Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1817 del 20/01/2022

Cassazione civile sez. lav., 20/01/2022, (ud. 17/11/2021, dep. 20/01/2022), n.1817

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19510-2018 proposto da:

METRO SERVICE S.R.L., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE G. MAZZINI n. 123,

presso lo studio degli avvocati MARCO IOZZIA, LORENZO DI BACCO che

la rappresentano e difendono;

– ricorrente –

contro

C.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEL

TRITONE N. 102 presso lo studio dell’Avvocato GIUSEPPE CAVALLARO,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIORGIO NICASTRO DEL LAGO;

– resistente con mandato –

avverso la sentenza n. 724/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 02/01/2018 R.G.N. 846/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/11/2021 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. la Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, in parziale riforma della pronuncia di primo grado ed in accoglimento dell’appello proposto da C.R., ha accertato il diritto di quest’ultima “al ripristino del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato V livello CCNL Commercio, settore terziario, con la Metro Service Srl” e, per l’effetto, ha condannato la società “a ripristinare il rapporto ed a corrispondere, in favore della C., un risarcimento del danno commisurato alle mancate retribuzioni dalla data del 19.3.10 al ripristino del rapporto”, oltre accessori e spese;

2. la Corte – per quanto qui ancora interessa – dopo aver respinto tutte le eccezioni di inammissibilità formulate dalla società appellata ha pure respinto il primo motivo di censura della C., non potendo “essere accolta la domanda di reintegra di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18” e non potendo neanche trovare applicazione la L. n. 183 del 2010, art. 32 “in ragione della natura del rapporto del contratto di apprendistato”; la Corte ha, invece, ritenuto che, nel caso di specie, “non vi è stata alcuna conversione da parte del giudice di prime cure di un rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato, trattandosi di rapporto a tempo indeterminato ab origine la cui causa formativa è stata peraltro ritenuta, con pronuncia passata in giudicato, insussistente”; “la cessazione del rapporto conclude la Corte – operata alla scadenza dalla società è stata dunque una cessazione illegittima in quanto non sorretta da alcun diritto: una condotta inadempiente di impedimento della prestazione lavorativa priva di giustificazione, con conseguente diritto della ricorrente in primo grado alla riammissione in servizio ed alla tutela risarcitoria prevista dalla legge ex art. 1206 c.c. in ragione dell’atto di messa in mora realizzato in data 19.03.2010”;

3. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la Metro Service Srl con 4 motivi, articolati in plurime censure; l’intimata ha depositato “atto di costituzione di difensore” per il tramite dell’Avv. Morachiello, cui ha fatto seguito, in vista dell’adunanza camerale, la sostituzione con un nuovo difensore (Avv. Nicastro del Lago) che ha anche comunicato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso (I) si “eccepisce la violazione dell’art. 434 c.p.c., n. 1, in quanto l’appellante non ha individuato la parte, ovvero il capo, della sentenza che intendeva appellare, nel senso che ha riportato una statuizione del giudice, diversa ed errata da quella che il giudice medesimo aveva indicato nel detto capo”; “sotto altro profilo” (I.a), si eccepisce la “inammissibilità del ricorso in appello per violazione dell’art. 2909 c.c.” per non avere la Corte territoriale rilevato il passaggio in giudicato del capo di sentenza di primo grado concernente il difetto di allegazione sul “requisito dimensionale”; “sotto altro distinto ed autonomo profilo” (I.b) si critica la sentenza impugnata per avere respinto “la eccepita esistenza di un giudicato interno relativo al detto capo della sentenza di primo grado”, travisando “la lettera della statuizione del giudice di prime cure”;

il motivo, nella parte in cui deduce che l’appello sarebbe stato inammissibile per mancata o errata individuazione della parte di sentenza che si intendeva impugnare, trascura di considerare che questa Corte ha affermato il principio secondo cui: “Gli artt. 342 e 434 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012, vanno interpretati nel senso che l’impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata” (Cass. SSUU n. 27199 del 2017; conf. Cass. n. 13535 del 2018);

non meritano accoglimento neanche le altre censure prospettate con il primo motivo perché, innanzitutto, sono relative ad una questione inconferente rispetto al decisum, riguardando l’allegazione del requisito dimensionale rispetto ad una domanda L. n. 300 del 1970, ex art. 18, che è stata comunque respinta dalla Corte territoriale; inoltre, pretendono di ravvisare la formazione di un giudicato interno rispetto ad un fatto, qual e’, appunto, la sussistenza o meno del requisito dimensionale ai fini dell’applicazione della tutela statutaria, quando, proprio al fine di selezionare le questioni (di fatto e/o di diritto) devolvibili e, per converso, suscettibili di giudicato interno se non censurate in appello, va tenuto conto della “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, che consiste nella sequenza logica “fatto – norma – effetto giuridico”, cioè nella statuizione che affermi l’esistenza d’un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (tra le altre Cass. n. 10832 del 1998 e Cass. n. 6769 del 1998); sicché non era suscettibile di passare in giudicato solo quella parte relativa al requisito dimensionale, così come non lo è una qualunque asserzione contenuta nella motivazione d’una sentenza, riferendosi l’art. 329 cpv. c.p.c. appunto alla sequenza logica “fatto – norma – effetto giuridico” attraverso la quale si afferma l’esistenza d’un fatto sussumibile sotto una norma che ad esso ricolleghi un dato effetto giuridico (cfr. Cass. n. 14670 del 2015; Cass. n. 4572 del 2013; Cass. n. 16583 del 2012; Cass. n. 16808 del 2011; Cass. n. 27196 del 2006);

2. con il secondo motivo (II) si denuncia: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione all’art. 437 c.p.c., comma II, ed all’art. 345 c.p.c.”; con plurime argomentazioni nella sostanza si censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto che la C. aveva proposto in appello una domanda nuova, come tale inammissibile;

anche tale motivo, in tutti i profili in cui è articolato, risulta inammissibile;

con esso, infatti, peraltro sotto il profilo di una pretesa violazione di legge quale error in iudicando e senza prospettare un error in procedendo con conseguente nullità della sentenza a mente dell’art. 360 c.p.c., n. 4, parte ricorrente propone una diversa interpretazione della domanda azionata in giudizio e di come la medesima sia stata devoluta in appello, mentre va ribadito il principio, enunciato da questa Corte Data pubblicazione 20/01/2022 (tra le recenti: Cass. n. 11103 del 2020; Cass. n. 30607 del 2018), secondo cui spetta al Giudice interpretare e qualificare la domanda, senza essere in ciò condizionato dalla formula adottata dalla parte medesima, tenuto conto del contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio, con il solo limite imposto dalla immutazione dei fatti costitutivi della pretesa allegati dalla parte (cfr. Cass. n. 27285 del 2006; Cass. n. 2746 del 2007; Cass. n. 10617 del 2012); tale potere spetta anche al Giudice di appello -e finanche al Giudice di legittimità- il quale non incorre nel vizio di extrapetizione, finanche dando alla domanda od all’eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado e mai prospettata dalle parti, essendo compito del Giudice individuare correttamente la legge applicabile, con l’unico limite rappresentato dall’impossibilità di immutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire (Cass. n. 15383 del 2010; Cass. n. 21561 del 2010);

nella specie il dispositivo di accoglimento pronunciato dalla Corte territoriale, riportato nello storico della lite, è del tutto congruente rispetto alla domanda formulata nell’atto introduttivo del giudizio – come riportata dalla stessa società – in base alla quale si chiedeva condannarsi la convenuta “alla immediata riammissione in servizio della ricorrente ed al pagamento in suo favore (…) di tutte le retribuzioni maturate dal 19 marzo 2010 fino alla effettiva riammissione in servizio”, per cui nessun bene della vita diverso da quello richiesto è stato riconosciuto alla lavoratrice;

3. il terzo mezzo (III) denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c. perché la Corte di Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sull’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32;

il motivo non si confronta con il decisum, atteso che, come riportato nello storico della lite, la sentenza impugnata espressamente si pronuncia sul punto, negando l’applicabilità della disposizione richiamata;

4. con l’ultimo motivo (IV) si deduce: “violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – motivazione illogica e incoerente – violazione dell’art. 1227 c.c.”; si critica la Corte territoriale per avere respinto l’eccezione della società secondo la quale “il rifiuto di assunzione da parte della dipendente aveva spezzato il nesso di causalità fra interruzione del rapporto di lavoro ed il danno reclamato per il periodo successivo alla offerta di assunzione”; si eccepisce la “nullità della sentenza” per “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’errato esame del dato letterale della prova offerta e quindi della sua corretta valutazione”;

il motivo è inammissibile sia nella parte in cui invoca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, senza il rispetto di quanto enunciato dalle SS.UU. con le sentenze nn. 8053 e 8054 del 2014, sia nella parte in cui denuncia una violazione di legge quando, nella sostanza, propone una diversa valutazione dei fatti, anche con l’improprio riferimento alla violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.;

come di recente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte (cfr. Cass. SS.UU. n. 20867 del 2020), per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che egli per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre);

parimenti la pronuncia rammenta che la violazione dell’art. 116 c.p.c. è riscontrabile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato in assenza di diversa indicazione normativa secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore, oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), nonché qualora abbia dichiarato di valutare secondo il proprio prudente apprezzamento una prova soggetta ad una specifica regola di valutazione; mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il suo prudente apprezzamento della prova, la censura, che era consentita nei suddetti termini ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo previgente, ora lo è solo in presenza dei gravissimi vizi motivazionali individuati da questa Corte fin da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014, precedenti di cui parte ricorrente – come detto – non tiene alcun conto;

5. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

nulla per le spese in quanto l’intimata non ha depositato rituale controricorso, ma solo un “atto di costituzione di difensore” con procura, che, come tale, non è ad esso equipollente, in quanto privo dei requisiti essenziali previsti dagli artt. 370 e 366 c.p.c. (cfr. Cass. n. 5400 del 2006; Cass. n. 9983 del 2019); ne consegue anche l’inammissibilità della memoria depositata dal successivo difensore della C., atteso che “nel periodo che va dalla scadenza del termine per il deposito del controricorso alla data fissata per l’adunanza camerale è preclusa qualsiasi attività processuale, sia essa diretta alla costituzione in giudizio ovvero alla produzione di documenti e memorie ai sensi degli artt. 372 e 380 bis.1 c.p.c.” (in termini: Cass. n. 17030 del 2021; conf. Cass. n. 34791 del 2021);

occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2022

 

 

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