Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18174 del 25/08/2014
Civile Sent. Sez. 3 Num. 18174 Anno 2014
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: AMBROSIO ANNAMARIA
SENTENZA
sul ricorso 5277-2011 proposto da:
CODACONS
971002780588
in
persona
del
legale
rappresentante p.t. Avv. URSINI GIUSEPPE,
elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA
LIBERTA’ 20, presso lo studio dell’avvocato MICHELE
ROSARIO LUCA LIOI, che lo rappresenta e difende
2014
1604
unitamente agli avvocati MICHELE MIRENGHI, STEFANO
VITI giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
VECCHIA
PAOLO
VCCPLA45B24H501D,
elettivamente
Data pubblicazione: 25/08/2014
domiciliato in ROMA, VIA MUZIO CLEMENTI 70, presso lo
studio
dell’avvocato
BENEDETTI,
ALESSANDRO
rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONELLA
BENEDETTI giusta procura speciale
in
calce al
controricorso;
nonché contro
RTI RETE TELEVISIVA ITALIANA SPA , GREGGIO EZIO,
MEDIASET SPA ;
– intimati –
avverso la sentenza n. 878/2010 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 01/03/2010, R.G.N. 7255/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/06/2014 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA
AMBROSIO;
udito l’Avvocato STEFANO VITI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MAURIZIO VELARDI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
2
controricorrente
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del marzo 2001 Paolo Vecchia conveniva in
giudizio innanzi al Tribunale di Roma Ezio Greggio, Mediaset
s.p.a., R.T.I. s.p.a. e Codacons (Coordinamento di
Associazioni per la tutela dell’ambiente e dei diritti degli
risarcimento dei danni materiali e morali in suo favore e,
precisamente: i primi tre (nella misura di £ 600.000.000) per
aver letto, nel corso del programma “Striscia la notizia”
trasmesso in data 10.11.2000, quanto contenuto nel
link “Il
Grande Tranello”, posto sulla prima pagina del sito
Internet
www.codacons.it , e il Codacons (nella misura di
£.1.000.000.000), per avere creato e pubblicato sul proprio
sito
Internet
detto
link
contenente informazioni lesive e
false dell’onore e della reputazione di esso attore, inducendo
lo spettatore/lettore a credere che, nella sua qualità di
dirigente del laboratorio di fisica dell’Istituto superiore di
Sanità e di esperto di radio protezione ed effetti nocivi
delle onde elettromagnetiche, subordinasse il proprio operato
e le proprie tesi scientifiche agli interessi delle
multinazionali produttrici di telefonini, per avere ricevuto
una somma, pari a £ 20.000.000, dalla Motorola in favore di
un’associazione privata di cui era presidente.
Con sentenza in data 10.10.2003, nella resistenza di tutti
i convenuti, l’adito Tribunale, ritenuto il carattere
diffamatorio dei fatti ascritti, condannava Ezio Greggio e
R.T.I., in solido tra loro, al pagamento, a titolo
risarcimento danni non patrimoniali in favore dell’attore, in
3
utenti e dei consumatori), per sentirli condannare al
ragione di E 10.000,00 e il Codacons, allo stesso, titolo al
pagamento della somma di
e
35.000,00; con rivalsa delle spese;
dichiarava, invece, il difetto di legittimazione passiva di
Mediaset s.p.a., con compensazione delle spese.
La decisione, gravata da impugnazione del Codacons in via
s.p.a. in via incidentale, era confermata dalla Corte di
appello di Roma, la quale, con sentenza in data 01.03.2010,
rigettava sia l’appello principale, che quelli incidentali,
condannando il Codacons, Ezio Greggio ed R.T.I. s.p.a. alla
rifusione delle spese del grado in favore di Paolo Vecchia;
spese compensate nei confronti di Mediaset s.p.a..
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione
il Codacons contro Paolo Vecchia e nei confronti di Ezio
Greggio e di R.T.I. s.p.a., svolgendo cinque motivi.
Ha resistito Paolo Vecchia, depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli
altri intimati.
E’ stata depositata memoria da parte del ricorrente
Codacons.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. La Corte di appello è pervenuta alla conferma della
decisione di prime cure con specifico riguardo alla
posizione del Codacons che ancora rileva in questa sede ritenendo integrata la lesione e dell’immagine professionale
di Paolo Vecchia, per il seguente ordine di considerazioni: a)
i contenuti dei comunicati stampa del novembre e dicembre 1998
(in sui si riferiva che «la Motorola ha pagato in contanti una
4
principale, di Paolo Vecchia, di Ezio Greggio e di R.T.I.
nota associazione privata il cui presidente era Paolo Vecchia
alto dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità»
indicava il Vecchia
«come colui
e si
che incassò soldi dalla
Motorola mentre studiava per l’I.I.S. gli effetti dannosi
dalle onde
emesse
dai campi elettromagnetici») –
comunicati
10.11.2000, in cui la trasmissione “Striscia la notizia” aveva
rinviato al link in cui erano riportati – per il loro tenore
insinuante
inducevano il lettore a ritenere che la Motorola
avesse comprato il giudizio del Vecchia sugli effetti negativi
delle onde elettromagnetiche; b) nei comunicati non solo non
era precisata l’entità della somma versata, che era modesta e
priva di ogni credibile capacità di condizionamento, ma erano
stati, altresì, omessi alcuni dati essenziali sugli sviluppi
della vicenda, in contrasto con il dovere di informazione
corretta e completa; in particolare non si faceva cenno alla
circostanza che l’indagine amministrativa si era chiusa sin
dal dicembre 1998 con esito pienamente favorevole al dirigente
e che nel processo scaturito su segnalazione del Codacons era
intervenuta, nel dicembre 1999, sentenza assolutoria con la
formula “il fatto non sussiste” in relazione all’imputazione
di abuso di ufficio, per i rapporti intercorsi tra l’appellato
e l’associazione AIRP; c) era irrilevante che la sentenza
assolutoria fosse reperibile in rete su altra rubrica perché
l’informazione avrebbe dovuto essere agevolmente rinvenibile
nello stesso contesto in cui veniva data quella di segno
contrario.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
5
acul
ancora presenti sul sito del Codacons alla data del
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione o falsa
applicazione degli artt. 595 cod. pen., 2043 cod. civ., 21
Cost. e 51 cod. pen. per non avere considerato che i
comunicati stampa di cui trattasi costit4ivano legittimo
esercizio del diritto di critica.
dell’art. 360 n.5 cod. proc. insufficiente motivazione per
avere ritenuto la natura diffamatoria del comportamento del
Codacons
essenzialmente sulla base della circostanza che
non
fosse stata data notizia del proscioglimento del Vecchia
all’interno del medesimo sito
Internet.
Al riguardo parte
ricorrente lamenta l’erronea ricostruzione della fattispecie
concreta, dal momento che siffatta notizia era riportata, non
già in altra rubrica reperibile in rete – come affermato nella
decisione impugnata – bensì nello stesso sito
Internet
dell’associazione, all’interno dell’area tematica dedicata
all’elettrosmog, accessibile dalla stessa pagina web ove erano
collocati i comunicati in contestazione.
2. I suddetti motivi, che si esaminano congiuntamente per
la loro evidente connessione, sono, per una parte,
inammissibili e, per altra, infondati. Inammissibili, perché
oltre a porre in termini di novità la questione dell’esercizio
del diritto di critica, investono accertamenti in fatto, senza
porre in evidenza effettivi vizi di incongruenza, illogicità
od insufficienza della motivazione. Infondati, perché nella
disamina del contenuto dei “comunicati stampa” in discussione
la Corte territoriale si è adeguata a principi costantemente
predicati da questo Giudice di legittimità in tema di
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1.2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
diffamazione a mezzo stampa in ordine alla necessità di
interpretare le parole adottate anche in senso traslato, con
riferimento all’intero contesto espositivo, coerentemente
pervenendo alla conferma del riconoscimento della valenza
diffamatoria dei suddetti “comunicati”.
fine l’informazione e, perciò, consiste nella mera
comunicazione delle notizie, mentre se il giornalista, sia pur
nell’intento di dare compiuta rappresentazione, opera una
propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne
sottolinei dettagli, all’evidenza propone un’opinione. Il che
non vuol dire che non vi possa essere una commistione tra
informazione e critica; piuttosto vale ad evidenziare che,
anche in ragione di siffatta commistione, il controllo del
giudice sul rispetto dei limiti nell’esercizio del diritto di
critica, da un lato, richiede il riferimento al parametro di
veridicità della cronaca, per stabilire se l’articolista abbia
assunto una corretta premessa per le sue valutazioni,
dall’altro implica quello di continenza ed interesse sul metro
delle valutazioni che sono il fine dell’articolo.
Invero questa Corte è costante nel ritenere che l’esimente
di cui all’art. 51 cod. pen. è riconoscibile sempre che sia
indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione,
quindi il loro rilievo per l’interesse pubblico e, infine, la
continenza nel darne notizia o commentarli. Il che spiega la
rilevanza del criterio dell’allusività, nell’accertamento del
carattere diffamatorio di uno scritto, con una formula che
viene normalmente riferita come il rapporto di interazione tra
7
2.1. In punto di diritto si rammenta che la cronaca ha per
testo e contesto, giacchè l’evento lesivo della reputazione
altrui può ben realizzarsi, oltre che per il contenuto
oggettivamente offensivo della frase autonomamente
considerata, anche perchè il contesto, in cui la stessa è
pronunziata, determina un mutamento del significato apparente
un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio (cfr. Cass.
pen. 26 marzo 1998, n. 9839).
In particolare il risarcimento dei danni da diffamazione è
escluso dall’esimente dell’esercizio del diritto di critica
quando i fatti narrati corrispondano a verità e l’autore,
nell’esposizione degli stessi, seppur con terminologia aspra e
di pungente disapprovazione, si sia limitato ad esprimere
l’insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n.
10031). Se è vero, infatti, che il diritto di critica non si
concreta, come quello di cronaca, nella narrazione veritiera
di fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può
che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi, resta fermo
che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve
corrispondere a verità, sia pure non assoluta, ma
ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per
altre circostanze oggettive, così come accade per il diritto
di cronaca (cfr. Cass. 06 aprile 2011, n. 7847), con la
precisazione che, qualora la narrazione di determinati fatti
sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto,
in modo da costituire nel contempo esercizio di critica,
stabilire se lo scritto rispetti il requisito della continenza
verbale è valutazione che non può essere condotta sulla base
8
della frase altrimenti non diffamatoria, dandole quanto meno
di
criteri
solo
formali,
richiedendosi,
invece,
un
bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con
quello alla libera manifestazione del pensiero,
costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.), bilanciamento
ravvisabile nella pertinenza della critica all’interesse
di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che
costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente
dell’esercizio del diritto di critica (Cass. 20 giugno 2013,
n. 15443).
2.2. E’ appena il caso di aggiungere che la circostanza
che, nella specie, si controverta sul carattere diffamatorio
di due “comunicati stampa” reperibili su un sito internet, non
esclude l’applicabilità dei principi sopra riportati,
segnatamente elaborati dalla giurisprudenza di questa Corte
con riferimento alla diffamazione a mezzo stampa. Se è vero,
infatti, che la diffamazione tramite Internet è riconducibile
all’ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi del coma 3
dell’art. 595 cod. pen., commessa con altro (rispetto alla
stampa) mezzo di pubblicità – apparendo, anzi, per la sua
peculiarità, quasi un
tertium genus
tra la stampa e, per
l’appunto, gli altri mezzi di pubblicità (cfr. Cass. peri. 01
luglio 2008, n. 31392) – è pur vero che Internet costituisce
un mezzo di diffusione di notizie e idee (al pari, se non di
più, di stampa, radio e televisione), di modo che il diritto
di esprimere le proprie opinioni, riconosciuto a
«tutti»
dall’art. 21 Cost., da cui discendono i diritti di
informazione e critica, può e deve essere esercitato – quale
9
PAi
dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto
che sia, tra quelli indicati, il mezzo di diffusione
nell’ottica del necessario bilanciamento con l’altro diritto
primario all’onore e alla reputazione e, quindi, nei limiti
tradizionalmente indicati dalla giurisprudenza, con le
precisazioni sopra svolte con specifico riguardo alla critica,
continenza e della pertinenza.
2.3. Ciò posto in via di principio, venendo al caso di
specie, si osserva, innanzitutto, che l’incontroverso
riferimento al contenuto del
link
come a quello di due
“comunicati stampa” richiama più il taglio della “notizia”,
che quello della critica. In ogni caso – anche a ritenere che
il motivo di appello, con cui si prospettava che il tenore del
comunicato stampa del novembre 1998 si limitava a
problema”
“porre il
della legittimità del comportamento di un
funzionario pubblico
(cfr.
pag.2 della decisione impugnata),
intendesse profilare una commistione tra notizia e commento è assorbente la considerazione che la Corte di appello si è
fatto carico di siffatto rilievo, con argomentazioni che si
collocano perfettamente nell’alveo dei principi sopra esposti
sub 2.1., segnatamente evidenziando non solo l’incompletezza
della notizia, assunta come premessa del “problema” sollevato
(per essere stata taciuta la misura del contributo alla
società e per non essere stato aggiornato il
link
con la
notizia dell’esito positivo per il Vecchia sia dell’indagine
amministrativa, sia del procedimento penale), ma anche il tono
insinuante dell’esposizione, idonea a suggerire, con un facile
sillogismo (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), al lettore
lo
Do/a{
della verità obiettiva (per quanto ciò sia accertabile), della
del sito l’immagine reale di un soggetto foraggiato dalla
Motorola al fine di affermare l’innocuità degli effetti delle
onde elettromagnetiche emesse dai cellulari.
Si rammenta che non è ravvisabile il requisp.to della verità
oggettiva, allorquando, pur essendo veri i singoli fatti
taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi
da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti
riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero
da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi
obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore (od
ascoltatore) rappresentazioni della realtà oggettiva false; il
che si esprime nella formula che «il testo va letto nel
contesto», il quale può determinare un mutamento del
significato apparente della frase altrimenti non diffamatoria,
dandole un contenuto allusivo, percepibile dall’uomo medio
(Cass. 14 ottobre 2008, n. 25157 )
Merita puntualizzare, con riferimento al caso di specie,
che la denuncia dell’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di
appello, allorché ha stigmatizzato la circostanza che la
notizia della sentenza assolutoria fosse reperibile in rete in
altra rubrica, affidando la completezza della informazione
alla
«eventuale capacità (di “cybernauta#) del lettore di
procedere ad uno “slalom” tra i vari siti»
(così a pag. 4
della sentenza) – laddove (secondo il ricorrente: cfr. pagg.
36/38 del ricorso) la notizia sarebbe stata facilmente
accessibile anche all’utente privo di capacità di “cybernauta”
per trovarsi nello stesso sito e nella stessa pagina del
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link
riferiti, siano, dolosamente o anche soltanto colposamente,
in discussione – per un verso, sollecita valutazioni, in
fatto, meramente alternative a quelle svolte dal giudice del
merito, per altro verso, si rivela priva di decisività,
giacchè non sminuisce affatto la valenza della considerazione,
secondo cui «il dato saliente, che smentiva in radice la tesi
rendendolo sfumato e di non immediata percezione»
(cfr. pag.4
della sentenza).
Le valutazioni espresse sono di stretto merito e qui non
sindacabili. Invero in tema di azione di risarcimento dei
danni da diffamazione, la ricostruzione storica dei fatti, la
valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in
concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui
reputazione, l’esclusione della esimente dell’esercizio del
diritto di cronaca e di critica costituiscono accertamenti in
fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede
• di legittimità se sorretti come nella specie – da
argomentata motivazione, esente da vizi logici ed errori di
diritto
(ex multis, Cass. 18 ottobre 2005, n. 20139; Cass. 27
ottobre 2005, n. 20907).
In definitiva nessuno dei motivi all’esame merita
accoglimento.
3. Gli altri motivi si appuntano sulla determinazione
quantitativa del danno.
Al riguardo la Corte territoriale ha arguito, in via di
presunzione, la lesione della reputazione e dell’immagine
professionale del Vecchia, per la considerazione che un numero
cospicuo di persone aveva avuto o potuto avere cognizione dei
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iniziale, è stato decontestualizzato, isolato, parcellizzato,
suddetti offensivi comunicati e, quindi, percepito alla
stregua della comune coscienza, un’immagine biasimevole
dell’appellato sotto il profilo etico e professionale,
ravvisando in tale situazione il danno in re ipsa e reputando
nel contempo la somma liquidata dal primo Giudice adeguata al
alla posizione della parte lesa, di alto dirigente di
organismo preposto alla salute pubblica e in considerazione
della potenziale elevata diffusività del messaggio
denigratorio.
3.1. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione degli artt. 2043
e 2697 cod. civ. per avere ritenuto il danno conseguente alla
lesione della reputazione fosse
in re ipsa in contrasto con
l’insegnamento delle SS.UU. che vuole che il danno non
patrimoniale, come danno conseguenza, debba essere sempre
provato.
3.2. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi
dell’art. 360 n.3 cod. proc. civ. violazione degli artt. 112
cod. proc. civ., 2043, 2697 e 2729 cod. civ.. Al riguardo
parte ricorrente deduce, per un verso, che vi sarebbe stata
violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato, per essere stato riconosciuto il risarcimento del
danno da lesione della reputazione personale, sebbene l’attore
Ovagst
agito per il danno da lesione della propria
~tUe
reputazione professionale e, dall’altro, che quand’anche il
danno da lesione della reputazione personale potesse ritenersi
In re Ipsa, non altrettanto potrebbe dirsi per il pregiudizio
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contenuto dei comunicati, altamente disonorevole in rapporto
all’attività professionale che andava provato.
3.3. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia
insufficiente motivazione sull’entità del risarcimento con
specifico riguardo alla natura delle censure svolte in appello
sul numero dei potenziali lettori del sito rispetto agli
diffuso i due comunicati stampa.
4. Anche i suddetti motivi sono suscettibili di esame
unitario. Parte ricorrente muove, in sostanza, dal presupposto
che il “danno” liquidato (e impropriamente definito nella
decisione impugnata
in re ipsa)
afferente la reputazione
personale sia diverso da quello relativo alla “reputazione
professionale” che sarebbe stato invocato a fondamento della
pretesa risarcitoria, onde, per un verso, vi sarebbe stata
violazione del principio di cui all’art. 112 cod. proc. civ.
e, per altro verso, non sarebbe predicabile quel principio peraltro in contrasto con le note sentenze di S. Martino affermato da una giurisprudenza meno recente (in ricorso si
menziona Cass. n. 6507 del 2001) – secondo cui nell’ipotesi di
lesione della reputazione personale, a differenza di quella
della lesione della reputazione professionale, il danno
potrebbe ritenersi in re ipsa.
Da tale premessa erronea conseguirebbe anche la carenza
motivazionale, giacchè il risarcimento sarebbe stato liquidato
in difetto di elementi di prova e con motivazione inadeguata
anche per l’incertezza del numero di accessi al sito e al link
nel periodo in cui erano visibili i comunicati stampa.
Nessuno dei motivi all’esame merita accoglimento.
14
spettatori del programma “Striscia la notizia” che aveva
4.1. Va premesso che è ormai acquisita una nozione
“monistica” dei diritti della persona umana, con fondamento
costituzionale, nell’ambito della quale l’individuo non
considerato come un punto di aggregazione di valori (tra cui
ma non esaustivamente, i diritti inviolabili),
inteso come somma degli stessi,
scindibili, ma come un
unicum,
sempre autonomamente
per cui la lesione di uno
qualunque di tali valori, è sotto il profilo qualitativo
sempre lesione della persona umana. In tale contesto il c.d.
danno alla reputazione va inquadrato nell’ambito dell’unica
categoria del danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 cod.
civ., trovando il suo fondamento normativo nell’art.2 Cost.
inteso quale precetto nella sua più ampia dimensione di
clausola generale, “aperta” all’evoluzione dell’ordinamento e
suscettibile, per ciò appunto, di apprestare copertura
costituzionale anche a nuovi valori emergenti della
personalità, in correlazione anche all’obiettivo primario di
tutela “del pieno sviluppo della persona umana”, di cui al
successivo art. 3.
Nell’ambito di tale inquadramento – mentre può ovviamente
configurarsi anche un danno patrimoniale, quale
conseguenza
della diffamazione, diversa e distinta dalla lesione del bene
persona, con un diverso atteggiarsi delle modalità di
assolvimento dell’onere della prova non è consentito
distinguere tra “reputazione personale” e “reputazione
professionale” come se si trattasse di beni diversi oggetto di
domande distinte, essendo unico il riferimento unitario alla
personalità umana e alla persona come singolo, operato
15
0Q(
in primis,
dall’art. 2 Cost. e potendo, perciò, mutare il percorso lesivo
e l’entità e l’intensità dell’aggressione, ma non il punto
terminale, che è costituito sempre e solo dalla persona, nella
sua unitarietà.
Inoltre
in adesione a principi affermati dalle note
patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di
diritti inviolabili della persona, come nel caso di lesione al
diritto alla reputazione, non è in re ipsa, ma costituisce un
danno conseguenza, che deve essere allegato e provato da chi
ne domandi il risarcimento (Cass. 24 settembre 2013, n.
21865); fermo restando che la prova di tale danno può essere
data con ricorso al notorio e tramite presunzioni (cfr. Cass.
28 settembre 2012, n. 16543), assumendo, a tal fine, come
idonei parametri di riferimento la diffusione dello scritto,
la rilevanza dell’offesa e la posizione sociale della persona
colpita, tenuto conto del suo inserimento in un deteLminato
contesto sociale e professionale.
4.2. Orbene rileva il Collegio che la decisione impugnata
non si discosta dall’ambito ermeneutico sopra delineato.
Innanzitutto – contrariamente a quanto opinato da parte
ricorrente – la Corte di appello non ha affatto accordato il
risarcimento della “reputazione personale”, nell’ottica
dell’esistenza di diversi danni (conseguenza) non
patrimoniali, bensì ha confermato la liquidazione (unitaria)
operata in prime cure, tenendo conto dei diversi profili del
caso concreto e individuando precisi elementi indiziari della
lesione della reputazione, identificata con il senso della
16
sentenze di S. Martino – va ribadito che il danno non
dignità personale (non già quam
suis,
ma) in conformità a
quella acquisita nel contesto sociale e, quindi, anche (ma non
solo) nell’ambito professionale. Non vi è, dunque, alcuna
violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato che, del resto, (se del caso), avrebbe dovuto
Inoltre l’inciso contenuto nella sentenza impugnata,
laddove si fa riferimento al danno in re
ipsa,
altro rilievo che quello di valorizzare
non assume
l’evento,
quale
sofferenza patita dalla sfera morale del soggetto leso che si
realizza, nel caso di diffamazione, nel momento in cui la
parte lesa ne viene a conoscenza, mentre le valutazioni
espresse sulle sue
conseguenze sono coerenti con i principi
sopra richiamati in punto di ricorso al notorio e alla prova
presuntiva in ordine al relativo accertamento.
La statuizione impugnata sopra sintetizzata
sub
3 non
incorre, dunque, nelle denunciate violazioni di legge o nel
vizio motivazionale; nel contempo il criterio equitativo,
richiamato ai fini del rilievo di congruità della
determinazione quantitativa operata in primo grado, non è
affatto arbitrario, ma espressione di una legittima scelta
valutativa, qui non sindacabile. Invero l’esercizio del potere
equitativo del giudice di merito è censurabile solo nel caso
in cui la liquidazione del danno morale appaia manifestamente
simbolica o per nulla correlata con le premesse di fatto in
ordine alla natura e all’entità del danno accertato dallo
stesso giudice (Cass. 28 agosto 2003, n. 12613); il che nella
specie non può dirsi verificato.
17
essere fatto valere avverso la sentenza di primo grado.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in
dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M.
n.55/2014, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in
e
4.300,00 (di cui 200,00 per esborsi) oltre accessori come
per legge e contributo spese generali.
Roma 23 giugno 2014
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al