Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18172 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. I, 05/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 05/07/2019), n.18172

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28618/2014 proposto da:

D.M.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via S.

Lucia n. 32, presso lo studio dell’avvocato Tanico Maria Antonietta,

che la rappresenta e difende unitamente a se medesima, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. in Liquidazione, in persona

del curatore Dott. B.D., elettivamente domiciliata in

Roma, Via Cassiodoro n. 1/a, presso lo studio dell’avvocato De Marco

Sandro (Studio Uva), rappresentata e difesa dall’avvocato De Marco

Nicolò, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BARI, del 20/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/04/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto emesso in data 20 ottobre 2014 il Tribunale di Bari ha rigettato l’opposizione L. Fall., ex art. 98 proposta da D.M.A. avverso il decreto con cui il G.D. dello stesso Tribunale, nel dichiarare esecutivo lo stato passivo del fallimento (OMISSIS) s.r.l. in liquidazione, aveva solo parzialmente (nella minor somma di circa Euro 2.500,00) ammesso il credito professionale dalla stessa vantato, a fronte di una pretesa di Euro 83.687,02.

Il Tribunale di Bari ha osservato che i documenti prodotti dall’opponente, asseritamente attestanti i conferimenti degli incarichi ed i compensi pattuiti per lo svolgimento di attività professionale prodromica alla presentazione di una domanda di concordato preventivo, erano privi di data certa, nè l’anteriorità al fallimento dei predetti documenti poteva ricavarsi da una fattura e da copie di delibere assembleari della società poi fallita. Il decreto impugnato ha, inoltre, giustificato l’entità del compenso (Euro 1.800,00) liquidato per l’attività giudiziale svolta in relazione al “valore indeterminato” della controversia indicato nella stessa nota spese a firma del legale ricorrente.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione D.M.A. affidandolo a cinque motivi.

La curatela si è costituita in giudizio con controricorso.

La ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’avv. D. ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione all’art. 2704 c.c..

Lamenta la ricorrente che lo svolgimento da parte sua di attività di consulenza legale, nella prospettiva della presentazione in favore della società poi fallita di una proposta di concordato preventivo, è documentata dalle scritture contabili della società medesima, che recano la registrazione di un pagamento a fronte di una fattura emessa dalla stessa ricorrente.

Espone, altresì, la ricorrente di aver esibito in originale lettere raccomandate A.R. e verbali di approvazione del bilancio della società regolarmente approvati e depositati presso il registro delle imprese, oltre ad altri documenti che comprovano l’attività stragiudiziale e giudiziale svolta, dolendosi che il Tribunale non abbia attribuito alcuna valenza alle comunicazioni inviate con raccomandate A.R.

Infine, si duole che non sia stata esaminata dal Tribunale nè la richiesta di prova per testi, vertente sulla data di conferimento di incarico e sul tempo in cui è stato espletato, nè la richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. delle scritture contabili della fallita e, in particolare, dell’assegno con cui è stata pagata la fattura esibita.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Lamenta la ricorrente insufficienze motivazionali del decreto impugnato in ordine al valore probatorio della fattura e dei verbali delle delibere assembleari esibiti nonchè l’omessa motivazione sulle lettere raccomandate AR, recanti il timbro postale di invio e ricezione, sulle mail inviate ai colleghi con p.e.c. e sulle richieste di prove testimoniali e sull’ordine di esibizione già sopra illustrati.

Lamenta, altresì, che non sia stata riconosciuta la data certa ai verbali di assemblea sebbene si trattasse di copie estratte ictu oculi dall’archivio della CCIAA.

Si duole, infine, che non è stata esaminata la richiesta di ammissione del credito vantato in prededuzione e del mancato riconoscimento del privilegio per le spese.

3. Con il terzo motivo è stata dedotta violazione e falsa applicazione del principio del contraddittorio ex art. 111 Cost. in combinato disposto con l’art. 24 Cost..

Lamenta la ricorrente che il Tribunale di Bari, con la superficiale analisi sulle prove precostituite prodotte e con l’omessa pronuncia sui punti decisivi sottoposti al suo esame, anche sulle prove costituende, ha violato il contraddittorio sul punto controverso – data certa delle scritture di conferimento dei mandati – e, conseguentemente, l’art. 101 c.p.c., comma 2.

4. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento all’art. 2721 c.c..

Lamenta la ricorrente l’omessa pronuncia sulle prove costituende richieste per provare l’anteriorità del conferimento dell’incarico rispetto alla dichiarazione di fallimento.

5. Il primo, il secondo e quarto motivo, da esaminare unitariamente in relazione alla stretta connessione delle questioni trattate, sono inammissibili.

Va osservato che il decreto impugnato, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha evidenziato che i documenti, che secondo la ricorrente dovrebbero dimostrare il conferimento alla stessa dell’incarico di consulenza legale e la pattuizione dei compensi, sono privi di data certa, come tale inopponibile al fallimento, non essendo, peraltro, idonei a dimostrare l’anteriorità dei documenti in oggetto al fallimento neppure gli ulteriori documenti prodotti, quali la fattura n. (OMISSIS) ed i verbali delle delibere assembleari della società fallita.

Le plurime censure svolte dalla ricorrente si appalesano inammissibili per svariate ragioni. Tali sono, innanzitutto, in quanto non colgono la ratio decidendi, quelle che intendono far valere (prescindendo del tutto dalla problematica della data certa) la valenza probatoria della fattura esibita.

Parimenti inammissibili, in quanto di merito, sono quelle doglianze con cui si vuol sostenere che le copie delle deliberazioni assembleari prodotte sono “copie ictu oculi estratte dall’archivio della c.c.I.A.A.” e ciò in contrasto con l’accertamento di fatto effettuato dal Tribunale che ha evidenziato la mancanza di certificazione di conformità della c.c.I.A.A. nonchè delle ricevute di invio telematico e di ricezione.

I motivi in oggetto si appalesano, inoltre, privi del requisito della specificità nella parte in cui si invoca il valore di data certa di imprecisate lettere raccomandate A.R., l’indicazione del cui contenuto è stata dalla ricorrente totalmente omessa, o nella parte in cui la ricorrente si duole dell’omesso esame della prova per testi articolata senza aver neppur riportato in termini precisi il contenuto delle circostanze capitolate.

In proposito, è orientamento consolidato di questa Corte che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, il giudice di legittimità deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative. (Sez. 6 3, n. 19985 del 10/08/2017; conf. Sez. 5, n. 14107 del 07/06/2017).

In ordine alla doglianza relativa all’omesso esame della richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. delle scritture contabili della fallita e, in particolare, dell’assegno con cui è stata pagata la fattura esibita, anche su tale punto la ricorrente ha dimostrato di non aver colto la ratio decidendi, che si fonda sulla mancanza di data certa dei documenti prodotti dalla ricorrente a sostegno della sua pretesa.

Va, infine, osservato che il secondo motivo si appalesa inammissibile, in primo luogo, in considerazione del fatto che, a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per effetto della riforma del 2012, non è più deducibile la “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione”, ma solo l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Peraltro, la ricorrente – con la sola eccezione delle doglianze che concernono l’omesso esame delle raccomandate A.R., delle prove testimoniali, e dell’istanza di esibizione (in relazione alle quali sono stati comunque già evidenziati altri profili di inammissibilità) – non solo nella forma, ma neppure nella sostanza, ovvero nello svolgimento del motivo, ha articolato la propria censura nell’unico modo attualmente consentito.

6. Il terzo motivo è palesemente infondato.

Emerge dalla ricostruzione del decreto impugnato che la tematica della data certa dei documenti di conferimento dell’incarico e della pattuizione del compenso non è stata introdotta d’ufficio dal Tribunale di Bari, essendo la relativa eccezione stata sollevata dal curatore in sede di verifica dello stato passivo. Inequivocabile, in tale senso, è l’espressione utilizzata dal G.D. nel proprio decreto: “Si esclude il restante credito in quanto le pattuizioni del compenso sono prive di data certa”.

7. Con il quinto motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.M. n. 140 del 2012 in relazione alla omessa liquidazione delle spese generali, alla quantificazione liquidazione del compenso di avvocato e in relazione alla integrale soccombenza riconosciuta alla ricorrente, in sede di condanna alle spese processuali, nonostante fosse stata rigettata l’eccezione preliminare sollevata dalla curatela.

8. Il motivo è infondato.

In primo luogo, quanto alle spese generali, giuridicamente ineccepibile è la motivazione del Tribunale secondo cui in mancanza dell’ammissione al passivo dei compensi professionali cui erano riferite le richieste spese generali, tali spese non potevano essere riconosciute. Peraltro, il riferimento contenuto nel ricorso per cassazione all’attività giudiziale si appalesa tardivo, emergendo dal decreto impugnato che le spese generali erano state richieste per l’attività stragiudiziale e non avendo la ricorrente neppure dedotto di aver già sottoposto all’attenzione del giudice tale profilo in sede di opposizione allo stato passivo.

In ordine al compenso liquidato per l’attività giudiziale, correttamente il Tribunale lo ha determinato in base al valore della controversia (“indeterminato”) dichiarato nella nota spese dalla stessa ricorrente, che non può, pertanto, dolersi di tale quantificazione.

Infine, con riferimento alla doglianza relativa alla condanna alle spese di lite, non vi è dubbio che la soccombenza della ricorrente nel giudizio di opposizione allo stato passivo sia stata piena, essendo state rigettate tutte le sue domande.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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