Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18170 del 05/08/2010
Cassazione civile sez. III, 05/08/2010, (ud. 13/05/2010, dep. 05/08/2010), n.18170
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –
Dott. FEDERICO Giovanni – Consigliere –
Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro in carica,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli
Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per
legge;
– ricorrente –
contro
G.L., (OMISSIS), considerata domiciliata “ex
lege” in Roma, presso Cancelleria Corte di Cassazione, rappresentata
e difesa dall’avvocato PICCOLI MAURIZIO, giusta delega in atti;
– controricorrente –
e contro
B.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 440/2005 della CORTE D’APPELLO di TRENTO, 2^
Sezione, emessa il 22/11/2005, depositata il 21/12/2005; R.G.N.
179/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
13/05/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del 5^ e in
subordine del 6^ motivo di ricorso e il rigetto degli altri.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
G.L. citava innanzi al Tribunale di Trento l’Amministrazione dell’Interno, in persona del ministro pro-tempore, e B.L. assumendo che quest’ultimo, quale ispettore della Polizia di Stato in forza alla Questura di Trento, aveva commesso un errore di identificazione e quindi determinato il suo coinvolgimento in un procedimento penale per il reato di furto; chiedeva, quindi la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei danni.
La convenuta Amministrazione, costituendosi, eccepiva che la controversia rientrava fra quelle disciplinate dalla L. n. 117 del 1988 e quindi sosteneva la competenza del Tribunale di Trieste concludendo, in subordine, per il rigetto della domanda.
L’altro convenuto B. restava contumace.
L’adito Tribunale, con decisione in data 25.2.2004, rigettava l’eccezione relativa al difetto di competenza territoriale e condannava l’Amministrazione dell’Interno in solido con il B. al risarcimento dei danni in favore della G. nella misura di Euro 5.183,53, oltre a rivalutazione ed interessi.
A seguito dell’appello del Ministero (che, tra l’altro, affermava una erronea interpretazione della L. n. 117 del 1988, trattandosi di procedimento nei confronti di un pubblico ufficiale di polizia giudiziaria la cui attività doveva, nel caso di specie, considerarsi rientrante nell’ambito della funzione giudiziaria), costituitisi la G. e il B., la Corte di Appello di Trento, con la decisione in esame depositata in data 21.12.2005, rigettava il gravame e confermava quanto statuito in primo grado. I giudici di secondo grado in particolare affermavano che la L. n. 117 del 1988, non disciplina responsabilità di organi di polizia ma esclusivamente di giudici.
Ricorre per cassazione il Ministero dell’Interno con sette motivi;
resiste con controricorso la G..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 117 del 1988, artt. 1 – 4, sotto il profilo della incompetenza territoriale funzionale in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 2”. Si afferma in particolare che ha errato il giudice di appello nell’escludere dalla categoria degli “estranei che, partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria” gli organi di polizia quando svolgono attività tipica di polizia giudiziaria.
Con il secondo motivo si deduce “contraddittorietà della motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, sul punto argomentativo di cui al primo motivo di ricorso.
Con il terzo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in relazione alla configurabilità di un fatto illecito.
Con il quarto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 1223 c.c., sul nesso di causalità in relazione all’art. 360 c.c., n. 3 – insufficienza della motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”.
Con il quinto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. – errata individuazione del danno giusto – in relazione all’art. 360 c.p.c.”.
Con il sesto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. – nesso eziologico – in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Con il settimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione della tariffa forense in ordine alle spese di lite.
Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte censure.
Quanto al primo motivo si osserva: la Corte di Trento ha correttamente applicato nella vicenda in esame la L. n. 117 del 1988, in tema di “risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati” in quanto la stessa, nel prevedere all’art. 1 che “le disposizioni della presente legge si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature, ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciale, che esercitano l’attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonchè agli estranei che partecipano all’esercizio della funzione giudiziaria”, ha inteso estendere la relativa disciplina ai soli esercenti funzioni giudiziarie, sia inquirenti che giudicanti, senza assolutamente riguardare gli appartenenti alla polizia giudiziaria.
La ratio infatti di tale normativa è quella di specificamente regolamentare la responsabilità di tutti coloro che, a vario titolo, svolgono funzioni giudiziarie nel senso tipico e rigoroso del termine, pur in veste di “estranei”, ad esempio come nel caso di giudici onorari o componenti non togati delle Corti di Assise.
E evidente quindi che un poliziotto, come il B., non può ritenersi destinatario di tale disciplina, pur svolgendo un’attività di supporto a quella giudiziaria.
Tutti i rimanenti motivi del ricorso non meritano accoglimento: con essi infatti si tende ad un non consentito riesame, nella presente sede di legittimità, di elementi, fatti, circostanze di causa, sulla base della cui valutazione discrezionale la Corte di merito ha fondato la propria decisione, nonchè dei criteri liquidativi dei chiesti danni.
Nè sussiste il dedotto difetto di motivazione della decisione impugnata: la Corte di merito ha infatti logicamente e più che sufficientemente motivato, affermando in particolare che “ciò che rileva è che la G. è stata costretta a difendersi in due fasi processuali sopportando le relative spese di difesa. E per quanto concerne la responsabilità per colpa del B. appare ancor più marcata ed eziologicamente collegata al danno subito dalla parte appellata”.
Infine, in relazione alla natura della controversia sussistono giusti motivi per dichiarare interamente compensate le spese della presente fase.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 13 maggio 2010.
Depositato in Cancelleria il 5 agosto 2010