Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18168 del 26/07/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 18168 Anno 2013
Presidente: ROSELLI FEDERICO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA

sul ricorso 30102-2008 proposto da:
REGIONE CALABRIA 02205340793, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA G. NICOTERA 29 SC. 9 INT. 2, presso lo
studio

dell’avvocato

CASALINUOVO ALDO,

che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FALDUTO
2013

PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

1717
contro

FERRARA FELICE ANTONIO;
– intimata –

Data pubblicazione: 26/07/2013

avverso

la sentenza n.

1336/2008

della CORTE

D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 02/09/2008
R.G.N. 389/2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. CATERINA

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO ) che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

MAROTTA;

R. Gen. N. 30102/2008
Udienza 14/5/2013
Regione Calabria
cl Ferrara Felice Antonio

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello, giudice del lavoro, di Reggio Calabria, in accoglimento
dell’impugnazione proposta dalla Regione Calabria, dichiarava la nullità del ricorso

sentenza impugnata e ciò dopo aver riscontrato che non fossero intercorsi almeno
trenta giorni tra la data di notifica del ricorso e la data dell’udienza di discussione;
quindi, considerando che tale nullità non rientrava tra quelle per cui era prevista la
rimessione della causa al primo giudice, decideva nel merito accogliendo la domanda
proposta dal Ferrara e condannando la Regione Calabria al pagamento, in suo favore,
titolo di indennità sostitutiva delle ferie

della somma di € 2.235,16 oltre accesso

non godute dal dipendente (collocato a riposo con decorrenza 1/1/2000) nell’anno
1999.
Per la cassazione di tale sentenza la Regione Calabria propone ricorso affidato a
due motivi.
E’ rimasto solo intimato Felice Antonio Ferrara.
MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la Regione ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 415, comma 5, e 354 cod. proc. civ. nonché omessa,
insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia”. Si duole del
fatto che la Corte territoriale ha ritenuto di non rimettere la causa al primo giudice
rilevando che il mancato rispetto del termine a comparire determina la nullità della
notifica e non quella del ricorso.
2. Il motivo è infondato.

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introduttivo del giudizio di primo grado proposto da Felice Antonio Ferrara e della

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Udienza 14/5/2013
Regione Calabria
c/ Ferrara Felice Antonio

Nei procedimenti soggetti al rito del lavoro, introdotti mediante ricorso da
notificarsi al convenuto unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di
discussione, trova applicazione la disciplina dettata dall’art. 415 cod. proc. civ., per

discussione deve intercorrere un termine non minore di trenta giorni (comma quinto),
elevato a quaranta giorni se la notificazione debba effettuarsi all’estero (comma
sesto). La disciplina di tali procedimenti, peraltro, non prevede specificamente le
conseguenze processuali derivanti dalla mancata osservanza in primo grado del
prescritto termine dilatorio, come avviene, invece, per il procedimento ordinario, nel
quale, essendo esplicitamente prevista la nullità della citazione in caso di
assegnazione di un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge (art.
164 e 163 bis cod. proc. civ.), il giudice di appello, ove la nullità non sia stata sanata
in primo grado mediante costituzione del convenuto o rinnovazione dell’atto di
citazione, deve necessariamente disporre la rinnovazione degli atti nulli, ex art. 162,
primo comma, cod. proc. civ., e decidere la causa nel merito, non potendo comunque
trovare applicazione il disposto dell’art. 354, primo comma, cod. proc. civ., che
prevede la rimessione al primo giudice nel caso di nullità della sola notificazione e
non anche dello stesso atto introduttivo.
La questione se la disciplina ordinaria sia integralmente applicabile ai suddetti
procedimenti di rito speciale ovvero se la particolarità della vocatio, propria di tali
procedimenti, con la scissione della editio actionis (che si realizza con il deposito del
ricorso nella cancelleria del giudice) e della vocatio in jus (che si attua mediante il
concorso del comportamento del giudice, che emette il decreto di fissazione
dell’udienza, e dell’attore, che deve provvedere alla notificazione del ricorso e del

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cui, in particolare, tra la data di notificazione al convenuto e quella dell’udienza di

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Udienza 14/5/2013
Regione Calabria
c/ Ferrara Felice Antonio

decreto al convenuto entro un termine sufficiente ad assicurare il prescritto spatium
deliberandi), comporti che la violazione del termine di comparizione afferisca alla
sola fase di notificazione, senza che il vizio si estenda allo stesso atto introduttivo del

causa al primo giudice, in applicazione di quanto previsto dal citato art. 354, primo
comma, cod. proc. civ. per l’ipotesi di nullità della notifica della citazione, è stata
risolta dalle sez. un. di questa Corte con decisione del 21 marzo 2001, n. 122. E’
stato così ritenuto, risolvendo un contrasto, che il giudice di appello che rilevi la
nullità dell’introduzione del giudizio, determinata dall’inosservanza del termine
dilatorio di comparizione stabilito dall’art. 415, quinto comma, cod. proc. civ., non
possa dichiarare la nullità e rimettere la causa al giudice di primo grado (non
ricorrendo in detta ipotesi né la nullità della notificazione dell’atto introduttivo, né
alcuna delle altre ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354, primo comma,
cod. proc. civ.), ma debba trattenere la causa e, previa ammissione dell’appellante ad
esercitare in appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo grado se il
processo si fosse ritualmente instaurato, decidere nel merito. Ciò in ragione della
diversità strutturale tra l’atto introduttivo del giudizio ordinario (che inizia con la
citazione ad udienza fissa) e l’atto introduttivo del giudizio secondo il rito del lavoro,
che non consente l’automatica trasposizione dell’art. 164, primo comma, cod. proc.
civ., nella parte in cui qualifica come causa di nullità della citazione l’inosservanza
del termine dilatorio di comparizione, al rito del lavoro, che assume la struttura di
fattispecie complessa a formazione progressiva, caratterizzata dalla scissione tra
l’editio actionis e la vocatio in jus. Inoltre è stato considerato che l’inosservanza del
termine di comparizione di cui all’art. 415, comma 5, sia essa dovuta al

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giudizio, e se ne derivi, in tal caso, per il giudice di appello, l’obbligo di rimettere la

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Regione Calabria
ci Ferrara Felice Antonio

provvedimento del giudice ovvero alla successiva condotta dell’attore, è causa di
invalidità della
actionis,

vocatio in

jus, e non può quindi incidere sulla validità dell’edili°

perfezionata mediante il deposito del ricorso, in ragione del principio

atto non importa quella degli atti precedenti. In sostanza, nel caso dell’inosservanza
del termine dilatorio di comparizione stabilito dall’art. 415, quinto comma, cod. proc.
civ., la notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell’udienza di discussione
viene postulata come valida: il contatto tra attore e convenuto si è realizzato,
mediante la notificazione, ed il contraddittorio è potenzialmente instaurato. Il
convenuto che, pur avendo avuto notizia del giudizio intentato nei suoi confronti,
rileva la violazione del termine di comparizione, non si costituisce per libera scelta di
strategia processuale, riservandosi la tutela in sede di impugnazione. Non si verte,
quindi, in una ipotesi di nullità della notificazione dell’atto introduttivo, determinante
il difetto di conoscenza nel convenuto della pendenza del giudizio, ma in una ipotesi
di nullità della fattispecie introduttiva determinata dalla lesione del diritto di difesa
del convenuto, inciso dall’assegnazione di uno spatium deliberandi inferiore a quello
garantito dalla legge. E questa ipotesi non è espressamente prevista dall’art. 354,
primo comma, cod. proc. civ.. Ne consegue l’inapplicabilità della rimessione al
primo giudice di cui al medesimo art. 354, comma 1, cod. proc. civ..
Questa Corte non ha motivo di discostarsi da tale soluzione.
Avendo, dunque, la Corte territoriale correttamente trattenuto la causa e non
essendo in discussione che la Regione appellante sia stata posta in condizione di
esercitare in grado di appello tutte le attività che avrebbe potuto svolgere in primo
grado, il motivo deve essere disatteso.

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generale di cui all’art. 159, primo comma, cod. proc. civ. secondo cui la nullità di un

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3. Con il secondo motivo la Regione ricorrente denuncia: “Violazione e falsa
applicazione degli artt. 36 Cost. e 2109 cod. civ. nonché violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 10 del c.c.n.l. Regioni Enti Locali del 6/7/1995 (applicabile
omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto

decisivo”. Si duole del fatto che siano state ritenute monetizzabili ferie di cui il
lavoratore non aveva goduto e ciò sulla base della sola circostanza del mancato
godimento e senza tener conto che una specifica disposizione pattizia (art. 18,
comma 9, c.c.n.l. del 6/7/1995) prevedeva tale monetizzazione solo nell’ipotesi in cui
le ferie spettanti non fossero state fruite per esigenze di servizio, situazione nella
specie non sussistente.
4. Anche tale motivo è infondato.
Va, al riguardo, richiamato il principio già espresso da questa Corte secondo cui,
in relazione al carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, garantito anche dall’art. 36
Cost. e dall’art. 7 della direttiva 2003/88/CE (v. la sentenza 20 gennaio 2009 nei
procedimenti riuniti c-350/06 e c-520/06 della Corte di giustizia dell’Unione
europea), ove in concreto le ferie non siano effettivamente fruite, anche senza
responsabilità del datore di lavoro, spetta al lavoratore l’indennità sostitutiva che ha,
per un verso, carattere risarcitorio, in quanto idonea a compensare il danno costituito
dalla perdita di un bene (il riposo con recupero delle energie psicofisiche, la
possibilità di meglio dedicarsi a relazioni familiari e sociali, l’opportunità di svolgere
attività ricreative e simili) al cui soddisfacimento l’istituto delle ferie è destinato e,
per altro verso, costituisce erogazione di indubbia natura retributiva, perché non solo
è connessa al sinallagma caratterizzante il rapporto di lavoro, quale rapporto a
prestazioni corrispettive, ma più specificamente rappresenta il corrispettivo

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ratione temporis) –

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dell’attività lavorativa resa in periodo che, pur essendo di per sé retribuito, avrebbe
invece dovuto essere non lavorato perché destinato al godimento delle ferie annuali,
restando indifferente l’eventuale responsabilità del datore di lavoro per il mancato

ottobre 2012, n. 17353).
Dovendo, quindi, farsi applicazione del principio secondo cui dal mancato
godimento delle ferie – una volta divenuto impossibile per il datore di lavoro, anche
senza sua colpa, adempiere l’obbligo di consentirne la fruizione – deriva il diritto del
lavoratore al pagamento dell’indennità sostitutiva, le clausole del contratto collettivo
(nella specie, l’art. 18, comma 9, c.c.n.l. Regioni ed enti locali, triennio 1994-1997),
che pur prevedono che le ferie non sono monetizzabili, vanno interpretate – in
considerazione dell’irrinunciabilità del diritto alle ferie, ed in applicazione del
principio di conservazione del contratto – nel senso che, in caso di mancata fruizione
delle ferie per causa non imputabile al lavoratore, non è escluso il diritto di
quest’ultimo all’indennità sostitutiva.
5. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato.
6. Infine nulla va disposto in ordine alle spese processuali del presente giudizio di
legittimità essendo il Ferrara rimasto solo intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2013.

godimento delle stesse (cfr., tra le più recenti, Cass. 9 luglio 2012, n. 11462; id. 11

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