Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18174 del 26/07/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 18174 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: D’ASCOLA PASQUALE

SENTENZA
sul ricorso 16896-2012 proposto da:
DI PASQUALE PAOLA DPSPLA5OM48H501X

ARCIDIACONO

(

GIUSEPPINA MARIA (RCDGPP51P62F2050 LAURETI GIOVANNA
(LRTGNN60S45H501I) CIAMEI BANIAMINA CMIBMN58R5OL025A)
(

GRISANTI CHIARA CRSCHR53H65F492E) PICCIONI DANIELA
(

(PCCDNL54D67H501H) BASILE GIUSEPPE (BSLGPP53L01A024A)
203.3
1497

CIROTA GAETANO CRTGTN52M14H062B) DI CIACCIO ANNA
(
ETTORE
DETTORI
(DCCNTR41L62H501Z)
TERESA
(DTTTTR45M18D643F4 DE SENA MARIO (DSNMRA55B15F839P)
PEZZANO CLEMENTINA ( PZZCMN55E56F924M) MICOZZI ROBERTO
(MCZRRT47A18H5010) BRUFOLA CARLA (BRFCRL58D48G601T)
D’AGOSTINO SAVINO(DGSSVN54E19B526P) IACOBELLI RAFFAELE

Data pubblicazione: 26/07/2013

( CBLRFL62DO2D7554 CUPELLINI CARLA (CPLCRL49B46F590G)
BERARDICURTI BARBARA (BRRBBR55T43A515J) CORTOPASSI
MARIA ASSUNTA ( CRTMSS45L70H501U) SACCA’ ANTONIETTA
(SCCNNT47E46F11214 CAPOZZOLO ROSA FILOMENA
(CPZRFL50A62A756Q) GRANELLI ROSA ANNA(GRNRNN54C58D662Vi

(DVNSNO41P43H5010i, DI ME0 ALBERTO (DMILRT39A15A243T)
CORRADO AURELIO (CRRRLA48L16H892Yj POLESELLO MARCO
(PLSMRC61L17H501C) MAZZEO ANTONIO (MZZNTN46R18H501N)
LICINI MARIA GRAZIA LCNMGR59R50G141M) LINI ANTONIETTA
(

(LNINNT51H53G337), DE LUCA FRANCESCO(DLCFNC50S14A509P)
CARONIA BEATRICE ( CRNBRC42E52G273E) DE DONA AMELIA
DDNMLA46P47C557S) elettivamente domiciliati in ROMA,
(

LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9, presso lo studio
dell’avvocato ABBATE FERDINANDO EMILIO, che li
rappresenta e difende giusta delega in calce al
ricorso;
– ricorrenti contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, in persona del
Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ape
legis;

controrícorrente

avverso il decreto n. 1082/2011 della CORTE D’APPELLO

FASOLI TERESA( FSLTRS49R55H5010) DI VENANZIO SONIA

di PERUGIA del 12/12/2011, depositata il 29/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/02/2013 dal Consigliere Relatore Dott.
PASQUALE D’ASCOLA;
udito l’Avvocato Roda Ranieri (delega avvocato Abbate

chiesto l’accoglimento del ricorso;
è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE
PRATIS che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Ferdinando Emilio) difensore dei ricorrenti che ha

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il

26 ottobre

2010 presso la Corte

d’appello di Perugia, Barbara Berardicurti e gli altri
ricorrenti hanno proposto, ai sensi della legge n. 89 del

sofferto a causa della non ragionevole durata del giudizio di
equa riparazione introdotto dinnanzi alla Corte d’appello di
Roma con ricorso depositato nel mese di

novembre 2005,

concluso con decreto di parziale accoglimento depositato nel
mese di giugno 2007 e definito, a seguito di ricorso per
cassazione notificato nel mese di

aprile 2008,

con sentenza

depositata nel mese di aprile 2010.
L’adita Corte d’appello ha dichiarato la domanda
inammissibile, ritenendo non esperibile il rimedio di cui alla
legge n. 89 del 2001 in relazione a procedimenti relativi alla
denunciata violazione della durata ragionevole di giudizi
presupposti, non discendendo tale proponibilità dalla
Convenzione europea dei diritti dell’uomo ed essendo
l’eventuale ritardo nella definizione dei procedimenti ex lege
n. 89 del 2001 compensabile dal giudice del procedimento.
Per la cassazione di questo decreto hanno proposto ricorso
sulla base di un unico motivo, cui ha resistito con
controricorso l’intimata Amministrazione.
MOTIVI DELLA DECISIONE

2001, domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale

Il collegio ha deliberato l’adozione della motivazione
semplificata nella redazione della sentenza.
Con l’unico motivo del ricorso i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione dell’art. 2 della legge n. 89

111 Cost., richiamando numerosi decreti emessi dalla stessa
Corte d’appello di Perugia, con i quali l’eccezione di
inammissibilità del rimedio

ex lege

n. 89 del 2011 in

relazione a procedimenti introdotti ai sensi di tale legge, è
stata rigettata, rilevandosi che la citata legge non consente
in alcun modo di distinguere i procedimenti di equa
riparazione da quelli ai quali la medesima legge si applica e
di sottrarli quindi al regime di ragionevole durata, che
discende direttamente dalla Convenzione europea e dalla
Costituzione italiana.
Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha avuto modo di pronunciarsi più volte in
ordine alla applicabilità del procedimento disciplinato dalla
legge n. 89 del 2001 ai procedimenti introdotti sulla base
della legge stessa, per i quali deve ritenersi predicabile
l’operatività del termine ragionevole di durata e del
conseguente regime indennitario in caso di sua violazione.
Come affermato di recente (Cass. n. 17686 del 2012; Cass.
n. 5924 del 2012 e altre conformi), il giudizio di equa
riparazione, che si svolge presso le Corti d’appello ed

del 2001 e degli artt. 6, 13 e 41 della CEDU, nonché dell’art.

eventualmente, in sede di impugnazione, dinnanzi a questa
Corte, è un ordinario processo di cognizione, soggetto, in
quanto tale, alla esigenza di una definizione in tempi
ragionevoli, esigenza, questa, tanto più pressante per tale

all’accertamento della violazione di un diritto fondamentale
nel giudizio presupposto, la cui lesione genera di per sé una
condizione di sofferenza e un patema d’animo che sarebbe
eccentrico non riconoscere anche per i procedimenti

ex lege n.

89 del 2001. Né appare condivisibile l’assunto che il giudizio
dinnanzi alla Corte d’appello e l’eventuale giudizio di
impugnazione costituiscano una fase necessaria di un unico
procedimento destinato a concludersi dinanzi alla Corte
europea, nel caso in cui nell’ordinamento interno la parte
interessata non ottenga una efficace tutela all’indicato
diritto fondamentale, atteso che il procedimento interno
rappresenta una forma di tutela adeguata ed efficace, sempre
che, ovviamente, si svolga esso stesso nell’ambito di una
ragionevole durata.
Quanto alla determinazione della ragionevole durata di un
procedimento di equa riparazione, questa Corte ha ritenuto che
ove, come nel caso di specie, venga in rilievo un giudizio
“Pinto” svoltosi anche dinnanzi alla Corte di cassazione, la
durata complessiva dei due gradi debba essere ritenuta
ragionevole ove non ecceda il termine di due anni.

5

tipologia di giudizi, in quanto finalizzati proprio

Il ricorso deve quindi essere accolto, poiché è erronea la
decisione della Corte territoriale che ha ritenuto
inammissibile la domanda di equa riparazione per la
irragionevole durata di un procedimento di equa riparazione

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la
causa può essere decisa nel merito.
Nel caso di specie, infatti, il ricorso è stato depositato
presso la Corte d’appello di Roma nel mese di novembre 2005;
l’unico grado di giudizio di merito si è concluso con decreto
depositato nel mese di giugno 2007; il giudizio di cassazione
è stato introdotto con ricorso notificato nel mese di aprile
2008 ed è terminato con sentenza depositata nel mese di aprile
2010. La durata complessiva del procedimento di equa
riparazione è stata dunque effettivamente di 53 mesi. Detratto
il termine ragionevole, stimato in due anni, nonché il termine
di 8 mesi intercorso tra il deposito del decreto e la
proposizione della impugnazione, ulteriore rispetto al termine
breve legislativamente previsto per il ricorso per cessazione,
la durata non ragionevole risulta essere stata di 21 mesi.
Alla luce dell’accertata irragionevole durata del giudizio,
a ciascuno dei ricorrenti spetta un indennizzo che va
liquidato sulla base di euro 750,00 per anno, e quindi in
complessivi euro 1312,50 oltre interessi legali dalla data
della domanda al saldo.

relativamente a giudizio presupposto di altra natura.

Ai ricorrenti compete altresì il rimborso delle spese
dell’intero giudizio, liquidate nella misura indicata in
dispositivo.
Le spese del giudizio di merito devono essere distratte in

antistatario, come quelle del giudizio di legittimità in
favore dell’avvocato Abbate.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e,
decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al
pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, della somma
di euro 1312,50, oltre interessi legali dalla data della
domanda al saldo; condanna il Ministero alla rifusione delle
spese dell’intero giudizio che liquida, per il giudizio di
merito, in euro 775,00, di cui euro 50,00 per esborsi, 280,00
per diritti e 445,00 per onorari, oltre alle spese generali e
agli accessori di legge, e, per il giudizio di legittimità, in
euro 506,25 per compensi, oltre a euro 100,00 per esborsi e
agli accessori di legge. Dispone la distrazione delle spese
del giudizio di merito in favore della difesa dei ricorrenti,
e quelle del giudizio di legittimità in favore dell’avvocato
Abbate, dichiaratosi antistatario.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta
Sezione Civile della Corte suprema di Cassazione, il 20
febbraio 2013.

favore del difensore di parte ricorrente, dichiaratosi

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