Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18174 del 01/09/2020

Cassazione civile sez. lav., 01/09/2020, (ud. 23/01/2020, dep. 01/09/2020), n.18174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28670-2014 proposto da:

Z.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FABIO MASSIMO

60, presso lo studio dell’avvocato ENRICO CAROLI, rappresentato e

difeso dagli avvocati DANIELA EDRA, ANTONIO ZAVOLI;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, LELIO MARITATO, CARLA D’ALOISIO, EMANUELE DE ROSE,

GIUSEPPE MATANO, ESTER ADA VITA SCIPLINO;

– resistenti con mandato –

avverso la sentenza n. 730/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 19/06/2014 R.G.N. 1270/2011.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Bologna, con sentenza del 19 giugno 2014, in riforma della pronuncia di primo grado, ha respinto le domande proposte da Zeta Servizi Srl e Z.M., in proprio, avverso l’iscrizione a ruolo e la conseguente cartella esattoriale scaturiti da un verbale di accertamento del Servizio ispezione della Direzione Provinciale del Lavoro di Rimini del 3 ottobre 2008;

2. la Corte territoriale ha ritenuto, sulla scorta del materiale probatorio acquisito in causa, che INPS e SCCI spa avessero fornito la prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato instauratosi tra la società Zeta Servizi Srl e due lavoratori stranieri, per i periodi oggetto di contestazione; in particolare – secondo la Corte – tale prova poteva “essere desunta proprio dalle dichiarazioni rese in sede ispettiva dai due lavoratori interessati”, sentiti anche in corso di giudizio;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il solo Z.M. con 3 motivi; l’INPS ha solo depositato procura.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso si denuncia: “art. 360 c.p.c., n. 3: violazione o falsa applicazione di norme di diritto; art. 360 c.p.c., n. 5: omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La Corte di Appello ha erroneamente preteso basare la decisione sulle dichiarazioni contraddittorie e contraddette dei pretesi dipendenti all’ispettore. La Corte di Appello contraddice la logica processuale delle prove e se stessa: quando afferma che è sufficiente basarsi sulle dichiarazioni dei presunti dipendenti”;

2. il motivo non è meritevole di accoglimento;

esso è inammissibile nella parte in cui invoca l’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè, nonostante la sentenza impugnata sia sottoposta al regime dell’art. 360 c.p.c., n. 5 introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv. in L. n. 134 del 2012, non viene formulato nel rispetto degli enunciati imposti da Cass. SS. UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, secondo cui è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione; invece parte ricorrente addirittura richiama la precedente formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 non più in vigore, eccependo “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione” della sentenza impugnata, per cui la censura si palesa per ciò stesso inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” argomentativa, limitando il controllo di legittimità all'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, fatto storico decisivo che in alcun modo viene individuato da parte ricorrente;

quanto poi alla pretesa “violazione o falsa applicazione di norme di diritto”, che il ricorrente neanche si cura di identificare, la sentenza impugnata si è, invece, attenuta al principio più volte affermato da questa Corte, in riferimento ai verbali ispettivi, secondo cui, in ordine alle circostanze apprese da terzi, detti rapporti redatti dai funzionari degli istituti previdenziali, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, per la loro natura hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una prova contraria qualora il rapporto sia in grado di esprimere ogni elemento da cui trae origine, e in particolare siano allegati i verbali, che costituiscono la fonte della conoscenza riferita dall’ispettore nel rapporto, e possono essere acquisiti anche con l’esercizio dei poteri ex art. 421 c.p.c., sì da consentire al giudice, e alle parti, il controllo e la valutazione del loro contenuto; anche in mancanza di acquisizione dei suddetti verbali, il rapporto ispettivo (con riguardo alle informazioni apprese da terzi) resta un elemento che il giudice può valutare in concorso con gli altri elementi probatori (cfr., da ultimo, Cass. n. 31009 del 2019; v. pure Cass. n. 11646 del 2018; Cass. n. 20768 del 2017 e i precedenti ivi richiamati); naturalmente è del tutto privo di rilievo nella presente controversia il diverso convincimento di merito eventualmente espresso dal medesimo collegio di appello in altro giudizio ed in altro contesto processuale;

3. il secondo motivo denuncia: “art. 360 c.p.c., n. 3: per violazione o falsa applicazione di norme di diritto nonchè art. 360 c.p.c., n. 5. Il principio di diritto è che un cittadino straniero che non conosca perfettamente la lingua italiana deve essere interrogato nella sua lingua originale attraverso l’uso del traduttore/interprete: e ciò sia in sede penale che civile, che amministrativa a pena di nullità”;

4. il motivo non può trovare accoglimento;

la censura è innanzitutto priva di specificità, considerato che, avuto riguardo alla violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il vizio va dedotto, a pena di inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme di diritto asseritamente violate ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. n. 287 del 2016; Cass. n. 635 del 2015; Cass. n. 25419 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012);

nella specie parte ricorrente assembla, nell’illustrazione del motivo, una serie di riferimenti ad un insieme di disposizioni di leggi speciali, oltre che a precedenti giurisprudenziali di giudici amministrativi e penali, nonchè a pronunce della Corte costituzionale, del tutto eterogenei tra loro e sicuramente inapplicabili alla fattispecie, tanto da precludere a questa Corte la decifrazione, ancor prima della delibazione, del fondamento della doglianza;

inoltre il ricorrente trascura che, finanche nell’ambito del processo civile, il codice di rito stabilisce all’art. 122 c.p.c., comma 2 che “il giudice può nominare un interprete”, ma solo se chi debba essere sentito “non conosce la lingua italiana”; spetta al cittadino straniero avanzare istanza di essere ascoltato previa nomina di un interprete (v. Cass. n. 9448 del 2009) e l’eventuale nullità degli atti processuali, riguardando soltanto le modalità di audizione dello straniero, deve essere eccepita dalla parte interessata non oltre la prima istanza o difesa successiva alla stessa audizione (Cass. n. 14792 del 2014); anzi, il rifiuto eventualmente opposto dal giudice alla nomina del traduttore non determina, “ex se”, l’invalidità degli atti processuali, una tale conseguenza potendosi avere solo quando l’interessato deduca che la mancata traduzione non l’ha posto, in concreto, nelle condizioni di comprendere il contenuto di atti processuali compiuti nella lingua ufficiale, menomandolo nei propri diritti di azione e di difesa e la verifica se la parte processuale conosca o meno la lingua italiana e se la mancata traduzione abbia inciso sul suo diritto è demandata, previa necessaria specifica denuncia dell’interessato, in via esclusiva al giudice del merito (cfr. Cass. n. 11038 del 2004); nel caso in esame parte ricorrente non solo non deduce adeguatamente se, come e quando abbia eccepito nel corso del processo la pretesa nullità, ma per di più la Corte territoriale ha specificamente motivato in punto di ritenuta conoscenza della lingua italiana da parte dei lavoratori stranieri sentiti nel corso del processo ed anche nell’ambito dell’attività ispettiva, con un accertamento di fatto che non può essere certamente sindacato in questa sede di legittimità;

5. il terzo mezzo denuncia: “art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Art. 360 c.p.c., n. 5, omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Erronea valutazione del rilievo giuridico della iscrizione all’albo degli artigiani; della qualità del lavoro del dipendente rispetto all’artigiano (pretesa impossibilità delle stesse prestazioni)”;

6. anche tale motivo è affetto dagli stessi vizi di formulazione già evidenziati nei motivi che precedono, lamentando “violazione e falsa applicazione di norme di diritto” non adeguatamente specificate nonchè una “omessa o insufficiente motivazione” ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. senza tenere conto dei limiti imposti al sindacato sulla motivazione dalla novella del 2012;

nella sostanza, poi, parte ricorrente, lungi dal denunciare una effettiva violazione o falsa applicazione di norme di diritto, che presupporrebbe una ricostruzione della vicenda storica quale operata dalla sentenza impugnata, invece oppone una diversa ricostruzione della medesima vicenda storica, sulla base di una valutazione del materiale probatorio, peraltro diffusamente richiamato nel corpo del motivo, difforme da quella apprezzata dai giudici cui compete il dominio esclusivo del merito, così invocando un sindacato del tutto estraneo al giudizio di legittimità;

7. conclusivamente il ricorso va rigettato; nulla per le spese in difetto di attività difensiva dell’Inps che ha solo depositato procura;

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

la Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 1 settembre 2020

 

 

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