Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18169 del 16/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 16/09/2016, (ud. 15/03/2016, dep. 16/09/2016), n.18169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19184/2013 proposto da:

C.A., (OMISSIS), C.C. (OMISSIS), R.D.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CASSAZIONE, rappresenta e difesa dall’avvocato DIEGO SENTER

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.B., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA, 270, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO MARIA

BAGNARDI, che lo rappresenta e difende giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8/2013 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata Il 09/01/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/03/2016 dal Consigliere Relatore Dott. MILENA FALASCHI;

udito l’Avvocato Bagnardi Roberto Maria difensore del

controricorrente che si riporta agli scritti.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

Nel giudizio di primo grado, svolto dinanzi al Tribunale di Rovereto, conseguente alla proposizione da parte dell’avv.to B.B. nei confronti di R.A., C.A. e C.C. di domanda di condanna al pagamento della somma ad esso spettante per l’attività professionale espletata a favore dei convenuti nell’ambito di un procedimento civile per risarcimento del danno da sinistro stradale, il Tribunale adito, nella resistenza dei convenuti che formulavano domanda riconvenzionale volta al risarcimento dei danni da responsabilità professionale per omessa impugnazione delle decisioni di cui al giudizio presupposto in ordine alla rivalutazione e agli interessi legali sulle somme liquidate, accoglieva la domanda attorea e contestualmente respingeva la domanda riconvenzionale dei convenuti.

Avverso la sentenza n. 78 del 2011, i soccombenti nel giudizio di prime cure proponevano appello, domandando la parziale riforma della pronuncia impugnata nei limiti in cui aveva escluso la fondatezza della domanda riconvenzionale, la Corte di appello di Trento, ritenuta l’infondatezza del gravame, con sentenza n. 8 del 2013, confermava la decisione di primo grado.

Con ricorso notificato l’8 luglio 2013 gli appellanti soccombenti domandavano la cassazione della pronuncia della Corte triestina, formulando un unico motivo di ricorso, con il quale hanno lamentato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

L’intimato avv.to B. ha resistito con controricorso.

Il consigliere relatore, nominato a norma dell’art. 377 c.p.c., ha depositato la relazione di cui all’art. 380 bis c.p.c., proponendo la reiezione del ricorso per inammissibilità dell’unico motivo.

In prossimità dell’adunanza camerale le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

Vanno condivise e ribadite le argomentazioni e le conclusioni di cui alla relazione ex art. 380 bis c.p.c., che di seguito si riporta: “Occorre preliminarmente dare contezza delle diverse censure di inammissibilità dedotte dal resistente nel controricorso, con la prima delle quali ha sostenuto l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., per essere la sentenza impugnata conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte senta che dalle doglianze formulate emergano valide prospettive di riforma. La censura è priva di pregio, dal momento che l’evenienza prospettata dal controricorrente può dar luogo ad una decisione di rigetto per manifesta infondatezza e non già all’inammissibilità del ricorso, come precisato dalle SS.UU. di questa Corte (Cass. 6 settembre 2010 n. 19051).

Parimenti infondate sono le censure di inammissibilità per violazione dei requisiti di autosufficienza e specificità del ricorso, in quanto l’esposizione del motivo di ricorso risulta sufficientemente precisa e corredata dagli elementi di fatto e dalle questioni giuridiche che consentono una ricostruzione coerente ed esaustiva delle ragioni per cui è causa ed un penetrante sindacato sulla loro fondatezza.

Tanto premesso, con l’unica censura, i ricorrenti deducono l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, per non aver la Corte di merito valorizzato la portata degli errori imputabili al resistente, commessi nel corso del procedimento presupposto, e ampiamente attestati negli atti di causa che, laddove accertati, darebbero luogo all’onere per il B. del risarcimento dei danni da responsabilità professionale ascrivibili alla sua negligenza.

Nella specie, i ricorrenti sostengono che la condotta negligente del professionista avrebbe causato loro una perdita economica in relazione alla quantificazione del risarcimento del danno spettante al C.C., per le lesioni riportate in conseguenza di un sinistro stradale, e agli altri ricorrenti, in qualità di genitori per il danno morale subito, per avere egli omesso di richiedere la rivalutazione e gli interessi legali sulle somme liquidate, omettendo inoltre l’impugnativa delle decisioni che li avevano esclusi.

Il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

E’ opportuno precisare che, dal momento che la sentenza impugnata è stata depositata il 9 gennaio 2013, al ricorso si applica l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, che deve essere interpretato alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, come autorevolmente affermato da questa Suprema Corte.

La giurisprudenza di legittimità è intervenuta per chiarire la portata della modifica, asserendo che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se”, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si verifica ogni qual volta la pronuncia sia articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili; inoltre è deducibile come vizio della sentenza soltanto l’omissione e non più l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione, salvo che tali aspetti, consistendo nell’estrinsecazione di argomentazioni non idonee a rivelare la “ratio decidendi”, si risolvano in una sostanziale mancanza di motivazione (Cass. 7 aprile 2014 n. 8053).

Nel caso in esame, non ricorre nessuno dei criteri sopra esposti affinchè possa integrarsi il vizio di motivazione lamentato dai ricorrenti: difatti, la Corte di merito, ha rigettato il ricorso a seguito di una attenta disamina dei motivi di gravame, ai quali ha dato puntuale risposta concludendo per l’irrilevanza delle omissioni asseritamente imputabili al B..

Nello specifico, la Corte territoriale ha affermato che, dovendo il giudice del gravame rideterminare la somma dovuta a titolo risarcitorio con il computo degli interessi spettanti, a prescindere da una specifica impugnazione sul punto, in quanto componente dell’obbligazione risarcitoria liquidabile d’ufficio, circostanza che peraltro si è in concreto verificata con il conseguente riconoscimento delle somme legittimamente dovute, era venuto meno il nesso di causalità tra l’omissione e il risultato definitivo sul quale la giurisprudenza di legittimità radica la responsabilità professionale, affermando che il danno derivante da eventuali omissioni in tanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri necessariamente probabilistici, si accerti che, senza quell’omissione, il risultato voluto sarebbe stato conseguito, secondo un’indagine istituzionalmente riservata al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità se adeguatamente motivata ed immune da viti logici e giuridici (Cass. 27 manzo 2006 n. 6967). Parimenti, il giudice di merito ha escluso la rilevanza della censura inerente l’erroneità dell’indice di calcolo applicato nella determinazione degli interessi, affermando che, diversamente da quanto opinato dagli appellanti, il computo degli stessi non dovesse essere effettuato con riferimento al saggio legale, ma, (richiamata atecnicamente la nozione di interessi compensativi) sulla base degli interessi, da non considerarsi quali interessi legali ex artt. 1283 o 1224 c.c., cioè frutti civili del credito principale, ma quale voce o componente dell’unico credito risarcitorio e pertanto liquidati rapportandoli ad un saggio equitativamente scelto dal giudice ex art. 1226 c.c., secondo le circostante del caso concreto o sulla semisomma (e cioè la media) tra il credito rivalutato alla data della liquidazione e lo stesso credito espresso in moneta all’epoca dell’illecito, ovvero – per l’identità di risultato – sul credito espresso in moneta all’epoca del fatto e poi rivalutato anno per anno (Da ultimo in tal senso v. Cass. 10 ottobre 2014 n. 21396). Tanto chiarito, si evince come la pronuncia impugnata non sia sindacabile sotto il profilo del vizio di motivazione ex art. 260 c.p.c., n. 5, avendo la Corte di merito operato nel rispetto dei principi sopra esposti, dando congrua e argomentata motivazione rispetto ad ogni profilo di censura sollevato dalle parti.

In definitiva, si conferma che sembrano emergere le condizioni per procedere con rito camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., ravvisandosi l’inammissibilità del ricorso”.

Gli argomenti e le proposte contenuti nella relazione di cui sopra sono condivisi dal Collegio e le critiche formulate dai ricorrenti nella memoria illustrativa non hanno alcuna incidenza su dette conclusioni, giacchè ribadiscono difese che per le ragioni sopra esposte – sono state superate dalle argomentazioni predette e non rappresentano alcuna lacuna motivazionale, non apportando alcun ulteriore elemento di valutazione, e conseguentemente il ricorso va respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater la Corte è tenuta a dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13 , comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione in favore del resistente che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie ed agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2 della Corte di Cassazione, il 15 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 16 settembre 2016

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