Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1817 del 28/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 28/01/2021, (ud. 26/11/2020, dep. 28/01/2021), n.1817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23794-2018 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OSLAVIA, presso

lo studio dell’avvocato SIMONA BARBERIO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato BENIAMINO MARIANO;

– ricorrente –

contro

C.A.;

– intimata –

avverso il decreto n. R.G. 124/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO,

depositato il 12/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ANDREA

FIDANZIA.

 

Fatto

RILEVATO

– che con decreto del 23.1.2018, il Tribunale di Salerno revocava L. n. 898 del 1990, ex art. 9, l’assegno di divorzio posto a carico di G.R. in favore dell’ex coniuge C.A., con precedente sentenza n. 1002 del 2011 e già oggetto di un primo procedimento di revisione, conclusosi con un accordo tra le parti del 23.1.2015, che prevedeva la rinuncia al TFR, da parte della C., il trasferimento della quota della metà della casa coniugale da parte del G., l’assoluzione dello stesso dall’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia divenuta economicamente indipendente e la determinazione dell’assegno divorzile in Euro 247,00;

– che il reclamo della beneficiaria veniva accolto con decreto in data 12.4.2018, dalla Corte d’Appello di Salerno, che osservava che il procedimento intrapreso era volto ad emendare l’alterazione dell’assetto economico delle parti dovuto a circostanze sopravenute ed in riferimento alla situazione esistente al momento della decisione. Il G., rilevava la Corte territoriale, non aveva assolto all’onere su lui incombente di documentare il detrimento della sua posizione o l’incremento di quella della beneficiaria nel tempo di due anni dalla conclusione dell’accordo, essendo la situazione patrimoniale rimasta invariata e non potendo, perciò applicarsi i nuovi principi giurisprudenziali in tema di assegno divorzile;

– che per la cassazione del decreto, ha proposto ricorso l’obbligato, sulla scorta di un motivo, mentre la C. non ha svolto difese;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis;

– che il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO

– che con il proposto ricorso è stata dedotta la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., e dei principi in tema di valutazione del materiale probatorio, oltre che vizio di motivazione su di un punto decisivo della controversia, sul rilievo che il giudice di merito avrebbe erroneamente valutato le risultanze istruttorie (in particolare la prova documentale offerta dalla C. in ordine alla difficoltà nella ricerca di un lavoro) e i comportamenti processuali tenuti dalle parti (quali la confessione della C., in sede di udienza di comparizione personale delle patti, in ordine alla percezione di redditi di lavoro non dichiarati);

– che, inoltre, si deduce che il giudice di merito avrebbe statuito sulla base del criterio del “tenore di vita analogo a quello goduto”, senza valutare il principio dell’indipendenza o autosufficienza del coniuge che abbia richiesto l’assegno;

– che il motivo presenta profili di inammissibilità ed infondatezza;

– che, infatti, con l’apparente deduzione della violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., le censure del ricorrente sono, all’evidenza, volte al riesame del materiale probatorio esaminato dalla Corte d’Appello, richiedendo un’indagine di merito che esula dalle prerogative di questa Corte di legittimità;

– che, in particolare, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (vedi ex plurimis Cass. 18892/2016), la deduzione in sede di ricorso per cassazione della violazione dell’art. 116 c.p.c., – a mente del quale cui il giudice deve valutare le prove secondo prudente apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti- è concepibile solo: a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); b) se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (vedi anche Cass. n. 1229/2019);

– che neppure può utilmente invocarsi l’art. 115 c.p.c., per la cui violazione è necessario deducibile se il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che demanda, in via esclusiva al giudice del merito la ricostruzione in fatto della vicenda, e che il motivo in esame tende ad aggirare, com’è evidente laddove deduce l’erronea a valutazione del materiale probatorio;

– che è comunque priva di fondamento l’affermazione secondo cui l’assegno di mantenimento sarebbe stato determinato secondo il criterio ormai abbandonato da questa Corte del “tenore di vita analogo a quello goduto”, avendo la Corte d’Appello specificamente evidenziato come il quantum di tale assegno fosse stato determinato dal giudice di primo grado, recependo l’accordo sul punto delle parti che era stato il frutto di ulteriori e reciproche concessioni e senza alcun riferimento al parametro sopra menzionato;

– che, in ogni caso, questa Corte ha già affermato che, in tema di revisione dell’assegno divorzile, ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9, il mutamento sopravvenuto delle condizioni patrimoniali delle parti attiene agli elementi di fatto e rappresenta il presupposto necessario che deve essere accertato dal giudice perchè possa procedersi al giudizio di revisione dell’assegno, da rendersi, poi, in applicazione dei principi giurisprudenziali attuali, con la conseguenza che consentire l’accesso al rimedio della revisione, attribuendo alla formula dei “giustificati motivi” un significato che includa la sopravvenienza di tutti quei motivi che possano far sorgere un interesse ad agire per conseguire la modifica dell’assegno, ricomprendendo tra essi anche una diversa interpretazione delle norme applicabili avallata dal diritto vivente giurisprudenziale, è opzione esegetica non percorribile poichè non considera che la funzione della giurisprudenza è ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della “regula iuris”, non già creativa della stessa. (Cass. n. 1119 del 20/01/2020);

– che non va disposto sulle spese, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

PQM

Rigetta il ricorso. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo per i ricorso, se dovuto.

In caso di diffusione del presente provvedimento, dispone omettersi le generalità e gli altri dati identificativi delle parti, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, il 26 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 28 gennaio 2021

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