Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 18168 del 05/09/2011

Cassazione civile sez. I, 05/09/2011, (ud. 04/04/2011, dep. 05/09/2011), n.18168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ISTITUTO DIOCESANO PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO DELL’ARCIDIOCESI DI

CAPUA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA EMILIA 88, presso gli avvocati

IMPARATO Alfredo e CARLA PAUSELLI, rappresentato e difeso

dall’avvocato FIORILLO GIUSEPPE, giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA depositato

l’11/06/2008; nn. 55602/05 e 56264/05 R.G.;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/04/2011 dal Consigliere Dott. ANDREA SCALDAFERRI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI Maurizio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

IN FATTO E IN DIRITTO

Con un primo ricorso alla Corte d’appello di Roma, l’Istituto Diocesano per il sostentamento del Clero dell’Arcidiocesi di Capua proponeva domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 per violazione dell’art. 6 della C.E.D.U. a causa della irragionevole durata del giudizio civile per risarcimento danni da occupazione acquisitiva di un terreno instaurato dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel 1983 ed ancora pendente nel 2001 dinanzi alla Corte d’appello di Napoli. La Corte d’appello, con decreto del marzo 2002, pur rilevando che il giudizio si era protratto per dodici anni oltre la durata ragionevole, rigettava la domanda di equa riparazione per mancanza di prova sia di un danno patrimoniale sia di un danno non patrimoniale, ritenendo che quest’ultimo, in relazione ad un Istituto Diocesano, doveva escludersi. La Corte di Cassazione, investita dell’impugnazione, con sentenza n. 9936/2005 cassava con rinvio il decreto, affermando il principio della astratta legittimità della richiesta di equo indennizzo avanzata da una persona giuridica con riferimento a pretesi danni non patrimoniali, facendo salva – perchè non esaminata dal decreto impugnato- la questione relativa all’oggetto che in concreto può avere, in tali casi, la richiesta di equa riparazione.

Il giudizio di rinvio, introdotto dall’Istituto nel novembre 2005 dinanzi alla Corte d’appello di Roma, veniva definito con decreto di rigetto della domanda. Posto il principio secondo cui la persona giuridica ha l’onere di allegare e provare che il ritardo nella definizione del giudizio abbia prodotto in persone fisiche – ad esempio i propri dirigenti ed amministratori – quei turbamenti psichici, improspettabili per una persona giuridica, che soli possono costituire conseguenza presunta del ritardo medesimo, la Corte ha rilevato che l’Istituto si era limitato ad allegare circostanze (perturbazioni della gestione societaria, noie subite dagli organi dirigenziali, discutibilità concatenate alla eccessiva durata del procedimento) estranee a quel concetto di danno non patrimoniale presumibile, e quindi non aveva provato di aver subito tale danno.

Avverso tale decreto, depositato in data 11 giugno 2008, l’Istituto ha proposto ricorso a questa Corte con atto notificato il 7 luglio 2009, formulando due motivi, cui resiste il Ministero della Giustizia con controricorso.

Il collegio ha disposto farsi luogo a motivazione semplificata.

Con il primo motivo si denunzia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, par. 1, artt. 13 e 42 C.E.D.U., dei principi affermati dalla Corte Edu, dell’art. 117 Cost., comma 1, della L. n. 89 del 2001, degli artt. 2059, 1223, 1226, 1227 e 2056 cod. civ. Si sostiene cioè che, in riferimento ad un giudizio civile avente ad oggetto una importante richiesta di risarcimento danni da occupazione appropriativa di un ampio terreno di sua proprietà formulata da un ente collettivo quale l’odierno ricorrente, il diritto di tale ente all’equa riparazione non può essere escluso sul rilievo che lo stesso non ha fornito prova del pregiudizio non patrimoniale, dovendo considerarsi una siffatta impostazione non aderente ai principi affermati dalla Corte Edu e da questa Corte Suprema, secondo i quali, una volta ritenuta la durata irragionevole del giudizio, il pregiudizio non patrimoniale, tanto per la persona fisica quanto per la persona giuridica, si presume. Nella stessa prospettiva, il secondo motivo denunzia l’omessa motivazione in ordine agli eventuali elementi che consentirebbero di escludere che esso ricorrente abbia subito un pregiudizio non patrimoniale dal ritardo nella definizione del giudizio presupposto.

I due motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi, sono fondati. In effetti, la distinzione -prospettata nel decreto impugnato – tra persona fisica e persona giuridica/soggetto collettivo ai fini della configurabilità – esclusa per la seconda – della presunzione di un pregiudizio non patrimoniale conseguente alla durata irragionevole di un giudizio si pone in contrasto con l’orientamento seguito ormai da tempo dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 8604/2007; n. 13829/2006; n. 7145/2006; n. 21094/2005; n. 12015/2005), in sintonia con l’indirizzo maturato in proposito nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo.

Orientamento nel senso di una completa parificazione, sotto il profilo considerato, tra persona fisica e persona giuridica: anche per quest’ultima si ritiene cioè che il pregiudizio non patrimoniale costituisca conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri. Sì che, una volta accertata tale violazione e determinatane l’entità, l’equa riparazione di tale pregiudizio non patrimoniale può essere negata solo ove risultino nel caso concreto specifici elementi – dei quali il giudice di merito deve dare conto – che facciano positivamente escludere che tale pregiudizio sia stato subito dalla parte ricorrente. Nel decreto impugnato, invece, la Corte di merito non ha fatto alcun riferimento a tali eventuali elementi contrari avendo affermato l’esistenza, per il solo soggetto collettivo, non solo di un onere di prova del pregiudizio non patrimoniale, ma anche di specifica allegazione, in tal modo prospettando un regime diversificato non desumibile affatto dal sistema normativo, che al contrario non discrimina in alcun modo tra i soggetti legittimati a richiedere l’equa riparazione e quindi non consente di configurare per alcuni di essi oneri – quale quello di analitica allegazione delle forme assunte dal pregiudizio non patrimoniale subito in relazione alla specifica situazione personale del richiedente – che giungerebbero a vanificare il diritto di costoro all’equa riparazione. Si impone pertanto la cassazione del decreto sotto il profilo esaminato. Sussistono peraltro le condizioni per pronunciare nel merito a norma dell’art. 384 cod. proc. civ., essendo già stata determinata dal precedente decreto del 2002 – non contestato sul punto – in dodici anni la durata irragionevole del giudizio presupposto, ed essendo stato adeguatamente allegato (cfr. sopra) il pregiudizio non patrimoniale subito dall’Istituto ricorrente in conseguenza del consistente ritardo nella definizione del giudizio instaurato. Quanto alla liquidazione dell’indennizzo, il collegio considera che uno scostamento rispetto al parametro base europeo di mille/00 Euro per anno di non ragionevole durata del processo, ma non al di sotto della soglia di settecentocinquanta/00 Euro per anno, sia giustificato, anche alla stregua dei più recenti orientamenti della Corte europea (cfr. Volta et autres c. Italia, 16 marzo 2010; Falco et autres c. Italia, 6 aprile 2010), quando ricorrano fattori, quale ad esempio una durata del processo che non abbia superato di oltre tre anni quella ordinaria, mentre per il periodo ulteriore uno scostamento da quel parametro di mille/00 Euro non si giustifichi (cfr.in tal senso, ex multis, Cass. n. 22869/2009; n. 1893/2010;

19054/2010). Alla stregua di questi criteri, si ritiene giustificato liquidare in favore dell’Istituto ricorrente un’equa riparazione pari a Euro 11.250,00, alla quale devono aggiungersi gli interessi legali a decorrere dalla data della domanda di indennizzo. Le spese dell’intero giudizio, nelle varie fasi di merito e legittimità attraversate, seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dell’Istituto ricorrente della somma di Euro 11.250,00 oltre interessi legali su detta somma dalla domanda. Condanna inoltre il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese di ciascun giudizio di merito, pari a Euro 600,00 per diritti, Euro 500,00 per onorari e Euro 50,00 per ciascuno, nonchè al pagamento delle spese di entrambi i giudizi di legittimità, pari a Euro 900,00 per onorari e Euro 100,00 per esborsi per ciascuno, oltre – per tutti i gradi – spese generali ed accessori di legge. Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 4 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 5 settembre 2011

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