Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18175 del 25/08/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 18175 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA

SENTENZA
sul ricorso 10010-2011 proposto da:
SALLUSTI ALESSANDRO SLLLSN57B02C933R, elettivamente
domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 21,
presso lo studio dell’avvocato LUCA LO GIUDICE, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
VITTORIO DI GRAZIA giusta procura speciale notarile
2014
1606

del Dott. Notaio FILIPPO LAURINI in PARABIAGO (MI)del
17/06/2014 rep. n. 40239;
– ricorrente contro

TANZI

CALISTO

TNZCST38517C85D,

elettivamente

Data pubblicazione: 25/08/2014

domiciliato in ROMA, VIA G. NICOTERA 29 PAL. 9 INT.
5, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ASSUMMA,
che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
GIAN PIERO BIANCOLELLA, BELLONI FABIO giustd procura
in calce al controricorso;

nonchè contro

STEFANI STEFANO STFSEN38P29L5401, SPERONI FRANCESCO
SPRFNC46R04B300Z, LEGA NORD PER L’INDIPENDENZA PER LA
PADANIA 097083130159;

Nonché da:
LEGA NORD PER L’INDIPENDENZA PER LA PADANIA
097083130159, in persona del suo legale
rappresentante pro tempore, On. UMBERTO BOSSI,
STEFANI STEFANO STFSFN38P29L540I, SPERONI FRANCESCO
SPRFNC46R04B300Z, considerati domiciliati ex lege in
ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI
CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato
CARLO FALZETTI, giusta procura a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali contro

SALLUSTI ALESSANDRO SLLLSN57B02C933R, TANZI CALISTO
TNZCST38S17C85D;
– intimati –

2

– controricdrrente –

avverso la sentenza n. 544/2010 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 26/02/2010 R.G.N. 54/C/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/06/2014 dal Consigliere Dott.
ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato GIORGIO ASSUMMA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per
il rigetto di entrambi i ricorsi.

3

udito l’Avvocato SIMONETTA BELLETTI per delega;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La presente controversia trae origine dalla pubblicazione
sui numeri in data 7, 10 e 14 marzo 2004 del quotidiano Libero
di alcuni articoli in cui si riferiva del contenuto di
dichiarazioni che sarebbero state rese da Callisto Tanzi, nel
“pagamenti”

effettuati in favore della Lega Nord per l’indipendenza della
Padania (di seguito, brevemente, la Lega Nord), nelle persone
di Francesco Speroni e Stefano Stefani.

Con citazione del dicembre 2005 Francesco Speroni, Stefano
Stefani e la Lega Nord convenivano in giudizio innanzi al
Tribunale di Monza Alessandro Sallusti, la C.E.I. Cooperativa
Editoriale Libero a r.l. (di seguito, brevemente, C.E.I.
Libero), nonché Callisto Tanzi, lamentando il carattere
diffamatorio di detti articoli e, segnatamente, evidenziando,
quanto al primo di detti articoli, che nel c.d. catenaccio era
virgolettata e, quindi, apparentemente riferibile al Tanzi, la
frase “e ho pagato anche la Lega di Bossi con finanziamenti a
Speroni e Stefani”,

mentre nel contenuto dell’articolo si

riferiva che Callisto Tanzi aveva dichiarato di aver
incaricato un proprio dipendente di occuparsi di

“eventuali”

pagamenti alla Lega. Gli attori chiedevano, dunque, la
condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni
subiti, al pagamento della sanzione di cui all’art. 12 L. n.
47/1948, nonché la pubblicazione dell’emananda sentenza per
estratto su alcuni quotidiani.
Resistevano tutti i convenuti; in particolare Alessandro
Sallusti e la C.E.I. Libero deducevano l’oggettiva verità dei

31my

corso dei suoi interrogatori al P.M., in ordine a

fatti narrati, mentre Callisto Tanzi negava di avere reso
dichiarazioni o interviste a Libero, osservando che quelle
destinate al P.M. erano coperte dal segreto istruttorio.
Con sentenza in data 19.12.2005 l’adito Tribunale
accoglieva la domanda di risarcimento nei confronti di

solido, a titolo di risarcimento dei danni, al pagamento in
favore di ognuno degli attori della somma di e 20.000,00 oltre
interessi; condannava inoltre il solo Alessandro Sallusti al
pagamento della sanzione civile di E 5.000,00 in favore di
ognuno degli attori; ordinava ad Alessandro Sallusti e alla
C.E.I. Libero di pubblicare a proprie spese un estratto della
sentenza sui quotidiani La Padania e Corriere della Sera;
condannava i medesimi Alessandro Sallusti e la C.E.I. Libero
alla rivalsa delle spese processuali in favore degli attori;
compensava, invece, interamente le stesse spese nei rapporti
tra gli attori e Callisto Tanzi.
La decisione, gravata da impugnazione, in via principale,
da parte di Alessandro Sallusti e della C.E.I. Libero e, in
via incidentale, da parte di Callisto Tanzi, era parzialmente
riformata con sentenza in data 26 febbraio 2010, con la quale
la Corte di appello di Milano rigettava l’appello principale,
accoglieva per quanto

di

ragione quello incidentale

compensando in ragione della metà le spese di primo grado nei
rapporti tra il Tanzi e gli originari attori e ponendo l’altra
metà a carico degli attori; condannava gli appellanti
principali al pagamento delle spese del grado in favore degli
appellati; regolava le spese dell’appello nei rapporti tra

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Alessandro Sallusti e della C.E.I. Libero, che condannava in

l’appellante incidentale e gli appellati come per il primo
grado.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
Alessandro Sallusti, svolgendo due motivi.
Hanno resistito Francesco Speroni, Stefano Stefani e la

ricorso incidentale, affidato a due motivi.
Anche Callisto Tanzi ha resistito con controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte della
C.E.I. Libero.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. In via preliminare si dà atto che i ricorsi proposti in
via principale e incidentale avverso la stessa sentenza sono
riuniti ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ.
1.1. Sempre in via preliminare va evidenziata l’irrilevanza
dei quesiti di diritto formulati da entrambe le parti
ricorrenti, atteso che la sentenza impúgnata è stata
depositata il 26 febbraio 2010, quindi dopo l’espressa
abrogazione dell’art. 366

bis

cod. proc. civ. (che ne

prevedeva la formulazione) disposta dalla L. 18 giugno 2009,
n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) giusta la norma transitoria
dettata dalla stessa L. del 2009, art. 58, comma 5 secondo cui
«le disposizioni di cui all’art. 47 si applicano alle
controversie

nelle quali il provvedimento

impugnato

con 11

ricorso per cassazione è stato pubblicato ovvero, nei casi in
cui non sia prevista la pubblicazione, depositato

successivamente alla data di entrata in vigore della presente
legge».

5

Lega Nord depositando controricorso e svolgendo, a loro volta,

2. RICORSO PRINCIPALE
2.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione degli artt. 595 e 51 cod. pen., nonché ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa motivazione circa la

parte ricorrente deduce che la notizia e cioè le
dichiarazioni rese da Callisto Tanzi all’Autorità giudiziaria
– era oggettivamente vera, in quanto risultava dal verbale la
cui copia fotostatica era pubblicata sul quotidiano, insieme
all’articolo; inoltre rispondeva ad interesse generale che il
pubblico venisse informato di tali dichiarazioni.
2.1.1. Il motivo riguarda il punto della decisione in cui
la Corte territoriale ha motivatamente condiviso le
valutazioni del primo Giudice sul contenuto oggettivamente
diffamatorio delle dichiarazioni attribuite al Tanzi, in danno
di Speroni, Stefani e della Lega Nord e sull’esclusione
dell’esimente del diritto di cronaca «stante la falsità della
notizia diffusa»,

segnatamente evidenziando l’assenza di

riscontri circa il controllo da parte del giornalista della
veridicità dell’informazione e l’inidoneità della
“secretazione” dei verbali ad esonerare dalla relativa prova.
In disparte la Corte di appello ha precisato che l’istanza
istruttoria intesa a disporre

“l’acquisizione agli atti di

causa dei verbali di interrogatorio del dr. Tanzi, oggi non
più coperti da segreto istruttorio” era tardiva e generica,
quanto agli estremi dei verbali di cui si richiedeva
l’acquisizione, all’individuazione della autorità presso la

6

dichiarata insussistenza del diritto di cronaca. Al riguardo

quale pendeva o si era concluso il procedimento penale e alla
stessa data in cui sarebbe cessata la secretazione (con
conseguente impossibilità di verificare anche l’eventuale
giustificazione del ritardo).
2.2. Il motivo non merita accoglimento.

“l’oggettiva verità” della notizia, affronta solo
marginalmente e in termini generici la ratio decidendi della
sentenza impugnata, la quale fa leva sulla considerazione
determinante, in diritto, che grava su chi invoca il diritto
di cronaca di fornire la prova dell’esistenza dei suoi
presupposti (verità continenza, e pertinenza) e sull’ulteriore
rilievo, in fatto, che, negli articoli in discussione, il
Sallusti aveva riportato frasi che Callisto Tanzi avrebbe
fornito nel corso dei suoi interrogatori (ricorrendo, per la
maggior parte dei brani, oltre che nel c.d. catenaccio,
all’uso del virgolettato e, quindi, attribuendo al medesimo
Tanzi, frasi relative a pretesi pagamenti, che risultavano di
indubbio carattere diffamatorio)

«senza tuttavia fornire la

prova di tali fatti».
2.3. Si rammenta che il diritto di cronaca presuppone la
fedeltà dell’informazione, cioè l’esatta rappresentazione del
fatto percepito dal cronista, il quale deve curare di rendere
inequivoco al destinatario della comunicazione il tipo di
percezione, se relativa al contenuto della notizia o alla
notizia in sè come fatto storico, e inoltre se diretta ovvero
indiretta, derivandone in tale seconda ipotesi il debito
riscontro dei fatti, comportamenti e situazioni per attribuire

7

c9a-i

Innanzitutto si osserva che parte ricorrente, assumendo

attendibilità alla notizia così percepita e poi trasmessa. La
verità oggettiva della notizia pubblicata, che rileva per
stabilire se sia stato rispettato il limite del diritto di
cronaca, può intendersi, infatti, sia come verità del fatto
oggetto della notizia, sia come verità della notizia

compito informativo della stampa riferire che una determinata
notizia circola pubblicamente. In questo caso tuttavia il
cronista, poiché il diritto di cronaca presuppone la fedeltà
dell’informazione, cioè l’esatta rappresentazione del

fatto

percepito, deve contestualmente mettere bene in evidenza che
la verità asserita non si estende al contenuto del racconto,
nonché riferirne le fonti di propalazione (Cass. 26 luglio
2002, n. 11060).
2.4. Orbene la Corte di merito ha fatto corretta
applicazione di questi principi ed ha accertato, con
motivazione immune da vizi rilevabili in questa sede, il
mancato assolvimento da parte del Salusti dell’onere della
prova dei presupposti per il riconoscimento del diritto di
cronaca, segnatamente evidenziando che gli appellanti, tra cui
l’odierno ricorrente, non potevano liberarsi della prova a
loro carico, avvalendosi del fatto che i verbali degli
interrogatori erano secretati; e ciò in quanto nella
prospettiva del necessario bilanciamento tra diritto di
cronaca e diritto di riservatezza, il punto di equilibrio va
rinvenuto proprio nella verità dei fatti e nella loro
dimostrabilità, sicché il giornalista, che si affida a fonti
non rivelabili, assume consapevolmente il rischio di vedere la

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indipendentemente dal suo contenuto, in quanto rientra nel

condotta lesiva non scriminata.
Escluso l’error in iudicando,

appare altresì evidente che

una motivazione, sia pure succinta, è stata data circa
l’inapplicabilità dell’esimente del diritto di cronaca, di tal
chè il motivo, assertivamente profilando

l’oggettiva

verità

consentita) rivisitazione dei fatti di causa, volgendosi, in
realtà, ad invocare null’altro che una diversa lettura delle
risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite
dalla Corte di merito.
Il motivo, al limite dell’inammissibilità, va, dunque,
rigettato.
3. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. omessa motivazione circa un
fatto controverso e decisivo per il giudizio e, segnatamente,
il silenzio della Corte di appello sul

quantum

del

risarcimento. A parere del ricorrente – seppure nel c.d.
catenaccio era omessa l’espressione

“eventuali”

(riferita ai

pagamenti) – il giornalista aveva

fedelmente

riportato la

formula dubitativa nel corpo dell’articolo; per cui o era
falso l’intero articolo o lo era il solo “catenaccio”; e in
quest’ultimo caso la Corte di appello avrebbe dovuto ridurre
sensibilmente il

quantum,

dovendosi commisurare la pretesa

risarcitoria, tutt’al più,

all’errore

contenuto nel

“catenaccio”. Il ricorrente – precisato che questo ed altri
rilievi era stati svolti con uno specifico motivo di gravame lamenta, dunque,

che essi siano stati ignorati, nonostante si

trattasse di dati rilevanti per la determinazione quantitativa

9

della notizia, mira nella sostanza ad una (ormai non più

della pretesa risarcitoria.
3.1. Il motivo accorpa un duplice ordine di censure: sotto
il profilo della contraddittorietà della motivazione si
segnala una (presunta) incongruenza della decisione impugnata,
la quale avrebbe affermato che l’intera notizia era falsa, pur

dell’articolo fosse falso; mentre sotto il profilo dell’omessa
motivazione si denuncia «il silenzio» della Corte territoriale
sul medesimo rilievo concernente la falsità del

solo

“catenaccio” e su altri rilievi (segnatamente: il diritto di
replica concesso all’on. Bossi e il breve lasso temporale
intercorso tra l’articolo e la replica) che erano stati
dedotti in sede di gravame per impugnare la determinazione
quantitativa della domanda.
Il motivo, sotto il primo profilo, è privo di specificità
e, comunque, manifestamente infondato; mentre, sotto il
secondo profilo, è inammissibile per erronea individuazione
della tipologia di vizio.
Valga considerare quanto segue.
3.1.1. Va innanzitutto osservato che l’evidente tentativo
di “trasferire” il condizionale dai contenuti delle
dichiarazioni attribuite al Tanzi (sugli

eventuali pagamenti)

a quelli dell’articolo (nel senso che l’articolista avrebbe
posto in forma eventuale il contenuto di dette dichiarazioni)
deve confrontarsi con la parte della sentenza di primo grado,
puntualmente recepita nella decisione impugnata, in cui si
riferisce che nel corpo dell’articolo era riportata la notizia
(data per certa, ancorchè ne risultasse indimostrata la

lo

(sba-(

muovendo dalla considerazione che il (solo) “catenaccio”

corrispondenza al vero) che il Tanzi aveva dichiarato di aver
dato mandato ad un proprio funzionario di occuparsi di
«eventuali pagamenti alla Lega».
In ogni caso il motivo elude, se non addirittura, travisa
la

ratio

della decisione impugnata la quale muove dalla

vero di (tutte) le dichiarazioni attribuite al Tanzi e,
correttamente, procede ad una valutazione complessiva
dell’articolo, segnatamente evidenziando non solo il tenore
del c.d. catenaccio, ma anche la portata diffamatoria delle
circostanze riportate nel corpo dell’articolo, siccome idonee
a far sorgere un giudizio negativo sugli attori (cfr. pag. 8
della sentenza impugnata).
Si rammenta che in tema di esercizio dell’attività
giornalistica, il carattere diffamatorio di uno scritto non
può essere escluso sulla base di una lettura atomistica delle
singole espressioni in esso contenute, dovendosi, invece,
giudicare la portata complessiva del medesimo con riferimento
ad alcuni elementi, quali: l’accostamento e l’accorpamento di
notizie, l’uso di determinate espressioni nella consapevolezza
che il pubblico le intenderà in maniera diversa o contraria al
loro significato letterale, il tono complessivo e la
titolazione dell’articolo, proprio il titolo essendo
specificamente idoneo, in ragione della sua icastica
perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore,
ingenerando giudizi lesivi dell’altrui reputazione (Cass. 07
agosto 2013, n. 18769; cfr. anche Cass. 07 ottobre 2011, n.
20608; Cass. 14 ottobre 2008, n. 25157). Donde la palese

11

considerazione del difetto di prova della corrispondenza al

infondatezza della censura, laddove mira a sminuire, se non
addirittura neutralizzare, il rilevo del tenore diffamatorio
dell’articolo, “isolando” il c.d. catenaccio dal corpo
dell’articolo.
3.1.2. In relazione all’altro profilo di censura, si rileva

e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice
di primo grado è impugnabile per cassazione non già per omessa
o insufficiente motivazione su di un punto decisivo della
controversia e neppure per motivazione per relationem resa in
modo difforme da quello consentito, bensì per omessa pronuncia
su un motivo di gravame; ne consegue che, se il vizio è
denunciato ai sensi dell’art. 360, n. 3 o n. 5, cod. proc.
civ., anziché dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. in
relazione all’art. 112 dello stesso codice, il ricorso è
inammissibile. (Cass. 15 maggio 2013, n. 11801). E’ il caso di
precisare che le SS.UU. pur patrocinando con la sentenza 24
luglio 2013, n. 17931 un indirizzo non formalistico, che non
richiede la formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra
quelle elencate nell’art. 360, primo comma, cod. proc. civ.,
cui si ritenga di ascrivere il vizio, né la precisa
individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa
applicazione di norme sostanziali o processuali, degli
articoli di legge – hanno ribadito l’esigenza di una chiara
esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le
quali la censura sia stata formulata e del tenore della
pronunzia caducatoria richiesta; con la conseguenza che il
motivo va dichiarato inammissibile, allorché il ricorrente,

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che la decisione del giudice di secondo grado che non esamini

nel lamentare l’omessa pronuncia in ordine ad una delle
domande od eccezioni formulate, non solo menzioni un motivo
non pertinente ed ometta di menzionare quello di cui all’art.
360, primo coma, n. 4 cod. proc. civ., in relazione all’art.
112 cod. proc. civ., ma sostenga altresì che la motivazione

argomentare sulla violazione di legge.
Nel caso di specie, dunque, inammissibilmente il ricorrente
denuncia come vizio motivazionale “Il

silenzio” della Corte

territoriale su uno specifico motivo di gravame in punto di
determinazione del quantum.
In definitiva l’esame complessivo dei motivi conduce al
rigetto del ricorso principale.
4. RICORSO INCIDENTALE
4.1. Con il primo motivo di ricorso la Lega Nord, Stefano
Stefano e Francesco Speroni denunciano ai sensi del n. 3
dell’art. 360 cod. proc. civ. violazione dell’art. 91 cod.
proc. civ., assumendo che la “parte soccombente” deve essere
individuata nei reali responsabili e, cioè nel Sallusti, oltre
che in C.E.I. Libero, che, attribuendo al Tanzi frasi che non
aveva pronunciato, ne avevano provocato l’originaria

vocatio

in ius.
4.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.5 cod. proc. civ. contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio per non
avere chiarito chi fosse la parte soccombente rispetto al
Tanzi, anche perché la Corte di appello ha ritenuto legittima
e parzialmente necessaria la chiamata in causa di Tanzi da

13

sia stata omessa o sia insufficiente o si limiti ad

parte degli attori.
5. I suddetti motivi si incentrano sulla statuizione di
parziale riforma della decisione di primo grado relativamente
alla regolazione delle spese processuali di primo grado nei
rapporti tra Callisto Tanzi e gli originari attori. Invero –

processuali tra dette parti – la Corte di appello,
accogliendo, per quanto ritenuto di ragione, l’appello
incidentale di Callisto Tanzi, ha condannato Stefano Stefani,
Francesco Speroni e la Lega Nord a rivalere il Tanzi della
metà delle spese di prime cure (oltre che della metà delle
spese di appello, in ragione del parziale accoglimento
dell’appello incidentale), compensando per l’altra metà le
spese processuali per la considerazione che, se da un lato non
era stata provato che il Tanzi avesse dichiarato quanto
riferito nell’articolo

(ergo,

non era stato provato il

concorso di quest’ultimo nella diffamazione), d’altro lato
sussistevano giusti motivi per la parziale compensazione
perché, sulla base dei contenuti dell’articolo, l’evocazione
in giudizio del medesimo Tanzi appariva legittima e
parzialmente necessaria.
5.1. Nessuno dei suddetti motivi merita accoglimento.
Si rammenta che in materia di spese processuali,
l’identificazione della parte soccombente è rimessa al potere
decisionale del giudice del merito, insindacabile in sede di
legittimità, con l’unico limite di violazione del principio
per cui le spese non possono essere poste a carico della parte
totalmente vittoriosa. (Cass. 16 giugno 2011, n. 13229).

14

mentre il Tribunale aveva integralmente compensato le spese

Inoltre – precisato che nella specie si applica il testo
dell’art. 92 cod. proc. civ., antecedente alle novelle del
2006 e 2009, in ragione della data di proposizione del
giudizio – si osserva che, in tema di spese processuali, solo
la compensazione dev’essere sorretta da motivazione, e non già

si sia uniformato, atteso che il vizio motivazionale ex art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ove ipotizzato,
sarebbe relativo a circostanze discrezionalmente valutabili e,
perciò, non costituenti punti decisivi idonei a determinare
una decisione diversa da quella assunta. (Cass. 23 febbraio
2012, n. 2730). In particolare il sindacato di legittimità
sulle pronunce dei Giudici del merito con le quali sia stata
disposta la compensazione, parziale o totale, delle spese
giudiziali, deve riguardare, fermo restando il divieto di
condanna alle spese della parte totalmente vittoriosa, una
verifica della idoneità in astratto dei motivi stessi a
giustificare

la

pronuncia

e

dell’adeguatezza

delle

argomentazioni svolte a riguardo, censurabili soltanto se
fondati su ragioni palesemente illogiche o inconsistenti,
inficianti il processo formativo della volontà espressa sul
punto, perché tali da rendere non intellegibile la ragione
stessa della statuizione ed impedire così che essa possa
coerentemente rapportarsi alla volontà della legge (Cass. 17
gennaio 2014, n. 892; Cass., 2 luglio 2007, n. 14964; Cass.,
31 luglio 2006, n. 17450).
Orbene, nel caso di specie, non è stato violata la regola
della soccombenza come sopra enunciata, atteso che la Corte di

15

l’applicazione della regola della soccombenza cui il giudice

appello ha posto le spese processuali (per la metà) a carico
degli originari attori e a favore del Tanzi, in ragione del
rigetto della domanda attrice nei confronti di costui e della
rilevata

«estraneità dello stesso alla pubblicazione a

contenuto diffamatorio».

D’altra parte le ragioni della

censurabili in questa sede e, comunque, ben lontani dal vizio
radicale innanzi descritto.
In conclusione anche il ricorso incidentale va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n.
55/2014, seguono la soccombenza nei rapporti tra il ricorrente
principale e i controricorrenti Stefano Stefani, Francesco
Speroni e Lega Nord; mentre si ravvisano i giusti motivi per
la compensazione integrale di tali spese nei rapporti tra le
altre parti, rilevando quanto al ricorrente principale che
quest’ultimo non ha formulato specifiche censure nei confronti
del Tanzi e, quanto ai ricorrenti incidentali, che il medesimo
Tanzi non ha depositato controricorso avverso il ricorso
incidentale.
P.Q.M.
La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso
principale e quello incidentale; condanna il ricorrente
principale al rimborso delle spese del giudizio di cassazione
in favore dei controricorrenti Stefano Stefani, Francesco
Speroni e Lega Nord per l’indipendenza della Padania,
liquidate in C 7.2000,00 (di cui C 200,00 per esborsi) oltre
accessori come per legge e contributo spese generali; compensa

16

parziale compensazione risultano esposte in termini non

interamente le medesime spese processuali nei rapporti tra le
altre parti.

Roma 23 giugno 2014

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