Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18173 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. I, 05/07/2019, (ud. 15/05/2019, dep. 05/07/2019), n.18173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – rel. Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14417/2014 proposto da:

Comune Mola di Bari, in persona del Sindaco pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma Via Cosseria, 2 presso lo studio

del Dott. Alfredo Placidi e rappresentato e difeso dall’avvocato

Saverio Profeta, in forza di procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.A., C.P. in proprio e quale procuratore di

C.G., C.M., M.M., M.R.,

S.R.R.;

– intimati –

e contro

C.T., C.L., C.F.,

C.M. di Mi., tutti quali coeredi e aventi causa del padre

Ca.Mi., e Sc.Gi., quale coerede e aventi causa del

coniuge Ca.Mi., elettivamente domiciliati in Roma, Via

Della Consulta 50, presso lo studio dell’avvocato Antonio Mancini

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lorenza

Calvario, in forza di procure speciali in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 570/2013 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 12/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

15/05/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE

SCOTTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 10/3/1993 C.P., in proprio e quale procuratore generale dei fratelli G. e C.M., ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il Comune di Mola, chiedendo il risarcimento dei danni per occupazione illecita di alcuni terreni e conseguente irreversibile trasformazione, nonchè il risarcimento del maggior danno conseguente alla diminuzione di valore della loro residua proprietà.

Il Comune di Mola si è costituito in giudizio chiedendo il rigetto delle domande attrici.

Dopo l’interruzione del giudizio per il decesso del difensore del convenuto, hanno provveduto alla riassunzione gli originari attori P. e C.G., nonchè gli aventi causa per cessione di credito di C.M., ossia i figli L., T., M. e C.F..

Espletata consulenza tecnica, con sentenza dell’8/4/2010 il Tribunale di Bari ha dichiarato la propria incompetenza a conoscere della domanda di occupazione legittima e ha rigettato le restanti domande degli attori, a spese compensate.

2. Hanno proposto appello contro la sentenza di primo grado P., L., T., M. e C.F..

Il Comune di Mola ha sollevato varie eccezioni preliminari (nullità dell’atto di appello per carenza di mandato; estinzione del processo per tardiva riassunzione, prescrizione del diritto degli attori) e ha comunque chiesto il rigetto dell’avversaria impugnazione.

La Corte di appello di Bari con sentenza del 12/6/2013, accolto parzialmente il gravame, ha dichiarato prescritto il diritto vantato dagli attori per indennità di occupazione legittima, ha condannato il Comune di Mola a pagare agli attori la complessiva somma di Euro 728.373,42, comprensiva di rivalutazione e interessi, a titolo di risarcimento del danno per la perdita del terreno, nonchè l’ulteriore somma di Euro 106.611,40, comprensiva di rivalutazione e interessi, a titolo di risarcimento del danno da occupazione illegittima e ha infine posto a carico del Comune i 3/4 delle spese processuali dei due gradi del giudizio.

3. Avverso la predetta sentenza del 12/6/2013 con atto notificato il 28/5/2014 ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Mola, chiedendo, in via preliminare, la rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., ritenuta norma applicabile ratione temporis, per essere incorso in decadenza per causa non imputabile.

Il Comune ricorrente sostiene infatti di aver appreso dal suo difensore, avv. Marco Montedoro, solo in data 22/10/2013, quando ormai il termine c.d. “breve” per impugnare era già spirato, che copia conforme della sentenza di secondo grado era stata notificata al suo procuratore costituito in data 28/6/2013 e aggiunge che costui, pur richiesto, non aveva nè consegnato, nè esibito la predetta sentenza notificata.

Con il motivo di ricorso il Comune deduce vizio di violazione di legge ex art. 360, n. 3 con riferimento alla L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 13 e della L. n. 167 del 1962, art. 9 nonchè vizio motivazionale ex art. 360, n. 5, per motivazione omessa, insufficiente, o erronea su di un punto decisivo della controversia.

Il Comune ricorrente ha depositato altresì istanza di rimessione in termini del 10/6/2014.

Con atto notificato il 9/7/2014 hanno proposto controricorso L., T., M. e C.F., quali coeredi e aventi causa di Ca.Mi. nonchè Sc.Gi. coerede di Ca.Mi., chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto dell’avversaria impugnazione.

I controricorrenti hanno eccepito l’improponibilità o inammissibilità dell’avversaria richiesta di rimessione in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c., l’improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2, nonchè l’improponibilità del ricorso proposto in violazione del giudicato.

Entrambe le parti costituite hanno depositato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso, al pari dell’istanza di rimessione in termini che lo accompagna, è palesemente inammissibile, oltre che improcedibile.

1.1. Innanzitutto il Comune ricorrente non ha allegato al ricorso la copia autentica della sentenza impugnata con la relazione di notificazione, che pure assume avvenuta, in violazione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 2.

1.2. In secondo luogo, lo stesso ricorrente allega e riconosce, sia pur senza depositare l’atto, che la sentenza di secondo grado della Corte di appello di Bari del 12/6/2013, qui impugnata, era stata notificata ex art. 170 c.p.c. al suo difensore costituito nel grado (l’avv. Marco Montedoro) in data 28/6/2013, prima di essere ulteriormente notificata allo stesso Comune a fini esecutivi, corredata della formula di legge in data 2/10/2013.

Il Comune ricorrente assume di aver appreso della prima notifica da una missiva p.e.c. in data 22/10/2013 del proprio difensore, quando era ormai decorso il termine breve di sessanta giorni per impugnare ex art. 325 c.p.c., scaduto il 16/10/2013.

Il ricorso per cassazione è quindi, secondo la stessa tesi del ricorrente ampiamente tardivo e per vero – si nota incidentalmente – neppur proposto immediatamente dopo aver appreso la circostanza, ma molto dopo, il 27/5/2014.

2. Il Comune sostiene di essere incorso in decadenza per causa ad esso non imputabile e chiede conseguentemente di essere rimesso in termini ai sensi dell’art. 184 bis c.p.c. ritenuta norma ratione temporis applicabile.

2.1. L’istanza è inammissibile.

2.2. Il Codice di rito nella versione originaria non disciplinava la rimessione in termini con una disposizione di carattere generale, ma conteneva solo disposizioni specifiche e circoscritte, come l’art. 294 c.p.c. a tutela del c.d. “contumace involontario”.

La novella apportata dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 ha introdotto un particolare istituto di rimessione in termini, dettata peraltro con riferimento alle sole decadenze contemplate dai pure novellati artt. 183 e 184 c.p.c., e quindi con limitata valenza all’interno del grado di giudizio e riferibile alle sole decadenze e preclusioni assertive e istruttorie; tale disposizione è stata resa più elastica, sia pur nell’ambito del grado di cognizione dalla modifica introdotta dal D.L. n. 432 del 1995, convertito in L. n. 534 del 1995.

Tuttavia tale disposizione non figurava fra quelle considerata dalla disciplina transitoria di cui alla L. n. 353 del 1990, art. 90 sicchè ai giudizi in corso – e tale era quello per cui è causa instaurato il 10/3/1993 – la regola dell’art. 184 bis non sarebbe stata applicabile.

La disposizione è stata quindi abrogata dalla L. 18 giugno 2009, n. 69 con la generalizzazione dell’istituto, contemporaneamente attuata mediante l’introduzione dell’art. 153, comma 2 peraltro applicabile ai soli giudizi instaurati dopo l’entrata in vigore della legge (L. n. 69 del 2009, art. 58).

Al presente giudizio non è quindi direttamente applicabile nè l’art. 184 bis nè l’art. 153 c.p.c., comma 2, attualmente vigente, ma solo la disciplina ante-Novella che non prevedeva affatto un rimedio generale di rimessione in termini.

2.3. Tuttavia recentemente le Sezioni Unite di questa Corte (Sez. un., 18/12/2018, n. 32725), peraltro pronunciandosi con riferimento all’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, hanno affermato che l’istituto della rimessione in termini ivi previsto opera anche con riguardo al termine per proporre impugnazione e richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perchè cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà, tale non potendosi considerare, di per sè, la malattia del procuratore della parte.

Secondo le Sezioni Unite, l’art. 153 c.p.c., comma 2, ha introdotto, per i giudizi iniziati dal 4 luglio 2009 in poi, la generale facoltà per la parte, che dimostri di essere incorsa in decadenze per cause ad essa non imputabile, di chiedere al giudice di essere rimessa in termini, anche in riferimento ai termini perentori; l’art. 153 c.p.c. disciplina appunto i termini perentori, laddove la previsione precedente, inserita nell’art. 184 bis c.p.c., sembrava far riferimento per la sua collocazione nel capo dedicato all’istruzione della causa, solo alle decadenze dallo svolgimento di attività istruttorie.

Le Sezioni Unite hanno tuttavia contestualmente riconosciuto e ratificato l’orientamento in precedenza maturato nella giurisprudenza della Corte, che, già prima del mutamento normativo intervenuto, era pervenuta a superare l’esclusione dell’utilizzabilità dell’istituto della rimessione in termini in relazione alla facoltà di proporre impugnazioni, regolata da termini perentori. Si era infatti pervenuti a ritenere ammissibile l’istanza di rimessione in termini in riferimento alla decadenza dalla facoltà di proporre impugnazione per incolpevole decorso del termine per impugnare alla luce di una lettura costituzionalmente orientata dello stesso art. 184 bis c.p.c., maggiormente rispettosa dei principi costituzionali di effettività del contraddittorio e delle garanzie difensive (Sez. 6 – 3, n. 17704 del 29/07/2010, Rv. 615150 – 01). Di conseguenza, la Corte ha più volte in precedenza affermato che l’istituto della rimessione in termini, previsto dall’art. 184 bis c.p.c., abrogato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 46, e sostituito dalla generale previsione di cui all’art. 153 c.p.c., comma 2, doveva trovare applicazione, alla luce dei principi costituzionali di tutela delle garanzie difensive e del giusto processo, non solo con riguardo alla decadenza dai poteri processuali interni al giudizio, ma anche a situazioni esterne al suo svolgimento, quale la decadenza dal diritto di impugnazione (Sez. 5, n. 5946 del 08/03/2017, Rv. 643241 – 01; Sez. 5, n. 3277 del 02/03/2012, Rv. 622005 – 01).

2.4. Ciò premesso quanto all’ammissibilità dell’istanza, va però aggiunto che la rimessione in termini, sia nella norma dettata dall’art. 184 bis c.p.c., che in quella di più ampia portata contenuta nell’art. 153 c.p.c., comma 2, come novellato dalla L. n. 69 del 2009, richiede la dimostrazione che la decadenza sia stata determinata da una causa non imputabile alla parte, perchè cagionata da un fattore estraneo alla sua volontà (in questo senso, tra le tante, Cass. n. 17729 del 2018).

L’istituto della rimessione in termini, astrattamente applicabile anche al giudizio di cassazione, presuppone infatti la sussistenza in concreto di una causa non imputabile, riferibile ad un evento che presenti il carattere dell’assolutezza – e non già un’impossibilità relativa, nè tantomeno una mera difficoltà – e che sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza in questione. (Sez. 1, 23/11/2018, n. 30512).

Per altro verso, è stato anche precisato che la rimessione in termini, disciplinata dall’art. 153 c.p.c., non può essere riferita ad un evento esterno al processo, impeditivo della costituzione della parte, quale la circostanza dell’infedeltà del legale che non abbia dato esecuzione al mandato difensivo, giacchè attinente esclusivamente alla patologia del rapporto intercorrente tra la parte sostanziale e il professionista incaricato ai sensi dell’art. 83 c.p.c., che può assumere rilevanza soltanto ai fini di un’azione di responsabilità promossa contro quest’ultimo, e non già, quindi, spiegare effetti restitutori al fine del compimento di attività precluse alla parte dichiarata contumace, o, addirittura, comportare la revoca, in grado d’appello, di tale dichiarazione (Sez. 1, 17/11/2016, n. 23430; Sez.2, 04/03/2011, n. 5260).

2.5. In ogni caso nella fattispecie a giudizio appare assorbente il rilievo che il ricorrente non fornisce alcuna prova, tantomeno opponibile alla controparte, circa il fatto che il Comune avrebbe incolpevolmente ignorato la notifica avvenuta in data 28/6/2013 a mani del suo procuratore.

A sostegno di tale assunto il ricorrente infatti produce solo la p.e.c. del difensore del 22/10/2013, laddove peraltro costui assume di aver a suo tempo comunicato tempestivamente al Comune di Mola di Bari l’avvenuta notifica a sue mani. Scrive infatti l’avv. Montedoro nella mail p.e.c. del 22/10/2013 ore 19.16, allegata dal ricorrente: “…riscontro Sua in data odierna, per rappresentarle e ribadirle nuovamente che la sentenza della Corte di appello di Bari relativa alla controversia in oggetto (sent. n. 570/13), notificata in data 28/6/2013, come a Lei ben noto, è stata a codesto Spett.le Ente tempestivamente rimessa in copia con nota raccomandata in pari data, la quale ha fatto seguito a precedente nota del 23/65/2013, con la quale veniva rimessa la medesima sentenza non ancora notificata. Pertanto negligenze ed eventuali responsabilità nella questione vanno ricercate altrove….”.

A sostegno dell’assunto, quindi, vi è solo l’affermazione del Comune, mentre l’avv. Montedoro, comunque terzo estraneo al giudizio e nei cui riguardi la produzione della dichiarazione non può rivestire valenza probatoria, non ha affatto ammesso di essere stato inadempiente al mandato professionale ed anzi assume di avervi ottemperato (con gli effetti di inscindibilità propri di una dichiarazione ammissiva).

Quand’anche la parte interessata possa far valere ai fini della richiesta di rimessione in termini l’inadempimento professionale del proprio difensore, senza vedersi opporre la propria responsabilità se non altro per culpa in eligendo e con essa l’unitarietà delle posizioni della parte e del difensore al cospetto delle controparti processuali, non vi è alcuna valida prova in atti che l’avv.Montedoro sia venuto meno ai propri doveri nei confronti del proprio rappresentato e non gli abbia tempestivamente comunicato la notificazione ricevuta.

Circostanza che la parte ricorrente vorrebbe veder dimostrata in virtù dalla sua mera unilaterale allegazione che l’avvocato in questione, estraneo a questo processo e impossibilitato a contraddire, non gliene avrebbe fornito la prova.

3. Il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile la parte ricorrente deve essere condannata a rifondere le spese di lite ai controricorrenti, liquidate come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidate nella somma di Euro 7.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esposti, oltre al 15% rimborso spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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