Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18169 del 05/07/2019

Cassazione civile sez. I, 05/07/2019, (ud. 18/04/2019, dep. 05/07/2019), n.18169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8131/2014 proposto da:

C.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via

Giuseppe Ferrari n. 35, presso lo studio dell’avvocato Vincenti

Marco, rappresentato e difeso dall’avvocato Ricciardi Massimo,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Fallimento (OMISSIS) S.a.s., in persona del curatore Dott.

G.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale Bruno Buozzi n.

99, presso lo studio dell’avvocato Giuggioli Pier Filippo,

rappresentato e difeso dall’avvocato Consiglio Gabriele, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto n. 2477/2014 del TRIBUNALE di MILANO, depositato

il 19/02/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/04/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con decreto depositato il 13 marzo 2014 il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione L. Fall., ex art. 98 proposta da C.G. avverso il decreto con cui il G.D. dello stesso Tribunale non aveva accolto la sua domanda di insinuazione al passivo del credito di Euro 189.070,16, richiesto per la pretesa attività di lavoro dipendente svolta a favore della (OMISSIS) s.a.s. per il periodo dicembre 2008- dicembre 2010.

Il Tribunale di Milano, pur dando atto che il ricorrente – già socio della fallita – aveva prodotto buste-paga relative al periodo in oggetto e che dal libro matricola della società risultava il suo nominativo sin dal 1990, ha osservato, alla luce delle deposizioni testimoniali assunte nel corso del procedimento, che il rapporto di lavoro con il ricorrente, pur instaurato nel 1990, era cessato quantomeno dal 1996 e, da allora, il C. non era mai stato visto in azienda, se non del tutto occasionalmente, con la conseguenza che non vi era alcuna prova dello svolgimento di prestazioni di lavoro subordinato.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione C.A.. La Curatela si è costituita in giudizio con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 409 c.p.c. e R.D. n. 267 del 1942, art. 24difetto assoluto di motivazione nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta il ricorrente che, avendo la procedura concorsuale contestato non solo l’entità del credito, ma anche la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato, la cognizione della causa avrebbe dovuto essere devoluta alla competenza esclusiva per materia del giudice del lavoro.

2. Il motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte statuito, anche recentemente, che rientrano nella cognizione del giudice del fallimento le controversie relative all’accertamento ed alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro in funzione della partecipazione al concorso e con effetti esclusivamente endoconcorsuali, ovvero destinate comunque ad incidere nella procedura concorsuale (Sez. L n. 7990 del 30/03/2018; Sez L n. 19248/2007).

3. Con il secondo motivo è stata dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., difetto assoluto di motivazione nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha omesso di valutare la documentazione dallo stesso prodotta a fondamento del dedotto rapporto di lavoro subordinato, consistente in buste paga, un contratto di lavoro sottoscritto dalle parti, accantonamenti del TFR e dichiarazioni del legale rappresentante della società.

4. Il motivo è infondato.

A differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, da un attento esame del decreto impugnato emerge che il Tribunale ha dato espressamente atto della produzione da parte dello stesso dei documenti sopra indicati, ritenendoli, tuttavia, irrilevanti, ai fini della prova dello svolgimento del rapporto di lavoro subordinato, non solo perchè la Curatela ha contestato la provenienza degli stessi dal legale rappresentante della fallita, ma anche sul rilievo che dalle deposizioni testimoniali assunte, della cui genuinità non vi era motivo di dubitare, era risultato che il ricorrente si era recato presso la società fallita solo occasionalmente, e, segnatamente, solo tre, quattro volte nell’arco temporale di quindici anni.

Il decreto impugnato ha, altresì, evidenziato che l’iscrizione del C. nel libro matricola era perfettamente spiegabile sul rilievo che lo stesso aveva originariamente lavorato per la fallita dal 1990 al 1996, così come poteva spiegarsi il fatto che fosse in possesso della documentazione prodotta in giudizio, avendo collaborato con lo studio che aveva tenuto la contabilità della fallita, svolgendo una sorta di funzione di “interfaccia”.

Devono quindi ritenersi insussistenti le lamentate violazioni dell’obbligo motivazionale e dell’omesso esame del contenuto dei documenti prodotti, che sono stati, viceversa, oggetto di un’apposita analisi da parte del Tribunale, che ne ha, tuttavia, disatteso la rilevanza probatoria.

Parimenti infondata è la dedotta violazione dell’art. 2697 c.c..

Va preliminarmente osservato che se è pur vero che questa Corte ha già statuito, in sede di accertamento del passivo fallimentare, che le copie delle buste paga rilasciate al lavoratore dal datore di lavoro, ove munite, alternativamente, della firma, della sigla o del timbro di quest’ultimo, hanno piena efficacia probatoria del rapporto di lavoro esistente e del credito insinuato, alla stregua del loro contenuto, obbligatorio e penalmente sanzionato dalla L. 25 gennaio 1953, n. 4, art. 5 (Cass. n. 17413/2015), tuttavia, rimane comunque ferma la facoltà della controparte di contestarne le risultanze con mezzi contrari di difesa o, semplicemente, con specifiche deduzioni e argomentazioni volte a dimostrarne l’inesattezza, la cui valutazione è rimessa al prudente apprezzamento del giudice. (Sez. L, n. 6501 del 26/04/2012).

Nel caso di specie, con una motivazione adeguata, il Tribunale di Milano, oltre a contestare la provenienza della documentazione prodotta dal legale rappresentante della fallita, ne ha in modo adeguato, nei termini sopra illustrati, argomentato la non dirimenza.

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 2096,2126 e 2099 c.c., difetto assoluto di motivazione nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

6. Il motivo è inammissibile.

Va preliminarmente osservato che assolutamente inconferenti e generiche si configurano le dedotte violazioni degli artt. 2096,2126 e 2099 c.c. che si riferiscono rispettivamente alle fattispecie della assunzione in prova, della retribuzione in generale ed della prestazione di fatto in violazione di legge.

Il ricorrente non ha neppure ritenuto di illustrare in diritto il contenuto del motivo sotto il profilo sopra indicato.

In proposito, questa Corte ha anche recentemente affermato che il ricorso per cassazione esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata, e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (v. in particolare Cass., 19/8/2009, n. 18421).

Con riferimento al dedotto omesso esame del documento n. 36, va osservato che, viceversa, il decreto impugnato ha espressamente evidenziato di aver esaminato le dichiarazioni contenute nel carteggio mail di cui ai documenti da 17 a 36, ritenendoli, tuttavia, del tutto aspecifici rispetto alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato. E’ quindi evidente che il ricorrente, nel contestare tale valutazione del Tribunale, non faccia che formulare una mera censura di merito, in quando finalizzata a sollecitare una diversa lettura del documento (36) rispetto a quella effettuata nel provvedimento impugnato, come tale non consentita in sede di legittimità.

7. Con il quarto motivo è stata dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., difetto assoluto di motivazione nonchè l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Contesta il ricorrente che i suoi rapporti con la fallita fossero rimasti di natura solo personale, e non riconducibili ad un rapporto di lavoro subordinato, essendo tale affermazione smentita dalla documentazione prodotta.

Lamenta, altresì, che la curatela avrebbe dovuto quantomeno riconoscergli il TFR per il periodo dal 1990 al 1996, rilevando che nessuna prescrizione può essere eccepita, essendo stato dato ampio riscontro documentale di tale credito.

8. Il motivo è inammissibile per genericità.

Con riferimento all’omesso esame della documentazione che fonderebbe la sua pretesa, il ricorrente formula censure palesemente generiche.

In proposito, come affermato nelle pronunce nn. 19150/2016 e 16812/2018, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento; ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa.

Nel caso di specie, il ricorrente si è limitato ad affermare che il rapporto di lavoro di natura subordinata tra il C. deriverebbe dall'”inequivoco contenuto” della documentazione (docc. da 17 a 36) prodotta, descritta nel paragrafo B punto 1 del ricorso da pagina 8 a pagina 14.

In ordine al lamentato mancato riconoscimento del TFR per il periodo 1990-1996, il ricorso è parimenti generico, avendo il ricorrente dedotto di aver presentato istanza di insinuazione al passivo del credito di Euro 189.070,16 “per retribuzioni maturate, istituti contrattuali, TFR”, senza neppure precisare il quantum richiesto per tale ultima voce.

Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.200, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 5 luglio 2019

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