitali non dichiarati dal contribuente, tuttavia, non ha fatto buon governo dei suaccennati canoni in tema di prova presuntiva. La Commissione regionale, invero, non ha esaminato gli altri elementi di fatto – in particolare, quello, assai significativo sul piano dell’attendibilità della “fiche”/scheda clienti estrapolata dalla c.d. “lista Falciani”, allegato dall’Agenzia, dell’ammissione, da parte del contribuente, in fase endoprocedimentale, della titolarità del conto corrente svizzero recante le disponibilità oggetto della ripresa fiscale – che, esaminati singolarmente e quindi nella loro valutazione complessiva, avrebbero potuto indurre il giudice di merito a ritenere, per presunzioni, raggiunta la prova che le somme depositate presso l’istituto di credito ginevrino erano redditi del ricorrente sottratti a tassazione. In altri termini, ha errato la C.T.R. nel non valutare l’intero compendio logico e circostanziale, offerto dall’A.F. a supporto della pretesa impositiva, e la conducenza di tali indici presuntivi, per altro non contraddetti nè indeboliti dal raffronto con le controprove allegate dall’interessato, queste sì vagliate dalla Commissione regionale che, come suaccennato, le ha reputate inconferenti.

3.In conclusione, quindi, alla stregua delle precedenti considerazioni, accolto il motivo di ricorso, la sentenza è cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania (sezione di Salerno), in diversa composizione, che provvederà al riesame, adeguandosi, ai superiori principi e regolerà le spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021

 

 

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